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19 Marzo 2024I distretti industriali sono entità socio-territoriali in cui una comunità di persone e una popolazione di imprese industriali si integrano reciprocamente. Le imprese del distretto appartengono prevalentemente a uno stesso settore industriale, che ne costituisce quindi l’industria principale. Ciascuna impresa è specializzata in prodotti, parti di prodotto o fasi del processo di produzione tipico del distretto. Le imprese del distretto si caratterizzano per essere numerose e di modesta dimensione. Ciò non significa che non vi possano essere anche imprese abbastanza grandi; la loro crescita “fuori scala” può però causare una modifica della struttura canonica del distretto.
L’impresa distrettuale rappresenta un modello imprenditoriale fortemente radicato nel territorio in grado di sviluppare significative relazioni con l’ambiente circostante; collaborazione e competizione caratterizzano i distretti che si devono confrontare con le opportunità offerte dalla globalizzazione.
I rapporti fra soggetti sono il risultato della combinazione di concorrenza sui mercati di riferimento e di contemporanea consuetudine alla cooperazione reciproca. È il corretto bilanciamento tra le due opposte tensioni verso la collaborazione e la competizione che crea lo stimolo a un continuo rinnovamento e permette lo sviluppo di nuove opportunità.
Bisogna allora fare un piccolo passo in avanti e considerare la produzione culturale una catena di produzione di beni immateriali, ma pur sempre in una logica produttiva, non solamente la generazione di un bene puramente “creativo e contemplativo”.
Questa lunga premessa per cercare di stabilire un’analogia di sviluppo per tutta l’area veneziana, in particolare quella storico-lagunare, riferendosi alla Cultura.
Un modello che riprendendo lo spirito innovativo dei d.i. trovi applicazione e ulteriore sviluppo – nella produzione, e nella conseguente base occupazionale – in tutto il ricchissimo tessuto di Fondazioni, Enti, Istituti, Gallerie, attività private che anima la ormai permanente attività culturale veneziana.
Non si tratta più solo della parte espositiva, che comunque svolge il ruolo preponderante e spesso trainante di un indotto non solo con caratteristiche turistico-voyeuristiche, ma che fa da motore per tutta una serie, anche se molto frastagliata e pulviscolare, di attività collegate alla stessa produzione culturale.
Fare l’elenco di tutti i soggetti protagonisti di questa spinta e di questa quantità-qualità produttiva è davvero arduo anche se sarebbe necessario e preliminare per provare a definire una strategia di collaborazione-competizione che elevasse la Città a distretto culturale di caratura europea e persino mondiale: il patrimonio di opere, di iniziative, di esibizioni, di manifestazioni è davvero smisurato e di qualità assoluta.
Per citare solamente alcuni capisaldi: oltre a tutto quello che rimane di proprietà dei Musei Civici e di quelli Statali c’è tutto il patrimonio dell’Arte Contemporanea in cui i privati svolgono un ruolo preminente e aiutano a delineare la vocazione per Venezia ad assumere un ruolo di assoluta preminenza nel panorama mondiale del “Contemporaneo”, c’è la Biennale che fa da catalizzatore, ci sono gli Istituti superiori (Conservatorio e l’Accademia di Belle Arti), ci sono le Università con i loro corsi/dipartimenti finalizzati alla creatività e alla ricerca culturale. Ci sono i grandi investitori privati (Guggenheim, Pinault, Berggruen Institute) e gli artisti-filantropi che hanno investito in città come Anish Kapoor.
Gli Istituti di Cultura stranieri (quello Greco, quello Tedesco, quello Francese, quello Rumeno) svolgono anch’essi un ruolo significativo. Senza dimenticare la Fondazione per Venezia capitale mondiale della sostenibilità.
Se la logica del Distretto trovasse applicazione la ricaduta sarebbe enorme: certo la condizione necessaria anche se non sufficiente è che l’Amministrazione Comunale assuma una visione strategica e voglia svolgere il ruolo di promotore e fare da pivot di questo processo.
Un’opportunità per diversificare l’economia veneziana e non lasciarla fagocitare da una monocultura turistica sempre più pervasiva ma portatrice di una modesta percentuale di valore aggiunto (muove soldi ma non genera oltre il 6% del Pil: l’industria manifatturiera vale oltre il 16 per cento del Pil, quello delle costruzioni più del 4 per cento, mentre le attività professionali scientifiche e tecniche, che includono il lavoro di studi legali, contabili e di altri professionisti, hanno lo stesso peso sul Pil del turismo. Sul totale dei servizi, che in Italia valgono il 74 per cento del valore aggiunto, il turismo pesa per circa l’8 per cento (fonte ISTAT).
Già nel 2005 la legge 23 dicembre n.266, nell’ambito di quella che allora si definiva “Legge finanziaria” prevedeva un sistema di norme e agevolazioni fiscali espressamente riconosciute per i Distretti. E’ ancora in vigore, anche se riveduta, “Industria 4.0”.
Al giorno d’oggi bisognerebbe fare riferimento anche alla normativa europea definita CSDDD, Corporate Sustainability Due Diligence Directive: la direttiva è di per sé importante perché estende il concetto della due diligence di sostenibilità alla filiera, ovvero alle attività a valle e a monte della catena del valore di ogni grande azienda. E così facendo valorizza indirettamente il modello italiano del distretto.
Serve prima di tutto una volontà politica che assuma questa prospettiva come strategica e innovativa; è necessario costruire un livello di consenso condiviso fra la maggior parte dei soggetti protagonisti; bisogna attivare tutte le iniziative e le relazioni politico-amministrative perché una serie di vantaggi fiscali trovino applicazione, con particolare riguardo ai livelli occupazionali.
Non è impossibile arrivare a definire un quadro di articolate proposte che metta Venezia, prima fra tutte, in una condizione di sviluppo economico-produttivo dell’immateriale, eleggendo la Cultura come il proprio target primario.
Anche così si può arrivare a far assumere a Venezia il ruolo di “Capitale della Contemporaneità”, oltre che della Sostenibilità.