INCHIESTA. Quale futuro per il PD. Risponde Andrea Martella
28 Gennaio 2023Un movimento liberale contendibile e rinnovabile
6 Febbraio 2023Il vecchio vizio del fare politica per posizioni precostituite, quell’agire per interdizioni, utilizzando tutte i sofismi e tutte le eccezioni dialettiche pur di non prendere mai una posizione chiara (a favore o contro) quasi che “la via di mezzo” fosse una virtù teologale, la mediazione esasperata come unica ragione dell’agire.
Non sembra vero ma anche in situazioni che agli occhi dei più sembrerebbero chiare, lampanti, inequivocabili prevale il “detto-non detto”. Quell’atteggiamento che premia il posizionamento rispetto alla sostanza e al punto in discussione.
Prendete il caso Zelensky e la sua ipotizzata presenza a Sanremo (sì al Festival, come ospite, anche se in video messaggio).
C’è chi ne sostiene le valide ragioni: il Festival della canzone italiana è da sempre (almeno dalla fine degli anni ’70) il palcoscenico sul quale oltre alle canzonette si sono portati temi e problemi di valenza sociale, utilizzando prima di tutto i testi delle canzoni, ma non sono mai mancate nemmeno le presenze fisiche di “contestatori” o ambasciatori sociali (il lavoro, la droga, il femminicidio e così via)
Ma poi a Zelensky, in tempi recenti, sono stati offerti i palcoscenici virtuali dei Golden Globes, dei Grammy, del Festival di Cannes e della Mostra Cinematografica di Venezia.
Non piace a larga parte della politica e sono diversi gli esponenti dell’opposizione che storcono il naso di fronte alla sua presenza nella serata finale del Festival.
Profilo basso invece sul fronte della maggioranza, a partire da Fratelli d’Italia, dopo le critiche sollevate ieri da Matteo Salvini. L’input, evidentemente, è quello di evitare polemiche su un tema delicato, con possibili riflessi a livello internazionale.
“Non credo francamente che sia così necessario che il presidente Zelensky sia in un contesto leggero come quello di Sanremo”, commenta Giuseppe Conte.
“Se serve per sensibilizzare milioni di persone rispetto al dramma che sta vivendo l’Ucraina – sottolinea Stefano Bonaccini – la presenza di Zelensky può persino andare bene. Se invece deve diventare la spettacolarizzazione della guerra non è proprio il caso”.
Critico anche Carlo Calenda: “Ci sono pochi dubbi sulla nostra linea di sostegno all’Ucraina. Ritengo tuttavia un errore combinare un evento musicale con il messaggio del Presidente di un paese in guerra”.
Eppure c’è chi sostiene che “alla fine lo sgangherato livello del dibattito pubblico italiano produrrà il suo tragicomico risultato, e passerà la tesi per cui Zelensky – un leader che da un anno guida la resistenza di un paese europeo contro l’invasione russa – ha chiesto di andare a Sanremo ma non è stato accettato. Come i Jalisse” (E. Mentana).
E così si ritorna alla giostra di sempre: più a guardare il dito del “chi sono io” che a valutare la dimensione della Luna.
Ma di esempi se ne possono fare a bizzeffe: dalla gara al posizionamento all’interno della vicenda congressuale del PD. Un GPS di ultimissima generazione farebbe fatica a distinguere la differenza “spaziale” fra i quattro candidati. Solo la lettura politologica e la dimensione dell’autoreferenzialità di “chi sta con chi” potrebbe fornire la chiave di lettura che però rimarrebbe appannaggio solo dei più raffinati analisti politici. Certamente non sarebbe disponibile per l’elettore piddino ma nemmeno per il militante attivo e organizzato.
Per carità di patria non parliamo delle giravolte grilline, dei suoi indefessi protagonisti che pur di continuare a galleggiare nella palude della politica-politicata sono disposti a rinnegare la madre, il padre e tutti i loro trascorsi da movimentisti e seminatori di odio nella prima versione iper-populista e poi fino alle loro decisioni “governative”, assunte negli anni splendenti dei governi a guida di quell’ineffabile personaggio che risponde al nome di Giuseppe Conte.
Nessuno escluso, anche i protagonisti della politica veneta e veneziana non sono da meno.
Dal Presidente Zaia che che ha scambiato il Veneto per il suo orticello e trasformato un piccolo affare di uffici e strapuntini affacciati sul Canal Grande in un’epopea Serenissima da far vivere ai cittadini-comparse come un’avventura bellissima.
Senza battere ciglio di fronte alla componente leghista (il suo asse portante) che nel tempo ha spaziato da un filo-putinismo a un appoggio incondizionato ad un presidente più che screditato come Bolsonaro.
Così, con la stessa leggerezza con cui beve un bicchiere di prosecco.
O la totale assenza di riflessione ed analisi critica dell’arretratezza e delle contraddizioni latenti che hanno caratterizzato la governance regionale nell’intero periodo della Presidenza zaiana; pur lasciando sullo sfondo la querelle sulle questioni più rilevanti (dal degrado del sistema sociosanitario al collasso finanziario della Pedemontana), restano i buchi neri della (mancata) programmazione e delle concrete politiche di bilancio regionali, inficiate dal pretestuoso ed ideologico rifiuto di adottare gli strumenti previsti dall’autonomia fiscale per l’autofinanziamento.
Cosa dire del nostro Sindaco Brugnaro che definire “desaparecido” nel suo Comune di elezione è fargli un benevolo buffetto?
Avventuratosi nella disputa elettorale del 25 settembre innalzando a livello nazionale le insegne di un improbabile “Coraggio Italia” ne è uscito con le ossa rotte, raccogliendo i voti di un condominio e la percentuale da prefisso telefonico.
E adesso gli sono cadute addosso, senza pena né colpa, a onor del vero, le indagini sul suo referente organizzativo in territorio casalingo.
Come dire: una cattiva selezione del personale. Ops! ma la sua azienda di riferimento non è di questo che dovrebbe occuparsi?
Tutto per cercare sempre e comunque un posizionamento anche se i problemi intanto marciscono e i nodi non vengono sciolti: un attendismo e una inazione deleteria e controproducente.
Qualche festa, qualche palco, qualche serata coi fuochi, qualche sagra: intanto la città degrada nella sua parte di terraferma e nella parte storica lo spopolamento fa il paio con l’espansione incontrollata del turismo invadente.
L’importante è non decidere.
In tutto questo possiamo guardare con un po’ di speranza verso l’area dei riformisti?
Questo è un tempo difficile che chiama le Istituzioni
a dare risposte efficaci. Giorgia Meloni dovrà dimostrare in questo anno di
essere all’altezza della sfida. Il Terzo Polo dichiara che farà un’opposizione
dura ma costruttiva e propositiva, con lo stile che lo caratterizza: idee
concrete, non battaglie ideologiche.
Il voto del 25 settembre ha aperto una stagione nuova anche per questo fronte.
Che per le elezioni europee del 2024 si è dato l’obiettivo di costruire una lista che sia una lista vincente all’interno della grande famiglia di Renew Europe.
Accanto a questa lista dovrà nascere un vero e proprio partito unico dei riformisti. Questo progetto comune fra Azione e Italia Viva (e con chi vorrà starci) non è semplicemente un obiettivo futuribile: è l’unico destino, è l’unico traguardo possibile per riuscire a cambiare gli equilibri politici in Italia.
Mettendo al centro la competenza, il merito, le idee, il coraggio e la responsabilità delle decisioni.
Avviso ai naviganti: non replicare i teatrini politicanti di cui sopra, pena non raggiungere l’obiettivo ambizioso
Per non continuare a fare ammuina.