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14 Novembre 2025
C’è posto nel PD per i liberali?
14 Novembre 2025La vicenda della ex ILVA si sta concludendo, a quanto almeno appare in questi giorni, con una sentenza di morte, perché nessuno ha interesse a rilevarla, nemmeno regalata.
Come è noto, Baku Steel ha mollato la gara a settembre, perché Regione e Comune non hanno voluto nel porto di Taranto una nave gasiera che avrebbe garantito un costo competitivo dell’energia. Inoltre, aveva posto come condizione anche quella di poter assorbire Acciaierie d’Italia e altre richieste di minore rilievo.
Il Ministero per lo sviluppo economico sperava di poter interessare Jindal Steel e Bedrock, le quali anche si sono ritirate. E mancanza d’interesse hanno dimostrato anche le italiane Marcegaglia e Arvedi.
Bedrock avrebbe voluto ridurre il personale a 2mila addetti a Taranto e altri 1000 nel resto d’Italia tra Novi Ligure e Cornigliano. Ovviamente, si sarebbe trattato di tagli spaventosi, ma si sta andando in questa direzione perché il Governo non trova chi sia interessato all’azienda, tanto che ha appena annunciato la cassa integrazione straordinaria dagli attuali 4.500 attuali a 5.700 entro fine dicembre e 6.000 a partire da gennaio. Quest’ultimo annuncia la riconversione ecologica in 4 anni anziché 8, ma non solo i sindacati temono che siamo di fronte ad una chiusura mascherata.
Soltanto a Taranto, ILVA aveva prima della crisi 11.000 addetti, e oltre 13.000 in tutta Italia, ma vi erano anche 3.000 aziende sub-fornitrici o appaltatrici con circa 8-10.000 lavoratori. Nei momenti d’oro solo nel Tarentino tra azienda e indotto vi erano oltre 20.000 addetti.
Risultato: cassa integrazione di massa, quindi con oneri pesantissimi per lo Stato, sacrifici dei lavoratori. E non so quanto tutelati siano i lavoratori dell’indotto, in un’area che non offre facili alternative d’impiego.
Qui hanno giocato diversi fattori negativi, dal costo dell’energia, problema ben noto in Italia, i costi della manodopera che inducono un’industria pesante come quella dell’acciaio a delocalizzare in paesi dove la manodopera è meno costosa. Ma fino ad un certo punto, perché Baku Steel poi si è interessata a Tyssen Group in Germania. Infine, ma non meno importante, l’impotenza del governo centrale verso la Regione Puglia e il comune di Taranto quanto alla nave gasiera che avrebbe dovuto ormeggiare in porto, non lontana tante miglia.
Quadro quindi complesso, con responsabilità trasversali, ma una conferma della difficoltà di fare impresa in Italia. Il Sole 24 Ore di lunedì 10 novembre confermava anche un forte e preoccupante aumento di fallimenti (termine più chiaro ma superato oggi da una parola apparentemente più dolce quale “liquidazione giudiziale”. Ma la sostanza non cambia. Vi è un processo di deindustrializzazione in atto, iniziato con una politica errata dell’Europa quanto all’auto elettrica, specie nella c.d. motor valley padana, gli interessi di J. Elkan con Stellantis oggi più attratti dagli U.S., il tasso di sviluppo italiano che segna il passo. Mancavano solo i dazi di Trump.
Difficile contrastare questa tendenza a breve. Ma non vedo in programma alcuna riforma tesa a rendere attraente e competitivo il paese, che non può ridursi ad avere una economia basata sul turismo e servizi a basso valore aggiunto e ad un assistenzialismo diffuso.



