Il PD: alla ricerca della lingua perduta
30 Novembre 2022Qualche riflessione sul RdC
7 Dicembre 2022A metà di Novembre leggo sul Gazzettino un’intervista all’influencer Francesca Guacci -28 anni- che racconta di essersi sottoposta, liberamente, all’età di 23 anni, a una salpingectomia irreversibile (rimozione delle tube di Falloppio) per evitare indesiderate maternità. Senza sottovalutare il fatto che la dichiarazione potesse servire per darle maggiore pubblicità, cosa essenziale al ruolo di influencer, Guacci sostiene che non solo è convinta di ciò che ha fatto, ma lo rifarebbe.
All’incirca negli stessi giorni leggo di Meloni che, nell’importante incontro a livello internazionale al G20 di Bali in Indonesia, in cui avrebbe incontrato i potenti del mondo, portava la figlia di 6 anni, Ginevra, sottoponendola a un faticoso viaggio di molte ore in aereo, ma compensandola certamente con il bacio rassicurante della buona notte. Anche Meloni sostiene di aver fatto la scelta giusta come madre e come politica.
Ho il diritto di fare la madre come ritengo e ho diritto di fare tutto quello che posso per questa Nazione senza per questo privare Ginevra di una madre.
Questi eventi che riguardano 2 donne che vivono la maternità in modo del tutto contrapposto mi intrigano come donna: perché rinunciare a un’esperienza faticosa ma anche di straordinaria felicità nell’essere madre? Come realizzarsi con una professione appagante? Come esercitare un effettivo ruolo sociale e politico?
Posto che la natura ha affidato alla donna -non da sola, ma in modo che fosse indispensabile (quantomeno fino ad ora)- il compito di continuare la specie umana, posto anche che l’umanità oggi è molto popolata e non richiede un numero illimitato di figli (il problema della denatalità è concentrato solo in alcuni paesi) si pone un nuovo modo di esprimere la femminilità?
Il movimento femminista degli anni Settanta ha messo in chiaro un principio da cui non si può più prescindere: la donna non è un mero contenitore quindi ha tutta la libertà di scegliere se essere madre o non esserlo, e di condividerlo o meno con il compagno. Sul corpo della donna non si può esercitare un potere maschile. La donna ha il diritto di scegliere come vestirsi, come esercitare i suoi ruoli nella famiglia e nella società, in parità con l’uomo, ovviamente non offendendo o limitando i diritti degli altri. Quindi non si mettono in discussione le conquiste degli anni Settanta sul diritto di abortire, di usare i contraccettivi, anche di fare operazioni di salpingectomia.
Questi diritti sono negati in molti Paesi, anche in nome di religioni interpretate in modi brutalmente patriarcali, da una cultura che vuole controllare la fertilità femminile. Anche nelle nostre strade vedo donne bengalesi e non solo, sempre più vestite per nascondere la bellezza del corpo femminile (corpo che si ritiene debba svolgere l’unica funzione riproduttiva?), che inseguono a 10 passi di distanza, uomini che, fieramente, spingono carrozzine con bambini frutto del loro seme. La donna, in questi casi, viene ritenuta ancora un mero contenitore.
È sostanzialmente un problema di potere. Generare è un atto di enorme potere: vedere che dal proprio corpo esce un essere dotato di tutte le proprietà per diventare autonomo, che ne sia cosciente o meno la donna generatrice, è un atto straordinario, che avvicina al potere di creare. Molti uomini, anche se non lo dichiarano, invidiano questo fatto e vogliono controllare la donna, per essere certi che il figlio sia frutto del loro seme. Poi anche su quest’esserino si esercita un grande potere, perché, se non fosse accudito, andrebbe incontro a morte certa. Ma questo potere viene esercitato per dare la possibilità al neonato di diventare una persona libera e non asservita a norme costrittive.
Oltre o accanto al potere di generare, le donne, oggi, cercano di avere il “potere” di fare, di svolgere professioni e ruoli politici che finora sembravano appannaggio di soli uomini. C’è chi ha lottato per diventare presidente (e c’è riuscita), chi dirigente, chi si è “accontentata” di svolgere un mestiere appagante o necessario, per essere indipendente. Il modello con cui esercitare livelli diversi di potere -inteso come poter fare- è fino ad ora il modello maschile, come sembra riesca a fare Giorgia Meloni. Proprio per questo piace anche a molti uomini. Ma può esistere un’altra modalità nell’esercizio del potere? Può il potere essere coniugato diversamente dalla forma attuale che, spesso, si traduce in imposizione, se non addirittura in prevaricazione?
È questa la scommessa che attende l’universo femminile, dopo certamente aver liberato le donne da costrizioni, per cui viene considerata come fattrice subordinata o, al meglio, venerata come una creatura “diversa”, deificata, ma mai considerata una persona pienamente libera, da rispettare nelle sue diverse scelte, purché e perché consapevoli.
Il corpo femminile è predisposto alla maternità, anche se non concretamente praticata, perché è accogliente sia nell’atto sessuale, quando accoglie il membro maschile, che nella gestazione, quando accoglie un seme che porta caratteri diversi dal suo cromosoma. In questo caso la natura non respinge il “diverso” da sé, al contrario predispone la difesa dell’embrione, che, alla fine, verrà espulso e diventerà un individuo “altro” da sé. Questa fisicità non può non avere anche un riflesso nell’immaginario femminile. Proprio su questa qualità dell’accoglienza si può costruire una modalità diversa di intendere il potere che la donna vuole, a giusta ragione, esercitare pienamente in tutti i campi, al pari dell’uomo. Immaginare un potere che sappia ascoltare, che assuma le responsabilità di far crescere persone autonome, che sappia scegliere l’opportunità di separarsi, che sappia rispettare le diversità, che sappia alla fine decidere in autonomia, forse è possibile, se le donne lo vogliono.