Costituzione e ambiente. Cosa cambia?
20 Febbraio 2022L’incommensurabile valore della democrazia
1 Marzo 2022Avere un Presidente della Repubblica che ottiene, come Sergio Mattarella, un secondo mandato con il 75% dei voti è persino imbarazzante. Infatti i consensi cosiddetti “bulgari”, e qui ci siamo vicini, hanno anche una faccia della medaglia poco rassicurante per la democrazia e rimandano a stati totalitari o giù di lì. Viene in mente l’attuale Corea del Nord. E naturalmente vengono in mente i consensi dei totalitarismi novecenteschi e, a parte il caso sovietico, molto elevati anche prima che diventassero dittature totalitarie. Dal momento che la loro ascesa è stata sostenuta da consensi molto alti nella fase in cui non avevano ancora stretto le maglie del controllo sociale e della censura.
Va da sé che non è il caso di Sergio Mattarella, perché bisogna saper leggere i modi, le forme e le ragioni per cui esiste un riconoscimento così ampio per una persona che viene vista come garanzia di equilibrio, di libertà politica e di coesione sociale, non solo nell’emergenza, ma anche nel tempo ordinario che è perennemente ‘emergente’. I sondaggi successivi alla sua elezione hanno confermato che con la stessa percentuale i cittadini italiani hanno approvato questa scelta, è impressionante la corrispondenza dei numeri, che anzi si scosta verso l’alto con un punto in più. E se i parlamentari rappresentano i cittadini vuol dire che, consapevoli o meno, hanno effettuato questa scelta non solo, come insinuano le malelingue, per preservarsi il posto. La gente si sente stanca e logorata dall’agone politico, questo il messaggio lanciato, e reclama un clima di pacificazione politica e sociale. Senza per questo ignorare che i conflitti ci sono e profondi, ma che si risolvono con la virtù politica della mediazione.
I rappresentanti dell’istituzione svolgono questo ruolo, tutto il resto è una ‘canea’ indecente.
A volte fantastico e vago col pensiero verso soluzioni improbabili da fanta politica. Per esempio dico tra me e me nei momenti di ‘mona’ che in linea di principio tutte le figure istituzionali dovrebbero avere sempre un consenso ampio per legge , anche i ministri, con maggioranza qualificata sempre, come nelle prime votazioni per il Presidente della Repubblica. Quando lo penso, sapendo di mentire, sento già nelle orecchie l’obiezione: “bravo e che si fa? Si va all’infinito con votazioni e possibilità di interdizione senza fine?” Obiezione logica, tanto è teorica e oziosa la mia osservazione che completo con una, altrettanto oziosa, da visionario: “…bene, se non si raggiungono mai maggioranze qualificate, dopo un tot il governo mondiale del pianeta provvederà ad un commissariamento governativo in quegli stati che non le raggiungono mai nell’elezione delle loro figure istituzionali. A fare Il Capo dello stato, il primo ministro etc. etc. sarebbe una figura istituzionale designata a scala più ampia, ma ugualmente legittima e di garanzia”. Poi mi do uno schiaffetto sulla guancia per tornare in me, e mi rassegno a constatare che il governo mondiale non esiste (non sarà mica l’ONU, vogliamo scherzare?). Però ci siamo capiti sul ruolo che dovrebbero avere le figure istituzionali.
E’ questa la ragione per cui sono contrario al Presidenzialismo, cioè all’elezione diretta del Capo dello Stato con molti più poteri. Visto che ogni logica razionale, non la mia da visionario, porta a stabilire che si vince con il 50, 01% dei voti validi, il capo dello Stato anziché istituzione di tutti con il Presidenzialismo sarebbe inevitabilmente un capo fazione fazioso e di parte, al di là delle sue più nobili intenzioni che magari ostentano il contrario. C’è chi persino assegna a questa logica della dialettica e dello scontro politico ‘dentro o fuori’ l’essere il sale della democrazia, ma visionario per visionario, lo è anche chi dice questo, una menzogna più o meno cosciente che vuole giustificare lo statu quo del metodo politico in vigore in molta parte del pianeta, senza porsi domande sui suoi evidenti limiti. Apprezzo la linea politica del Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron, ma sono abbastanza obiettivo per dire che con il sistema presidenzialista francese lui non può essere garante di tutti i suoi cittadini, perché, con un’astensione solo solo normale e con vittoria al ballottaggio, ne rappresenta una minoranza.
Per tutte queste ragioni auspico una nuova legge elettorale molto proporzionalista, che consenta solo maggioranze con grandi intese e ostruisca governi di alleanze parziali con consenso limitato. Coltivo cioè la speranza che dopo ogni elezione i singoli partiti siano talmente ripartiti in blocchetti di voti, a due cifre si, ma di cifre non troppo alte, da non consentire alleanze di parte. Già con questa legge semi proporzionalista ciò può in teoria avvenire. Detesto profondamente quello slogan che chiede governabilità e stabilità dicendo “bisognerebbe che la sera degli scrutini i cittadini sappiano chi ha vinto e chi ha perso”. Perché la politica democratica non è una partita di calcio, ma vive del confronto permanente e dell’ascolto reciproco, senza vincitori e vinti, pena essere tutti perdenti.
In questa pagina Franco Vianello Moro sottolinea giustamente come nella vicenda dell’elezione di Sergio Mattarella siano stati i partiti ad essere sconfitti, ma non la politica, che è riuscita a by passarli, imponendo dal Parlamento la scelta più rappresentativa. Il Parlamento per un attimo si è ripreso il ruolo dell’essere espressione della libertà politica. Nella Costituzione Italiana ai partiti si dedicano non più di tre righe, facendo intendere che ai cittadini è possibile associarsi ad essi ma non obbligatorio, come tutte le leggi elettorali invece prevedono ed hanno previsto nel passato. E le leggi elettorali non sono emanazione della Costituzione che su questo tema formale non si esprime. Il cittadino che volesse concorrere alle decisioni politiche al livello più alto, senza associarsi in partito semplicemente non lo può fare. Perché anche le liste elettorali volatili, fatte solo per quelle elezioni, in quel momento sono come dei partiti a tempo. Un cittadino non si associa al Partito, ma per un attimo con il voto è costretto ad associarsi lo stesso con un’imposizione ingiustificata, come se nell’articolo fosse scritto “deve associarsi”. In Costituzione come svolgere le elezioni non lo si dice, e meno che mai sono nominate liste e simboli come gabbia per votare. Quindi chi volesse autocandidarsi e rappresentare lui solo i suoi elettori e basta non lo può mai fare. E per fortuna che in un altro articolo si prevede che non ci sia vincolo di mandato e che ogni parlamentare rappresenta prima di tutto la Nazione. Bene io credo che nell’elezione del Capo dello Stato si sia visto l’embrione di questa possibilità e nessuno mi toglie dalla testa che questa del ‘senza vincolo di mandato’ è stata a suo tempo nell’assemblea costituente una dovuta compensazione all’imposizione partitica o di lista, che le leggi elettorali avrebbero previsto in seguito.
Il ruolo del Parlamento ha cominciato forse per la prima volta ad essere centrale? La speranza è questa, e una ritrovata centralità parlamentare sdrammatizza il rischio del pensiero unico che si portano dietro ampie maggioranze con grandi coalizioni istituzionali nella Presidenza della Repubblica e possibilmente anche nel Governo. Perché nel Parlamento la dialettica politica può esserci e rappresentare anche posizioni molto diverse su ogni proposta di legge, con maggioranze non blindate in anticipo, ma di volta in volta su ogni tema, con una fisionomia di maggioranze variabili. In futuro non dovremmo più sentire la notizia “il governo è andato sotto quattro volte”, perché il governo con le votazioni in parlamento non dovrebbe centrarci e neppure i voti di fiducia, se le due istituzioni fossero veramente autonome. Lo si concede in questa fase di urgenze ed emergenze, ma anche lo stesso decreto legge dovrebbe essere limitatissimo.
Il Parlamento quindi, snellito come un certo referendum aveva proposto, e io credo che pur mantenendo le due camere, molti passaggi possono essere comunque resi più fluidi. Snelliti in Parlamento e in tutte le situazioni in cui il cittadino può decidere o influire sulle scelte; e sappiamo quanti e quali sono gli ambiti in cui ciò può accadere, sin troppi. E’ il tema della burodemocrazia, cioè della democrazia resa così complessa e avviluppata, in pesi e contrappesi e in luoghi con diritto di veto, da negare se stessa alla radice, con un letale assetto burocratico e formale.
Ma questa, come si dice, è un’altra storia. Alla prossima.