Contributo d’accesso. Posizioni a confronto
20 Novembre 2022Sinistra, la fine di un’Epopea
22 Novembre 2022
Si è inaugurata il 29 ottobre la “mostra-evento” su “Tutankhamon e i 100 anni di misteri” dalla scoperta archeologica della sua tomba avvenuta il 4 novembre 1922. Ma non siamo né al Museo Egizio del Cairo, né al Museo Egizio di Torino bensì a Venezia, a Palazzo Zaguri, in Campo San Maurizio.
Il curatore della mostra, Maurizio Damiano, non nasconde lo scopo prevalentemente didattico-divulgativo della rassegna con la precisazione che “si tratta di un percorso rivolto al grande pubblico che va dal visitatore più colto alle scolaresche”. In pratica, un viaggio che si sviluppa lungo le 36 stanze distribuite sui cinque piani del palazzo veneziano dove vengono proposte delle ricostruzioni fedeli, in scala e autorizzate da parte del governo egiziano, dei luoghi archeologici, compresa – ovviamente – la copia del manufatto della celeberrima maschera in oro e lapislazzuli del faraone Tutankhamon.
Durante la visita, oltre ad ammirare le copie degli oggetti, il pubblico potrà indossare degli appositi visori per la visita virtuale mediante i quali ci si può immerge nelle stanze ricreate in 3D della tomba scoperta un secolo fa dall’archeologo britannico Howard Carter. Più di 600 oggetti tra quelli presentati in mostra sono stati realizzati dalla Horus Ltd., la più autorevole scuola egiziana di restauratori, che li ha realizzati sotto la guida degli archeologi del Museo del Cairo.
“Ma che senso ha esporre delle copie di manufatti artistici in un museo?” – questa è la domanda che viene spontaneo chiedersi. Ebbene, in questo caso i precedenti sono numerosi e famosissimi.
Le Grotte di Lascaux, il complesso di caverne celebre in tutto il mondo per il ricchissimo repertorio di opere d’arte parietali risalenti al Paleolitico superiore, furono scoperte nel 1940. Nel 1946, finita la Seconda Guerra Mondiale, le Grotte vennero aperte al pubblico, ma già nel 1955 le pitture parietali risultavano così gravemente danneggiate dalle esalazioni di anidride carbonica prodotte dal respiro dei circa 1200 visitatori giornalieri ammessi al loro interno, tanto che, a partire dal 1963, queste furono chiuse alle visite e le pitture restaurate.
Vent’anni dopo, nel 1983 è stata realizzata Lascaux II, la replica delle Grotte originali situata ad appena 200 metri dalla sede originale, con una copia della Grande sala dei tori e della Galleria dipinta, che è diventata nel 2008 la meta principale delle visite turistiche, mentre nel Parco di Le Thot, che tuttavia sorge ad alcuni chilometri dal villaggio di Montignac, dove sono
situate fisicamente le grotte, sono esposte altre riproduzioni dei dipinti rupestri.
A Venezia, nel 1982, si decide di realizzare le copie dei quattro cavalli bronzei e di esporli sul loggiato all’esterno della Basilica di San Marco al posto degli originali che – restaurati – sono però visibili all’interno della stessa. La stessa sorte è stata riservata nel 1990 alla statua equestre di Marco Aurelio, ricoverata all’interno del Palazzo dei Conservatori di Roma e
sostituita nel 1997 da una copia, seppure priva della doratura presente nell’originale, sul piedistallo di Piazza del Campidoglio.
Nella Sala del Refettorio palladiano del convento benedettino sull’Isola di San Giorgio Maggiore la scansione e la stampa in 3D ad opera di Factum Arte di Adam Lowe hanno permesso di ricreare il dipinto “Le nozze di Cana” di Paolo Veronese sottratto da Napoleone e portato al Louvre dove è possibile vedere l’originale, benché in un contesto differente da quello per il quale era stato dipinto.
Nel settembre 2021, a Parigi, presso la Cité de l’Architecture et du Patrimoine, è stata aperta la mostra virtuale delle Grotte di Lascaux e delle sue pitture realizzata dalla società Dassault Systèmes specializzata nello sviluppo di soluzioni di progettazione assistita dal computer in 3D e digital mock-up. Le due principali attrazioni turistiche di quest’anno a Marsiglia sono state la rassegna virtuale sulla Monna Lisa e la visita alla copia della Grotta di Cosquer. La prima mostra (“La Joconde” al Palazzo della Bourse dal 10 marzo al 21 agosto 2022) è un progetto di alta tecnologia che ha
consentito la visita “immersiva” a chi, entrando negli ampi spazi dell’installazione, ha avuto la sensazione di essere condotto all’interno di un’ambientazione ispirata al celebre dipinto vinciano, con la percezione di trovarsi addirittura all’interno del mitico ritratto, proprio come avvenuto nel film “I colori della Passione” (2011) per il dipinto di Brueghel, mentre la
seconda attrazione (“Cosquer Méditerranée”, proprio accanto al Mucem da giugno 2022) prevede di “entrare” con un ascensore/batiscafo nella replica in modello 3D della grotta, altrimenti inaccessibile perché situata a 37 metri sotto il mare, qui ricreata in maniera millimetrica nel cuore della zona del porto di Marsiglia, con le impronte delle mani lasciate da un gruppo di Homo Sapiens trentamila anni prima della nostra era con la sensazione di
trovarsi all’interno della “vera” grotta Cosquer davvero impressionante.
Attualmente, ancora nella capitale francese, al Grand Palais Immersif, dal 21 settembre di quest’anno, si può visitare in maniera virtuale la Mostra Venise Révélée che “porta un po’ di Venezia a Parigi: un viaggio digitale che celebra in maniera immersiva i monumenti della città lagunare” prodotto con il contributo della Fondazione Musei Civici.
Vuoi per l’interesse verso le nuove tecnologie, o per pura curiosità nei confronti del fenomeno, certo è che sempre più visitatori decidono di rivivere le opere d’arte dei grandi maestri del passato o di visitare i luoghi più lontani attraverso le immagini digitalizzate di grande formato, circondati da suoni e rappresentazioni virtuali che ne rendono possibile la
fruizione in maniera digitale.
Dal mito platonico della caverna e fino al “Mondo come volontà e rappresentazione” di Schopenhauer, la filosofia si è sempre occupata, fin dalle sue origini, della realtà e dell’immagine del mondo da decifrarsi attraverso la matematica (Galileo Galilei e Leibniz). Per il filosofo australiano David J. Chalmers, che insegna Neuroscienze all’Università di New York, gli eventi virtuali, come, ad esempio, una passeggiata fatta in un ambiente digitale, hanno avuto luogo realmente e quando percepiamo i mondi virtuali attraverso delle esperienze immersive in un ambiente che ci circonda, queste non sono illusorie. Quando si discute di mondi virtuali, agli oggetti digitali vengono spesso contrapposti gli oggetti reali. Ma per Chalmers le esperienze fatte nella realtà virtuale includono una percezione non illusoria di un mondo digitale.
Chi vince una partita a scacchi generata dal computer ha realmente giocato e vinto una partita a scacchi ed il fatto che non ha mai realmente spostato alcun pezzo fisico su una scacchiera solida, ma soltanto degli oggetti digitalizzati su di uno schermo non ne cambia il risultato. Non avviene che, per il solo fatto che si è trattato di una partita digitale, questa sia stata persa
anziché vinta o, come suggeriscono i realisti, non sia mai stata realmente giocata, così come i simulatori di volo e gli altri programmi di addestramento in cui la simulazione del mondo fisico ambientato in un aeroporto situato da qualche parte sulla Terra svolge realmente un
ruolo fondamentale per apprendere le procedure di atterraggio. Per sua stessa definizione, il Metaverso non ha troppa indulgenza per i confini di alcun genere e, come in “Neuromante”, il racconto di fantascienza di William Gibson, il padre del Cyberpunk, l’azione si può passare da
Tokyo a Istanbul e a Parigi, senza che per questo le acque superficialmente calme e stabili della matrice, ovvero la realtà virtuale in quanto allucinazione consensuale, soffrano della benché minima increspatura passando così dalla Utopia e dalla Distopia alla pericolosamente
più inquietante Atopia.
L’invenzione relativamente recente delle realtà virtuali presume un intreccio di sensorialità, di attività cognitive, di percezioni ed emotività il cui luogo non è più confinato soltanto nella mente e nel corpo dell’uomo, ma – gradualmente – viene a situarsi in una nuova sede virtuale in cui uomo e computer si incontrano in una sorta di Post Umanesimo.
Tuttavia, l’obiezione più ovvia che viene rivolta al valore della realtà virtuale è che l’esperienza che ne deriva manca del requisito della corporeità. E anche se è vero che nel mondo virtuale si può essere dotati un corpo virtuale, questo risulta sempre alquanto limitato, mancando di molte funzioni quali mangiare, bere, amare, nascere e morire proprie del corpo fisico che, come ha ben rilevato il filosofo Maurice Merleau-Ponty: “il corpo è il nostro strumento generale per avere un mondo”. Nonostante ci sia un certo grado di incarnazione nel proprio avatar, al momento, i corpi virtuali non sono ancora in grado di fare ciò che è proprio del corpo fisico. Ma anche senza dover necessariamente ricorrere alla situazione descritta nel film “Matrix”, è comunque ipotizzabile che alcuni elementi della corporeità potranno presto essere trasferiti nella realtà digitalizzata.
Già oggi nessuno dubita della “realtà” di una biblioteca virtuale. Con una buona scheda grafica è possibile estrarre un antico volume da un ripiano, soffiarne via la polvere, appoggiarlo su di un leggio scricchiolante, aprirlo e cominciare a sfogliarne le pagine per leggerlo nella stessa identica maniera in cui si leggerebbe un libro cartaceo con in più degli indubbi vantaggi se si
sta cercando una frase specifica o perfino una singola parola.
Nel recente spot pubblicitario di Meta, l’evoluzione digitale di Facebook verso una nuova tecnologia, dove, grazie ai dispositivi di realtà aumentata, la presenza virtuale sarà equivalente e parallela a quella fisica, un medico potrà imparare a operare nel Metaverso infinite volte prima di potersi confrontare con il paziente (condizione già ora ampiamente accettata e condivisibile) e gli studenti, a lezione, potranno recarsi realmente nella Roma imperiale ed assistere con i loro avatar in presenza alle dispute di Marco Antonio nel Foro.
Ma, se come annuncia un po’ inquietante la loro pubblicità: “l’impatto sarà reale”, allora sarà bene evitare di trovarsi tra Bruto e Cesare intorno al 15 marzo del 44 a.C.