
Quando c’era lui
30 Gennaio 2024
Le tribolate contraddizioni del pacifismo. Risposta a Bolpin
5 Febbraio 2024Da CARLO ALBERTO BOLPIN, presidente dell’associazione Esodo, ricevo in forma di lettera, questa riflessione che a sua volta si riferisce all’editoriale del novembre ’23 sul tema ‘pace e guerre e stati sovrani’ (https://www.luminosigiorni.it/cultura/stati-sovrani-fragili-ma-uniche-e-inviolabili-forme-giuridiche-in-attesa-di-meglio/ ). La pubblichiamo volentieri, anche perché, con un eventuale risposta da parte della Redazione, o di chi la rappresenta, e che già ipotizzo, può iniziare un dibattito proficuo su questo tema cruciale.
Caro Carlo,
ho letto il tuo editoriale del numero di novembre di L.G. Ho pensato di scriverti per due motivi, considerando l’amicizia e la stima che dura dagli inizi anni ’60 del secolo scorso. Innanzitutto, citi due volte la rivista Esodo, di cui siamo tra i fondatori nel lontano 1979. In secondo luogo, inizi parlando di amici con cui ti trovi “su posizioni politiche contrastanti e lontane”. Sulle posizioni di questi amici fai alcune considerazioni. Non so dove mi metti.
Mi interessano le questioni che poni sulla guerra e sulla pace alle quali dai molto spazio, anche perché dedichiamo due numeri della rivista ESODO sul tema e un dibattito che continua nel sito.
Una premessa: giustamente accusi di doppiezza sia alcuni pacifisti sia i non. Per quel che conosco vedo chiaramente una grande doppiezza in chi identifica un “Occidente” (quale?) come il Bene senza una critica ai crimini fatti, anzi rimuovendoli o legittimandoli. Non sono mai stato del PCI (nemmeno di Berlinguer) soprattutto per le posizioni verso l’URSS e l’Europa: fin dal liceo sono stato europeista (in questo non mi sono mosso di un millimetro). Ma proprio per questo sono radicalmente critico verso “il mio mondo”. La necessità di contrastare il male non può legittimare il male commesso dalla propria parte, di cui dobbiamo essere la “cattiva coscienza” critica.
Si tratta non di mettere tutti i regimi sullo stesso piano, ma di capire le radici delle atrocità e delle disumanizzazioni, anche quando fatte in nome del Bene e da chi sta dalla parte “giusta” perché “è la storia”, “è la guerra”, “è la difesa della democrazia e della libertà”. Ogni scelta è intrisa di negatività e contraddizioni e deve misurarsi con l’analisi delle possibili conseguenze negative nelle situazioni concrete.
Alcune considerazioni partendo da alcuni dati di fatto.
Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno perso tutte le guerre, in cui hanno trascinato l’Europa, non certo per valori ed ideali, aggravando sotto tutti i punti di vista rovinosamente la situazione precedente dei vari popoli invasi, direttamente e non. Totalmente d’accordo con la tua immagine dell’Europa, ma indichi un ideale che certamente non vedrò realizzato. Forse nemmeno vedrò una inversione di tendenza. L’Europa ha “tradito” la propria identità originaria, ha mantenuto il vizio d’origine degli Stati Nazione, ciascuno dei quali continua ancora a perseguire i propri interessi economici e politici anche in contrapposizione con le altre Nazioni dell’Unione Europea. Non c’è alcuna volontà di unificare le politiche fiscali, bancarie, del lavoro e dell’immigrazione, tanto meno la politica estera. Anzi. Che l’Europa sia “la mera aggregazione di interessi economici” delle singole Nazioni non è una idea dei detrattori dell’Europa, non “la sintesi ideologica della tendenziosa narrazione dei detrattori”, ma un dato di fatto derivato dal vizio iniziale di credere che bastassero accordi per il libero scambio interno di merci e persone, contro i “padri fondatori”. Prendere coscienza di questo, capirne le cause, significa contrastare realisticamente i “detrattori”, Governi e partiti non solo sovranisti, ma tutti coloro che non vogliono sviluppare poteri sovranazionali e legittimano (e finanziano) le “democrazie illiberali” con compromessi a basso livello, contrari al diritto.
Per questo concordo con chi parla di declino dell’Europa, sempre più marginale e priva di progetto: ogni Nazione pensa di essere ancora una potenza o che sia possibile tornare ad esserlo, senza però avere più la forza culturale, economica e nemmeno militare. Pensa quindi l’Unione Europea in senso difensivo, come fortezza chiusa, che ha perso anche credibilità etica e culturale presso gli altri popoli e anche all’interno. Non credo serva ricordare l’elenco dei crimini contro le persone e i popoli compiuti da Usa e da Stati europei ex coloniali, che, constatiamo, vengono “cacciati” dalla maggior parte del mondo.
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Mi viene sempre detto che anche gli altri commettono crimini, ma è un infantilismo: “è stato prima lui”! Contano i risultati.
In alternativa all’”Occidente” si formano nuove aggregazioni di popoli che ora costituiscono la maggioranza dell’umanità. Il dollaro e la potenza nucleare statunitense non bastano più a coprire la debolezza dell’Europa che deve decidere se restare suddito degli Usa o alleato e darsi una soggettività politica e culturale (Prodi).
Questi sono dati di fatto: le analisi sulla situazione e sulle cause sono complesse e, secondo me, vengono da lontano, dal modo stesso in cui è stata gestita la Seconda guerra mondiale e il postguerra fredda.
Un punto è centrale. Gli Stati europei rinunciano definitivamente ad un ordine internazionale fondato sui principi della Dichiarazione dei diritti umani e dell’ONU, del diritto garantito dalla forza di organismi internazionali e non dalla Nazione più forte. Tragico esempio è il modo di gestire, da parte di tutti i Governi, i processi migratori con politiche criminali (anche nell’ultimo rovinoso accordo UE). Significativo è che Kant fondi la
pace sul diritto internazionale che garantisce il diritto primario a migrare e quindi sul dovere dell’ospitalità, diritto che oggi viene ampiamente e brutalmente negato anche dall’Italia e dall’intera Europa patria del diritto. Si può, anche in un solo caso, violare il primo principio categorico della morale; cioè il dovere di rispettare la persona umana di chiunque “sempre come un fine e mai come un mezzo”? Sono “libero” se non riconosco, e anzi opprimo, la libertà di altri?
Il principio kantiano va compreso e realizzato nelle concrete situazioni storiche, ma, prima di tutto, va riconosciuto il suo carattere universale. Mi sembra che stiamo andando in senso contrario.
Riusciranno i popoli europei a riprendere l’origine, la propria identità unica nella storia del mondo? Non occorre ricordare a te le caratteristiche di questa cultura, di cui si sta perdendo anche la memoria, tornando a narrazioni di identità etniche-nazionali sempre più chiuse, di stati d’eccezione e di emergenze permanenti (contraddizione di termini) in cui il principio primo della civiltà viene costantemente violato perché è “inevitabile”: il principio della dignità e libertà dell’individuo tanto proclamato. Ma se lo si nega ad un altro si nega a sé stesso.
Finito il periodo dell’autoinganno, del sonnambolismo che narrava di avere avuto dalla fine della Seconda guerra mondiale un lungo periodo di pace al proprio interno, Usa e Europa continuano nel sonno del proprio benessere verso una “decrescita infelice”: difesa delle frontiere “esternalizzando” a criminali (Libia, Egitto) e creando muri; delegando la propria difesa ad altri Paesi (Ucraina, Israele, bande e dittature varie nel mondo) a cui dare armi (“armiamoci e partite, morite voi”); aumentando la spesa per armi tecnologiche capaci di uccidere sempre più i civili del “nemico”, vendute a Nazioni in guerra contro la legge.
Intendo dire che non si può parlare di guerra in astratto ma analizzando le complesse realtà e che l’ottica da cui guardare è come creare le condizioni per la pace, come preparare la pace e non avere come opzione principale – e unica- la guerra, come prepararsi e vincere la guerra (sempre più senza fine, senza vincitori).
Un’obiezione è: se uno Stato inizia la guerra? L’unico caso in cui viene affermato il diritto alla guerra è il “valore” della legittima difesa. Ma, prima e dopo la Seconda guerra mondiale quale guerra dell’Occidente è stata fatta per difendere un valore o per la propria legittima difesa? Nessuna guerra nasce all’improvviso, nessuna invasione è una sorpresa, nemmeno quella Russa in Ucraina, ma nemmeno la criminale azione di Hamas. Forse lo sono stati, ad esempio, il tentativo di invasione a Cuba, i bombardamenti in Cambogia, le invasioni dell’Afghanistan e della Libia, i colpi di Stato in Cile, Burkina Faso, e vari altri in tutti i continenti. Evidente, anche considerando questi casi, è che nessuna guerra ha risolto i problemi, anzi: occorre la politica.
Mi sembra evidente che storicamente, non ideologicamente, la guerra è la fine del diritto e della politica (e della ragione secondo la Pacem in terris): non è ideologia ma un dato storicamente verificabile.
Tu poni il problema se sono “necessari” i ‘crimini di guerra’ verso la popolazione civile ritenuta come un tutto nemico da vincere ad ogni costo. Non dovremmo avere dubbi a rifiutare questa ipotesi in nome proprio della civiltà che costituisce l’identità autentica dell’Europa. Ne ho parlato nella recensione al libro di Morin nell’ultimo numero di Esodo. Giustificare crimini in nome di un Bene significa distruggere questa civiltà: ogni azione deve essere sottoposta al logos, al diritto, alla pietas, ai principi socratici e kantiani che hanno fondato il processo di civilizzazione partito dall’Europa. Cedere al contrario riporta alla barbarie. Questo è realismo, in particolare oggi sia per la potenza delle armi sia per la coscienza collettiva raggiunta.
È “strano” come si legittimi la guerra difensiva dell’Ucraina con la Resistenza contro il nazifascismo (con analogia storicamente errata!) e si neghi il principio e l’insegnamento fondamentale di non comportarsi come i fascisti e i nazisti. Non c’è alcuna giustificazione, alcun diritto di obbedire ad ordini criminali in nome di un bene, considerato tale.
Ha ragione Simone Wei quando scrive che la giustizia fugge dal campo del vincitore.
Il genocidio del popolo palestinese non è giustificato dall’orribile pogrom di Hamas. Dire che “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi, un vero strumento della politica”. è ottocentesco, quando i rapporti erano tra Stati Nazione, tra potenze coloniali e tra Stati nascenti contro gli Imperi. La globalizzazione ha messo fuori gioco questa logica: non è realistico voler tornare indietro. Siamo dentro alla “terza guerra mondiale a pezzi” con il rischio reale che diventi totale.
Non è vero quanto scrivi che si vis pacem para bellum di romana memoria, non solo una teoria, ma una prassi che storicamente ha in effetti mantenuto a lungo una situazione
di sostanziale pace;, perché la pace è stata finora -oggi non più- vera solo per noi. Abbiamo esportato le guerre per il nostro benessere. Ma ora paghiamo il conto. Inoltre, se è vero che il nucleare ha funzionato da deterrenza, ora sono sviluppate tecnologie tanto distruttive, anche se mirate, e il nucleare è in possesso di tanti Stati, molti governati da dittatori, da pazzi o da fondamentasti, che seguono il principio: muoia Sanson con tutti… La soluzione sta ancora nella politica.
Non solo l’utopia abbaglia ma anche il realismo cinico, il machiavellismo (una errata divulgazione del pensatore), fa perdere la ragione, fa confondere la realtà con la propria narrazione e aspirazione.
Non è logica l’affermazione del diritto alla legittima difesa, all’autodeterminazione, come “valore assoluto”, principio astratto, senza l’analisi storica delle condizioni.
Si può oggi ancora parlare di guerra giusta come mezzo per una giusta causa? Esiste la sola alternativa tra resa umanitaria e resistenza armata?
Se le guerre esigono la vittoria “a qualsiasi costo” e l’annientamento del nemico a qualsiasi prezzo in nome di propri principi e interessi posti come assoluti, la pace invece è la ricerca dell’accordo per il male minore o per il maggior bene possibile, il perseguimento della negoziazione e del compromesso possibile, che cambi positivamente anche i rapporti con il “nemico”, che non umili le diverse parti, che valorizzi la fiducia e la cooperazione per la comune costruzione migliore, anche in tempi lunghi: significa assumere l’etica della responsabilità assieme a quella dei valori (o presunti tali).