CONO DI LUCE – La guerra non parte da qui, di Marco Palma
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26 Ottobre 2021Marco Michieli si interroga sulla possibilità di un’area socialiberale nel nostro Paese C’é uno spazio “socialiberal” in Europa e in Italia, oggi?, in LG dell’1.10.2021,
Luminosi Giorni ha già ospitato le proposte di Claudia Mancina per un futuro di sinistra liberale, o liberal-socialista. ( Il futuro è di una sinistra liberale. Intervista a Claudia Mancina del 28 ottobre 2020, ripreso dal sito “Soloriformisti”).
Ci si riferisce ad un’area basata sul libero mercato che sia però soggetto a regolamentazione, da parte dello Stato; un’area dove lo Stato intervenga per correggere le disuguaglianze economiche e sociali, quando quelle disuguaglianze divengano pericolose per la convivenza civile e per lo svolgersi o il consolidarsi della prassi democratica.
L’interesse per un’area social-liberale deriva anche da un confronto storico: vari economisti concordano sul fatto che all’interno del mondo capitalista la trascorsa fase socialdemocratica è stata caratterizzata da aspetti positivi, quali una ridistribuzione delle risorse mediante il sistema fiscale e i trasferimenti statali, una assistenza sanitaria accessibile e con servizi pubblici e gratuiti, un buon sistema scolastico, ed un livello di disuguaglianza temperato, o per lo meno contrastato.
Ma l’esperienza socialdemocratica, sia pur riadattata, è replicabile, o si è trattato di una esperienza irripetibile?
Gli anni di maggiore efficacia del Welfare State sono stati quelli della sostenuta crescita economica: aumento del numero delle imprese, per l’ampliamento del mercato e per lo spostamento progressivo della forza lavoro dall’agricoltura all’industria; aumento della dimensione delle aziende industriali, con concentrazione della componente operaia – condizione che ha favorito la sua sindacalizzazione, anche per l’alta omogeneità delle mansioni lavorative – ; aumento dei consumi privati e pubblici, con conseguente sostegno all’attività industriale , e successivamente all’attività dei servizi. E’ l’epoca denominata dei “trenta anni gloriosi” seguiti alla 2° guerra mondiale, che contribuirono al consolidarsi della classe media.
Dopo l’accelerazione in senso liberista impresso negli anni ’80, e la sconfitta del Labour in Inghilterra, fu coniata la denominazione Terza via,di Giddens e Blair: una definizione ormai abbandonata, dallo stesso Giddens.
Attualmente la situazione economica e politica, nel mondo occidentale, è più complicata: è aumentata la libera circolazione dei capitali, la dislocazione estera della produzione e la circolazione della mano d’opera. La globalizzazione ha portato a sviluppi positivi per le classi medie del mondo asiatico ed a sviluppi negativi per quelle del mondo occidentale. (Si rimanda all’articolo ” L’elefante globale: un profilo populista” in LG del 3/2/2019). La classe media occidentale, basilare per un buon funzionamento della democrazia, si è assottigliata e indebolita.
Sono molteplici i fattori che oggi in politica rendono non facile una convergenza di forze per un programma di liberalsocialismo. Indipendentemente dalle difficoltà attuali, nel nostro Paese l’esperienza socialdemocratica non ha raccolto l’interesse che avrebbe meritato. Non dimentichiamo che per decenni il PCI ha avversato la prospettiva socialdemocratica, in nome dell’ortodossia ideologica e in nome di una costruzione – considerata ineludibile – della società comunista.
Resta il fatto che il comunismo ha esaurito il suo percorso storico, e che le diverse versioni socio-economiche vigenti sono quelle all’interno del sistema capitalistico. E’ all’interno di questo sistema, vale a dire all’interno dell’economia di mercato, che dobbiamo agire per regolarne i meccanismi e attenuarne gli squilibri.
Ancora oggi, nei partiti succedutisi al PCI e nella sinistra radicale è presente questa avversione verso il mercato. E’ ultimamente riemersa una nostalgia per i passati colossi dell’industria di stato, l’aspirazione ad un assetto marcatamente statalista, che facilmente guarda all’alleanza con tendenze antindustriali rappresentate dall’ideologia della “decrescita felice”: una alleanza che presenta notevoli rischi per lo sviluppo economico.
Ma quelle forme del passato statalismo appartengono a fasi di crescita dell’economia, e sono difficilmente replicabili nella presente fase di andamento economico ancora incerto.
Per sostenere il welfare bisogna prima rilanciare e sostenere la ripresa e l’espansione produttiva: Il welfare necessita di sviluppo, senza il quale è molto più oneroso e difficile il reperimento delle risorse. Una volta rilanciato lo sviluppo produttivo, potremmo impiegare parte delle risorse per aiutare non solo i ceti interni più svantaggiati – cui si sono aggiunti i “perdenti della globalizzazione” – ma anche, insieme agli altri paesi più economicamente sviluppati, per sostenere il reddito dei paesi più arretrati.
E questo avrebbe anche una ricaduta politica, nazionale ed internazionale, quella cioè di togliere argomenti e energia, e quindi voti, alle forze sovraniste e populiste. E’ una grande sfida, perché molto dipende anche dalla nostra classe politica, dalla sua capacità progettuale e gestionale, che appaiono ambedue deludenti. Ma vale la pena tentare.
Non so che cosa comporterà l’esperienza di governo di Mario Draghi, se cioè possa essere propedeutica ad un “partito della nazione”, cui accennava l’articolo di Marco Michieli. Il governo Draghi è un governo il cui compito primario è l’uscita dalla situazione pandemica e la ripresa economica. Quello che gioca a favore di Draghi sono la sua competenza riconosciuta a livello internazionale, la sua condotta super partes, ed il suo stile, sobrio e misurato. Sono elementi discontinui rispetto all’agire di una moltitudine di politici che si distinguono per mancanza di coraggio, per animosità quotidiana e per visioni a cortissimo raggio.