
ELEZIONI, SOCIALIBERALISMO ALLA PROVA
21 Agosto 2022
Da Rawls il lungo cammino della “società giusta”
30 Agosto 2022 Partiamo subito da alcuni concetti di base: la città è un bene collettivo che nasce e si sviluppa attorno a delle funzioni ritenute vantaggiose per l’ esistenza degli individui.
Funzioni per le quali gli individui si riuniscono in forma giuridica, diventando civitas ovvero il Comune dei giorni nostri.
Attraverso il governo della città, i cittadini pianificano, regolano e amministrano l’utilizzo degli spazi per la costruzione della città fisica (urbs).
Da un punto di vista strettamente storico giuridico, il titolo di “città” veniva conferito ai comuni con regio decreto fino al 1946 e, successivamente, dal Presidente della Repubblica in virtù dell’ importanza storica, artistica, civica o demografica della comunità che ne facesse richiesta. Oggi le città in Italia sono circa 7900.
Se è vero, quindi, che sono le convenienze a dare origine alla nascita di una città, è altresì vero che esse ne determinano solo l’ assetto sociale e morfologico iniziale. Ne pongono, cioè, le prime pietre angolari che, per logica necessità, fanno riferimento in primis agli aspetti funzionali originari dell’ urbs (la città fisica).
Pensiamo alle città porto, dove il baricentro urbanistico è imperniato sulle aree funzionali allo svolgimento delle attività marittime e da esse poi si estende e stratifica verso le zone più lontane.
Ma è poi la civitas che, nel tempo, individua e sviluppa nuove potenzialità e funzionalità dell’urbs, adeguandola o ridisegnandone la trama urbanistica degli spazi, degli assi di collegamento, dei vuoti e dei pieni fisici, attraverso i quali scorre la vita dei soggetti, individuali e collettivi, che compongono la comunità.
Quindi il pianificare, normare ed amministrare con coerenza e lungimiranza, diventano esercizi essenziali per il mantenimento ed il miglioramento del benessere di tutti.
Ma ancora di più, è avere consapevolezza dei vari trend scientifici, economici e tecnologici per anticiparne l’ impatto che essi avranno sulla civitas.
Semplice no? Beh…in verità mica tanto.
La nostra città, Venezia, è un fulgido esempio di quali siano le conseguenze se questo processo di continuo aggiornamento non avviene: l’ urbs si deteriora, la civitas si smarrisce, e la città diventa zattera in balia dei venti della storia.
Qualsiasi pianificazione, infatti, per quanto rigorosa e lungimirante, non può che partire dal contesto del “conosciuto”. È destinata, pertanto, a seguire un fisiologico processo di obsolescenza.
Pensiamo cos’ha comportato per l’umanità l’ invenzione della ruota, oppure quali cambiamenti abbiano portato le scoperte di nuovi territori nelle sfere d’influenza geopolitica; quali nuove esigenze di spazi abbiano generato l’ avvento della ferrovia, dell’ automobile…ed ora i cambiamenti strutturali che stanno avvenendo nel mondo della produzione e del commercio dopo il deflagrante avvento delle tecnologie digitali.
È evidente, allora, come le funzioni originarie di una città siano mutevoli nel tempo: le innovazioni tecnologiche ed organizzative le cambiano, o vi si sovrappongano.
Si creano così nuovi ordini di priorità, nuove dinamiche di relazione, di flussi e spazi da adeguare e riconfigurare, onde permettere alla comunità di cogliere le nuove opportunità di sviluppo.
Non è difficile individuare nella città di Venezia e nella complessità delle sue varie componenti territoriali, l’ emblema di questi processi che si perpetuano da secoli senza soluzione di continuità.
Uno dei più macroscopici esempi di questo, è la devastante presenza del fascio ferroviario-autostradale che separa Mestre e Marghera.
Anche guardandola dall’ alto, si presenta come una gigantesca ferita, uno “sbrego” che spezza e avvilisce la continuità urbana della città.
Un affastellamento infrastrutturale che si erge su ben 4 piani:
– Piano interrato: sottopasso tranviario e ciclo-pedonale
– Piano terra: fascio ferroviario e autostradale
– Piano primo: cavalcavia automobilistico con sottopassaggi pedonali
– Piano secondo: cavalcavia automobilistico sopra cavalcavia automobilistico Piano Primo
Attenzione però: non facciamo l’ errore di cercare i potenziali colpevoli di tale modalità di progettazione. Quelle erano la tecnologie disponibili, quelle le esigenze impellenti dell’ epoca, e quello è quanto si è riusciti a fare.
Ricordiamoci che la ferrovia è stata, sin dalla sua invenzione, infrastruttura centrale per lo sviluppo economico e sociale dei territori.
Un elemento di vanto per qualsiasi città averne la stazione nel proprio centro, e punto di riferimento fondamentale di ogni pianificazione urbanistica.
Quello che oggi appare inopinabile, tuttavia, è che questa presenza infrastrutturale, ormai brutta e vecchia, sia diventata impedimento ad uno sviluppo armonico della città tutta.
Un orpello visivamente invasivo, funzionalmente inefficiente, disordinato ed economicamente deleterio.
Basterebbe pensare a cosa siano i non luoghi scaturiti da questa presenza: un degrado urbano ed edilizio, con perdita di valore immobiliare, accompagnato da una mortificazione del tessuto economico e sociale dei quartieri immediatamente adiacenti e non solo.
Si può rimediare? Certo che sì!
La soluzione è portare stazione, binari e raccordi autostradali nel sottosuolo.
Una nuova stazione di Mestre sotterranea, che parta dal progetto di interramento del fascio ferroviario e dei vari raccordi autostradali, permetterebbe di rimarginare la ferita, ricucendo il tessuto urbano tra Mestre e Marghera.
Una vera liberazione per tutto il sistema viario, che troverebbe finalmente la sua congenita, piena funzionalità sugli assi Corso del Popolo, Cappuccina, Piave ed Elettrecità, Fratelli Bandiera, Ulloa, ed una migliore efficienza di tutto il sistema di trasporto urbano.
Non solo: liberare centinaia di ettari di territorio è valore!
È migliore qualità di vita e dell’ ambiente, valore della città, degli immobili, del commercio.
La scomparsa dell’ infrastruttura consentirebbe, infatti, di creare un nuovo corridoio da destinare a verde, dove collocare nuova residenza qualificata e centri di servizio facilmente accessibili da tutta la popolazione.
Le tecnologie per progetti del genere esistono, sono ampiamente collaudate da decenni e le città più evolute del mondo si stanno tutte orientando in questo senso.
Da Bologna a Madrid, da Malmo a Seoul, da Delft a Liverpool, da Linz a Guanzhou, a Istanbul, si cerca di interrare quanto più possibile le infrastrutture che attraversano le città.
Capostipite di questi progetti è stata la cosiddetta e sofferta BigDig di Boston, un’opera di inizi anni ’90, prima mondiale di interramento stradale e ferroviario, che ha cambiato completamente il volto della città.
(vedi immagine Prima e Dopo).

Si badi bene, è una situazione che non esiste solo qui: anche a Padova, per esempio, il quartiere Arcella soffre del medesimo problema.
La tecnologia del trasporto ha ovviamente portato con se, in modo incolpevole, una serie di soluzioni che oggi ci appaiono semplicemente obsolete o palesemente inadeguate.
Ed è oggettivamente poco lungimirante continuare a costruire nuovi cavalcavia (Vega), proporre passerelle commerciali senza senso (Stazione di Mestre), o tentare maldestri aggiustamenti funzionali (Piazzale Cialdini), senza prendere in mano una ridefinizione complessiva della città che ne risolva prima di tutto le problematiche strutturali generate dall’ arrembante sviluppo avvenuto nel secolo scorso.
Le sensibilità individuali e le priorità collettive sono cambiate: oggi aree verdi e piste ciclabili sono componenti indispensabili per una buona convivenza collettiva.
Così come evitare o limitare l’ emissione di fumi e di PM10 è una questione di fondamentale importanza nella salvaguardia del nostro respirare.
Ecco perchè portare le infrastrutture nel sottosuolo diventa utile anche sotto questo punto di vista: si possono utilizzare sistemi di ventilazione e filtraggio che minimizzino l’ impatto di quanto di nocivo venga prodotto dal traffico.
Vogliamo lasciare ai nostri figli una città degna di offrire le migliori opportunità di lavoro e vita a chi vi abita?
Degna di di competere sul mercato degli investimenti globali?
Bene, se questo è l’ obiettivo (e dovrebbe esserlo per chiunque), allora la città (l’ “urbs”) deve adeguarsi, migliorarsi e proporsi al meglio delle sue potenzialità.
Potenzialità che esistono e sono assolutamente di altissimo livello: per posizione geografica, per storia, cultura, per università, industrie, infrastrutture aeroportuali, navali, ferroviarie ed autostradali.
Per chi ancora non lo avesse compreso, le città competono per creare lavoro e ricchezza per i propri cittadini e nuovi residenti.
Ed è solo proponendo progetti con concreti piani di ritorno sugli investimenti e con una visione di lungo periodo, che si possono coinvolgere Comunità Europea ed investitori internazionali.
Pensare di poter vivere di rendita in questo senso è votarsi al costante peggioramento delle cose!
Cominciamo allora a non spaventarci di fronte a progetti ambiziosi e di lungo periodo.
Ci vogliono anni per realizzare questo? Certamente.
Sarà per molti aspetti un sacrificio? Certamente.
Ma ricordiamoci sempre che, ancora oggi, percorriamo molte strade di cui l’ ideatore non ne ha mai visto il completamento…