INCHIESTA. Quale futuro per il PD. Risponde Andrea Ferrazzi
14 Gennaio 2023Lotta agli stereotipi di genere
19 Gennaio 2023Com’è lontano Il Lingotto.
Comincio questa riflessione con le stesse parole con cui in questa pagina Cino Casson comincia la sua. Che, confesso, mi ha emozionato.
Il Partito Democratico sta infatti pensando di cambiare il suo DNA di valori e di relativi programmi, che, attraverso le parole di Valter Veltroni, ebbe la sua consacrazione al Lingotto di Torino nell’ormai lontano, appunto, 2007. Un cambiamento per uscire dalla sua evidente crisi di idee e di consensi. Il gruppo di lavoro incaricato dalla dirigenza del PD alla revisione della Carta Fondativa di allora, se pensa di cambiarla, evidentemente imputa a quel DNA valoriale tale crisi.
La miopia, perciò, continua e si approfondisce? Dipende, a Venezia si diceva un dì: “conforme”. Per certi aspetti è un vederci meglio, per altri continua la miopia, ma il giudizio è duplice perché chi ha in mente un indirizzo diverso, una sterzata verso l’antico forse ci vede lungo e ci vede giusto. Chi invece è ancorato alla novità di allora pensa esattamente il contrario: la crisi del PD dipende dal fatto che quei valori non sono mai stati incardinati in un programma politico e il PD si è tenuto dentro la contraddizione di non averli mai accettati del tutto.
C’è poco da fare, in tutte le conclamate rotture, con il passato e con la lontana eredità del PCI, ha sempre prevalso il ‘continuismo’, l’incapacità dei dirigenti, ma soprattutto degli elettori, di pensarsi cosa diversa, cosa ‘altra’ dalle eredità politiche e ideologiche da cui una parte consistente proveniva. La sinistra, questa appartenenza virtuale che va anche oltre i partiti, sembra avere una connotazione tanto indefinita, quanto però dura a morire come appartenenza quasi antropologica. È un fonema di poche sillabe che per una parte di chi fa politica o pensa la politica è un condensato di significati e di simboli ritenuti irrinunciabili. Può cambiare la forma, ma per una parte, non si sa quanto rilevante, questo bagaglio culturale va reso riconoscibile anche nelle nuove forme: e se non lo si riconosce, va a viva forza di riffe o di raffe reintrodotto. Lo stesso Cino Casson non si allontana da questa appartenenza, anche se la declina in chiave liberale. Se ogni società aperta, come quelle occidentali, ha al suo interno una consistente parte con una cultura politica ritenuta così irrinunciabile, fosse solo nel nome, bisognerebbe prenderne atto. E farci i conti. Ma dipende come, farci i conti. Vediamo.
la parola ‘sinistra’ non appariva nella dizione del nuovo partito del Lingotto, mentre appariva volutamente ben chiara in uno dei partiti precedenti. Questa sparizione del termine ‘sinistra’ col nuovo PD non era casuale, non era uno snellimento lessicale estetico, anche se forse qualcuno se n’è fatta una ragione con una spiegazione cosi terra terra. Era ovviamente invece una scelta politica e ideale precisa e netta. L’essere democratici e l’essere di sinistra (sono democratico, quindi, di sinistra) cessavano nel nuovo PD/2007 di essere qualcosa di equivalente. L’essere democratici, semplicemente democratici, era cosa bastante, qualificante perché raccoglieva di per sé i principi che la Carta Costituzionale identifica come basi della democrazia. La sparizione del termine ‘sinistra’ poteva simboleggiare una svolta, che invece non c’è stata nei fatti, nonostante la spinta che Veltroni prima e Renzi poi avevano, pur in modi diversi, impresso. Sottotraccia il veterosinistrismo ha continuato ad essere un cuore sepolto pulsante e un pò alla volta tutta la novità si è dispersa.
E sì che quel nuovo inizio prometteva bene. Non è superfluo ricordare che il PD appena nato, con quell’afflato ideale ancora impresso e non disperso, con Veltroni nella doppia veste di leader e candidato premier, aveva ottenuto nel 2008 il 33% dei voti alle elezioni politiche; tenendo conto che di fronte aveva il Polo di Destra guidato da un Silvio Berlusconi ancora in forze, che infatti lo aveva sconfitto. C’eran però stati 11 e passa milioni di voti, cifre lunari per l’oggi, e l’onda lunga di quel PD aveva sfondato il muro del 40% alle elezioni europee del 2014, con più o meno lo stesso numero di voti. In entrambi i casi ancora troppo pochi per governare con maggioranze solide, ma numericamente importanti per essere in campo con una linea riformatrice, europeista e liberal democratica in grado di giocarsi ogni partita.
Ma il vecchio cuore pulsava ancora da un’altra parte, perpetuando una contraddizione insanabile.
Ora in vista del dell’imminente congresso del PD non si vedono all’orizzonte mosse perché le contraddizioni interne si liberino. Lo rilevo senza punte di quel velato sarcasmo che vedo nelle parole di molti, lette nella chat, nei social e nei pastoni d’opinione dei giornali, financo degli editorialisti. Tutti prodighi di consigli non richiesti, alcuni, come si dice, ‘gufando’, altri inclini a palese dileggio. Ogni travaglio politico merita invece rispetto, ogni attore politico lo merita, e ancor di più un partito politico come il PD che nel presente e per il passato è stato un pezzo di storia nazionale e pure qualcosa ha dato anche all’Europa (non è molto che si è commemorato David Sassoli ad un anno dalla morte). Il fatto che questa testata stia ospitando, insieme a SOLO RIFORMISTI, le risposte di dirigenti e membri del PD sul futuro del loro partito dimostra qual è l’atteggiamento critico che privilegiamo, quello improntato a serietà, ricerca, ascolto e, ancora, a rispetto.
Certo, se la segreteria e il Partito andassero in mano a Bonaccini, come ritengo assai probabile, egli potrebbe gradatamente riportare il PD ad una fisionomia più vicina idealmente al PD del Lingotto. Forse. E però solo una scadenza politico elettorale istituzionale e di governo nazionale, per ora lontana, sarebbe in grado di far riconoscere una sterzata di linea in quella direzione; perché si sa che, sia nelle scadenze europee che in quelle comunali e regionali, entrambe più imminenti, una fisionomia precisa di sterzate è più difficile da vedere e può essere solo conclamata di contorno. Al riguardo su una segreteria Bonaccini e su immediate possibilità di recuperare il Lingotto è meglio essere molto cauti. Né basta il suo pedigree renziano a garantirlo, perché si sa che i pedigree possono essere smentiti con disinvoltura (Franceschini docet, seppur da altra provenienza).
La cautela è dovuta conoscendo la storia dell’Antica Ditta, da cui Bonaccini proviene (e non c’è dubbio che per molti elettori la Ditta è sempre la stessa). Bonaccini, pur con un profilo più alto e dignitoso, inevitabilmente manterrà, proprio per la sua formazione partitica, la mai sopita tendenza, che ha una sua logica, a collocarsi prima di tutto in uno schema bipolare e in tale schema a mantenersi nel baricentro, e quindi nel mezzo, di una delle due metà del campo di gioco, mai sconfinante nell’altra. Quindi avrà bisogno di stringere in contemporanea alleanze simmetriche con entrambe le aree politiche che lui considera al suo fianco destro e sinistro, a prescindere che i fianchi si sentano tali. Tutti da vedere gli esiti se le due ali continuassero, come ora, a sentirsi reciprocamente incompatibili in un’unica alleanza. Ma d’altra parte per verifiche nazionali del genere c’è tempo e, mi ripeto, le prove elettorali locali ed europee non consentono un esame veritiero, anche per i sistemi elettorali di quelle prove. Per ora con Bonaccini strappi con visibilità e ricadute successive sarà difficile vederli e con le ali della propria metà campo ci saranno mosse a giorni alterni, con ‘mani tese’ ogni tanto in un senso o nell’altro, buone per i titoli mass mediatici. Ma c’è una logica se sarà così e nella macro politica nazionale in una prima fase prevarrà l’“avanti piano e con judicio”.
Nello stesso tempo è invece molto ben prefigurabile lo schema interno al PD che Bonaccini privilegerebbe, cioè lo stesso dello schema esterno, solo spostato dentro: copertura alla destra o presunta tale con i renziani interni e i liberal interni, e soprattutto copertura a sinistra, tenendo ben stretta quella interna, con la necessità di averla dentro proprio perché funzionale al suo equilibrio. È l’eterno centrismo che si è perpetuato in tutte le fasi di governo della Ditta e risalente al vecchio PCI, molto praticato anche dalla storica Democrazia Cristiana. E sia chiaro che è una tendenza che in molte fasi è stata anche virtuosa e potrebbe, ad altre scale lo si vedrà, ancora esserlo. Un PD bonacciniano del genere potrà sicuramente crescere in autorevolezza e credibilità, ma, stando solo e sempre in una metà del campo di gioco, sul piano nazionale sarà, a parer mio, destinato ad essere in eterno forza di minoranza; e le sue ali esterne altrettanto. Una forte minoranza, con recuperata credibilità e prestigio, ma minoranza.
Anche una scissione a sinistra con frange di sostenitori di una Schlein perdente, nel caso di questa probabile vittoria di Bonaccini, sono altrettanto improbabili come smottamento significativo, mentre lo star dentro consente comunque agli schleiniani ( ma si dirà così?) una politica di interdizione e di veto, anche se non molto dissimile da quella che ha portato all’empasse attuale. Ma tant’è. Del resto le scissioni di quantità e di blocchi in Italia non si sono mai viste e se i giornali ne parlano lo fanno perché fa audience, fa titolone a più colonne a volte solo titolo (proprio nel Corriere di oggi c’è questo tipo di titolo con richiamo a scissioni circa il PD e nulla del genere si riscontra leggendo il relativo articolo). E ciò dipende dalla logica che sta nel ‘doppio fondo’, nel ‘panel di controllo’, nel ‘retro sito’ di ogni partito: l’interesse dei singoli alle rendite di posizione pe sé, che ogni smottamento rilevante mette in discussione. Paradossalmente invece movimenti più consistenti, ma nell’elettorato più che nel Partito, potrebbero essere possibili qualora, hai visto mai, la segreteria fosse vinta dalla Schlein. Tutta la componente del PD di matrice liberale si sentirebbe veramente ai margini e probabilmente comincerebbe a guardare con più attenzione al cosiddetto Terzo Polo (sperando che anche questa definizione nominale limitativa, nel frattempo, venga messa in soffitta, come già si è fatto con ‘centro’ e ‘centrismo’). Risulta perciò evidente che il duo Italia Viva/Azione avrebbe tutto l’interesse che in questa partita del PD vincesse la Schlein, cosa improbabile ma al momento ancora non del tutto impossibile. E questo interesse non è cinismo, è semplice realismo.
Per quanto, come già detto, non si aprirebbero quelle praterie che vengono prefigurate, non c’è dubbio che lo spazio per il Terzo Polo, comunque, si amplierebbe, tanto quanto si restringerebbe o, nella migliore delle ipotesi, resterebbe invariato con Bonaccini segretario. In ogni caso la strada del PD e del Terzo Polo si intersecano.
Tuttavia, anche con spazi più ampi per il Terzo Polo, molto dipenderebbe da un colpo di reni e da un cambio di passo che questa nascente formazione deve fare. Come ci ricorda in questa pagina di LG Franco Vianello Moro, nei sondaggi il duo Italia Viva/Azione è sempre inchiodato a quel 7/8 % che porta in eredità dalle ultime elezioni. Non è poco ed è poco nello stesso tempo. Da base di partenza (e non è poco) non può rimanere tale in eterno (e sarebbe veramente poco), e ciò dipende dalla necessità di una fisionomia più riconoscibile da una parte, e di un profilo più alto da acquisire dall’altra. Nel senso che ci indica Franco, vala a dire quello della necessità di un progetto che vada oltre un elenco programmatico, ma che si fondi anche su un sistema valoriale, su quella che oggi viene chiamata ‘visione’, e con qualche ben calibrato momento di sogno. ( “…una narrazione diversa, più appassionata e appassionante, una narrazione che sappia raccontare anche i sogni che stanno nei cassetti degli italiani, stando attenti a non cadere nelle promesse a vuoto”).
Il fatto che in queste ore venga annunciato per il 2024 la fondazione di un partito nuovo di matrice liberaldemocratica immette potenzialmente questo elemento di sogno, specie se si dà quella visibilità alla matrice europeista che già contiene il richiamo alla formazione “Renew Europe”, l’aggregazione liberal democratica a Strasburgo.
Non solo. Il processo verso una nuova formazione politica liberal democratica, che potenzialmente acquisisca almeno due cifre nelle percentuali elettorali e vada anche oltre, non può non essere accompagnato da un ancora più ampio movimento d’opinione, culturale e sociale nello stesso tempo. Qualcosa di tal genere si sta mettendo in moto, e ce ne parla compiutamente Nicolò Compostella in questa pagina, riferendosi al Liberal Forum che recentemente a Milano ha espresso la sua Carta dei Valori.
Chiaro che una fisionomia di ben più alto respiro, con programmi più visionari e un forte movimento culturale di sostegno sarebbe più accattivante della mera somma di due partitini e capace di liberare energie oggi presenti sia nel centro sinistra, ma anche nel centro destra.
Al Lingotto e alla sua carta fondativa si può così tornare a riavvicinarsi con un giro più ampio e con altra veste, se si privilegia la sostanza alla forma, cambiando il veicolo ma non l’obiettivo del viaggio di ritorno.
Un’ultima notazione, da riprendere con calma in altra sede, riguarda il sistema elettorale che più sarebbe funzionale alla crescita di questo duplice movimento, politico, con un nuovo partito, e appunto culturale/ideale.
Se ci fosse in Italia un sistema a doppio turno probabilmente il sistema maggioritario potrebbe risultare ancora ugualmente favorevole per l’affermarsi di una potenziale nuova forza di governo, come è in definitiva avvenuto in Francia con Macron. Un ipotetico Macron italiano, se va al ballottaggio con qualsiasi destra non può non essere votato anche da una sinistra pur ridimensionata dall’astensionismo, e ciò anche senza alcun patteggiamento tra un turno e l’altro (quindi senza doversi compromettere programmaticamente, che è ciò che conta).
Senza il doppio turno, tuttavia, un sistema maggioritario si rivela come una trappola permanente che non lascia molti margini e si resta in balia degli eventi. Perciò un ritorno a un proporzionale andrebbe valutato, pur con i necessari sbarramenti per favorire aggregazioni.
Si rifletta sul fatto che oggi in Italia nessuna formazione politica individualmente e anche nessuna alleanza precostituita ha i numeri percentuali per essere maggioranza assoluta. La DC in quasi tutta la sua storia, se si eccettua il suo esordio tra anni quaranta e cinquanta del ‘900, per fare maggioranza doveva mendicare numeri alle formazioni che allora si dicevano di centro o al PSI (anche allora però mi chiedevo che cosa sarebbe accaduto se non glieli davano). Oggi, comunque, questo tipo di questua solo parziale rivolta ad alcuni e non ad altri non la può più fare nessuno, perché parziale non basta per arrivare ad una maggioranza anche risicata; e le grandi alleanze nazionali col voto proprzionale diventerebbero obbligate, cioè la questua la dovrebbero fare tutti l’un con l’altro sostenendosi insieme (il richiamo ad un modello Draghi non è casuale).
In una prossima occasione avrò modo di cercare di spiegarmi meglio, ma anticipo che, a parer mio, le grandi coalizioni nazionali sono in fondo quelle che più permettono di esprimere i valori liberal democratici, consentendo loro di diventare un patrimonio riconoscibile per una platea elettorale molto vasta, e in prospettiva in modo duraturo. Lo ammetto (e per questo lo prendevo sul serio): è lo stesso schema di “stare nel mezzo” che, meno ambiziosamente, il ‘centro’ della Ditta ha sempre privilegiato, limitandola però alla sua sola metà campo, mentre nelle grandi coalizioni estese a entrambi i campi sono le politiche di ispirazione liberal democratiche a stare nel mezzo di un campo “larghissimo” e a poter svolgere egemonia. E mi viene il paragone con quel ‘calcio totale’, che aveva sperimentato con successo la nazionale calcistica olandese mezzo secolo fa. Alla prossima.