RENZO SCARPA: la mia città dei prossimi 5 anni
18 Agosto 2020FRANCO FOIS: la mia città dei prossimi 5 anni
19 Agosto 2020Da GINA DI CATALDO riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Sono passati cinque anni da quando l’articolo di Carlo Rubini, uscito in ‘Luminosi giorni’, (30/1/2015) ha denunciato il degrado della Città Storica a causa di quella legge europea che Bersani ha esportato in Italia (31 marzo 1998 n. 114 c.d. Bersani). Una legge, commenta Rubini che avrebbe dovuto sortire effetti migliorativi in quanto promotrice della liberalizzazione del commercio e, quindi della concorrenza. Ma, a VE-Ve e in altri Centri storici non è stato così, in quanto la stessa ha sortito l’effetto di fornire “agli assessorati del settore,succedutisi nelle diverse giunte, l’alibi di avere le mani legate nel frenare lo stravolgimento commerciale in atto, fornendo una buona scusa alla loro acclarata inadeguatezza e inefficienza” p.2.
E’ sotto gli occhi di tutti il degrado della qualità dei negozi che quasi costringe il residente a camminare ad occhi chiusi per non essere violentato da tanta paccottiglia, o edifici ricoperti di oro che fanno pensare a tante scatole di cioccolatini. Vedi il Fondaco dei Tedeschi. La Sovintendenza a braccetto con il Comune ha favorito questi scempi approvandoli, come del resto si è preoccupata di lavorare per il Sindaco che si è dilettato a svuotare i palazzi da uffici pubblici per trasformare gli stessi in alberghi. Vedi, per es. il Catasto ora traslocato a Mestre. Uno scempio al quale i cittadini dell’Isola hanno assistito inermi. Si è protestato, giustamente, per le Grandi Navi, che oscurano il bacino di S. Marco, ma che dire delle bancherelle che lungo la Riva degli Schiavoni oscurano Bacino e Laguna? Certo, ancora una volta, la liberalizzazione della legge europea Bolkenstein lo consente (2006/123/CE art. 12; D. Lgs 59/ 2010 art. 16), ma è anche vero che ragioni di carattere paesaggistico e culturale avrebbero potuto impedirlo. Come evidenzia l’art. 9 e successivamente gli articoli 43 e 49 del trattato gli assessori, la sovrintendenza e il sindaco avrebbero potuto appellarsi alla nozione di “motivi imperativi di interesse generale” cui fanno riferimento alcune disposizioni della direttiva di tutela dei consumatori, della protezione dell’ambiente urbano, dei beni cultrali. I Centri Storici o Città storiche avrebbero potuto essere esentate dallo scempio creato dalla liberalizzazione della Legge Bersani e da quella della Bolkenstein. Come? Applicando la legge.
Roma lo ha fatto, ci ha provato anche se tardi, facendo riferimento alla delibera del Consiglio Comunale n. 36/2006 ha previsto delle limitazioni al rilascio delle licenze commerciali, proprio per conservare un tessuto urbano caratterizzato dalle sue attività tradizionali (LexItalia.it ‘Limiti alle licenze commerciali nei centri storici’), Firenze ci ha provato “Il sindaco bandisce gli esercizi indecorosi” 19 gennaio 2016, emanando un provvedimento che bandisce un certo tipo di esercizi commerciali ritenuti indecorosi per la città. Un tentativo di frenare il dilagarsi di negozi paccottiglia e altro che trasformano il centro urbano in un ‘DESERTO MERCIFICATO’. Il sindaco di Firenze, Roma, così Fassino a Torino ed altri hanno dimostrato che ci si può opporre facendo leva su norme contenute nel codice dei Beni culturali, su alcuni dettami dell’Unesco e nelle deroghe previste dalla stessa Legge Bersani e la Bolkenstein. Nel rispetto dei ‘centri storici anche attraverso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche degli insediamenti ed il rispetto dei vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ambientale’. E allora? A che serve che noi paghiamo assessori che non lavorano per il bene della Città permettendo lo scempio di bancherelle e negozi paccottiglia che offendono persino la vista?
A Padova per tutelarsi nascono i ‘negozi storici’, così in Umbria (art. 4 ter e 21 della L.R. 3 agosto 1999 n.24) finalizzato alla valorizzazione delle attività economiche nel centro storico, per la loro permanenza, per la tutelare i cittadini contro lo stravolgimento del tessuto urbano. E da noi? Basta una dichiarazione di inizio attività, poi passerà il vigile a controllare, ma con il requisito del silenzio assenso (art. 8 c. 4 del D.lgs 31 marzo 1998 n. 114, è fatta.
In sintesi io ritengo che occorra invocare la tutela del silenzio rifiuto e subordinare l’apertura di negozi e bancherelle ad un regime di ‘autorizzazione’ giustificato dal motivo imperativo di interesse generale. Solo delle misure restrittive possono invertire la tendenza del degrado e snaturamento di una Città, dall’impatto, per certi versi, squallido.