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18 Aprile 2024Circola in questi giorni nelle sale il film “Tatami”, già presentato l’anno scorso a Venezia nella sezione Orizzonti (ed è motivo di soddisfazione che la nostra Mostra sia veicolo per opere così), la cui visione rischia di essere condizionata dalle sue molte suggestioni extra cinematografiche.. è codiretto da un regista israeliano (Guy Nattiv) e una iraniana, Zar Amir Ebrahimi che è pure una potente coprotagonista della pellicola. E già questo, in particolare in questi giorni terribili, lo connota significativamente. La coregista, esule iraniana ha lasciato il Paese per evitare la prigione e le frustate per colpa di un video intimo diffuso da un suo ex (ma la prigione e le frustate erano per lei!..).
È sicuramente (anche) un film politico, di impegno civile e denuncia, in cui Zar Amir sicuramente ha riflesso un vissuto personale anche se di tutt’altra natura rispetto alla vicenda del film (che è di fantasia, non una storia vera, come pure facilmente lo spettatore potrebbe pensare). Ebbene, se andrete al cinema a vederlo (come caldamente consiglio), dimenticate questi elementi di interesse e godetevi la pellicola senza sovrastrutture, come se fosse un film qualsiasi. E scoprirete un film teso, essenziale, splendidamente interpretato, con un montaggio serratissimo e un crescendo di tensione che lo fa assomigliare a un thriller.
La storia, in sintesi: Leila è una campionessa di judo che va a Tbilisi per il campionato mondiale dove ha concrete aspettative di vincere la medaglia d’oro. L’allenatrice Maryam (come detto, l’attrice – regista Zar Amir) l’accompagna con grande partecipazione e proietta sulla sua protetta anche aspettative personali mortificate in passato da un infortunio. In patria ha lasciato il marito e il figlioletto, i genitori e tutto il parentado che fa un tifo sfegatato alla televisione. Dopo le prime brillanti fasi eliminatorie, la doccia fredda: una telefonata del presidente della Federazione Judo iraniana a Maryam le ordina di imporre a Leila di ritirarsi fingendo un infortunio (per non incorrere nell’infrazione alle regole della Federazione Mondiale). Tutto perché nelle stesse fasi eliminatorie è passata anche la concorrente di Israele e non è pensabile che la rappresentante della Repubblica Islamica dell’Iran ne incontri una del Grande Satana. Per le due donne è una mazzata esiziale e, mentre l’allenatrice obtorto collo si piega, l’atleta si ribella. Ne esce un susseguirsi di pathos e di tensione che è raccontato mirabilmente (e non aggiungo altro per non spoilerare). Il regime non si “vede”, lo si percepisce invasivo e protervo attraverso le protagoniste, sentiamo le imprecazioni e le minacce da parte di funzionari via via più alti in grado attraverso le telefonate alla povera allenatrice, ne percepiamo la furente frustrazione per non essere obbediti, vediamo lo sgomento e il terrore negli occhi di lei, che rivive un’ingiustizia impostale anni prima, la caparbia e disperata ostinazione di Leila nel non piegarsi, le accorate telefonate al marito, le minacce esplicite all’incolumità della famiglia. Tutta l’azione si svolge all’interno del palazzetto dello sport, in un continuo alternarsi di sguardi, di aprirsi e chiudersi di porte e di combattimenti sul tatami. È girato in bianco e nero, senza nessuna concessione all’estetica, in un formato di schermo ridotto (il 4:3), un’ambientazione claustrofobica dove gli unici fuori campo sono i feed back familiari della protagonista, che ce la rivelano coi meravigliosi e folti capelli sciolti, in contrappasso all’orrido scuffiotto con cui, lei sola, contro tutte le altre avversarie a capo scoperto, è costretta a gareggiare. E quando, nell’incontro decisivo in cui viene eliminata, Leila, ormai rassegnata alla rottura col Paese d’origine, in grave crisi e in debito di ossigeno, in cerca di refrigerio si toglie l’hijab e lascia libera la testa, anche in quella scena topica e simbolica i registi giocano sulla sottrazione e l’essenzialità: nessuna concessione allo spettacolo.. avrebbero potuto far emergere una cascata di capelli a incorniciare il volto come una criniera e invece vediamo solo ciuffi spettinati e informi, sudati. Ma l’impatto resta potentissimo, un gesto di ribellione verso l’oppressore, lo stesso gesto sovversivo di molte iraniane che si sono ribellate (per ora ahimè invano) dopo la morte di Masha Amini, donne coraggiose cui inevitabilmente il film appare come un tributo.

Le due splendide protagoniste
Ma il film va oltre la specificità del regime iraniano. È una sorta di apologo sull’inumanità di ogni regime. La protervia, il terrore che suscita, le minacce, il ricatto, la sensazione di impotenza, la percezione che i diritti dell’individuo non contano, non sono semplicemente contemplati, l’inutilità e la stupidità delle richieste sono facilmente applicabili a qualsiasi altro Grande Fratello, qualunque tiranno di destra o di sinistra
È un film politico eppure non mette in scena manifestazioni corali, non c’è la massa.. è messo in scena attraverso una battaglia personale, attraverso gli occhi mobilissimi, gli sguardi nervosi e tristi di Maryam, che sembrano cercare una soluzione che non esiste, atterriti e sgomenti, sovente disperati e infine orgogliosamente ribelli. È la storia disperata e coraggiosa di due donne che non si piegano.
Sta in questo crinale, il politico declinato attraverso il personale, uno dei tanti elementi di fascino di “Tatami”. Che non è, si badi bene un film perfetto (per esempio le circostanze attraverso cui il marito sfugge agli sgherri del regime sono inverosimili) non ha particolari pretese intellettuali, trovate ricercate o piacione. Ma resta un’opera che coinvolge, di forte impatto, uno j’accuse dolente ma non rassegnato. Piacerà a chi ama le battaglie perse, nobili anche se impotenti.
E a chi è convinto che il cinema sia ancora capace di offrirci occasioni per riflettere ed essere migliori.