LUMINOSI GIORNI, CON UNA VESTE NUOVA, RIPROPONE AL LETTORE IL SUO MANIFESTO
20 Gennaio 2024Quando c’era lui
30 Gennaio 2024E’ netta la bocciatura della proposta di legge Casellati-Meloni, giudicata da vari costituzionalisti incoerente e pasticciata.
Il professor Stefano Ceccanti si è dichiarato comunque favorevole ad una revisione della forma di governo; in concreto, ha affermato la necessità di sistemi selettivi che risolvano il problema della legittimazione popolare della premiership, e ciò basandosi sul combinato disposto di sistemi elettorali ad effetto maggioritario con indicazione pre-elettorale del premier, e di norme costituzionali tratte dalle democrazie parlamentari efficienti su fiducia, sfiducia, revoca e scioglimento.
A tal proposito, Ceccanti ha presentato all’Assemblea nazionale di Libertà Eguale del novembre 2023 un articolato alternativo a quello del governo Meloni, da completare nelle sue attuazioni e correlazioni, cioè norme elettorali e sistema elettorale.
Per una lettura dell’articolato, si rimanda al link: Una proposta di premierato dall’Assemblea nazionale di Libertà Eguale.
In sintesi, nell’articolato si propone – a modifica dell’attuale art. 55 della Costituzione – l’adozione di “sistemi elettorali congegnati in modo da produrre maggioranze omogenee tra Camera e Senato, con parlamentari collegati a candidati indicati sulla scheda alla carica di Primo Ministro “. La denominazione Primo Ministro sostituirà quella di Presidente del Consiglio. E’ previsto il tetto di due mandati consecutivi. E’ prevista la possibilità che il Parlamento si riunisca in seduta comune, in casi stabiliti dalla Costituzione e dalla legge.
L’art. 92 della Costituzione verrebbe modificato con il cambio di denominazione da Presidente del Consiglio a Primo Ministro. Il Governo della Repubblica è composto dal Primo Ministro, dai ministri e dai viceministri. Il Consiglio dei ministri è composto dal Primo Ministro e dai ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina Primo Ministro il candidato collegato secondo la legge elettorale alla maggioranza dei parlamentari eletti; inoltre, su proposta del Primo Ministro è prevista la nomina e la revoca dei ministri.
L’art. 94 della Costituzione verrebbe modificato nel senso che il Primo Ministro, entro dieci giorni dalla formazione del governo, presenta il suo programma al Parlamento in seduta comune.
Il voto contrario di una o entrambe le Camere o del Parlamento in seduta comune su una proposta del Governo non comporta obbligo di dimissioni.
Nel caso venga presentata contro il Primo Ministro una mozione di sfiducia, questa deve essere firmata da almeno un quarto dei componenti del Parlamento, e deve contenere l’indicazione della persona candidata Primo Ministro; se la mozione è approvata, la persona candidata è nominata Primo Ministro dal Presidente della Repubblica.
Prof. Ceccanti, qual è la ratio di questa sua proposta?
C’è una ratio politica e una tecnica, strettamente intrecciate tra di loro. Quella politica è fornire una base realistica per giungere a un testo condiviso che eviti un referendum lacerante. Quella tecnica è di trovare una base di accordo che tenga conto della parte su cui hanno ragione i direttisti, i sostenitori di una scelta diretta, ossia il sistema elettorale, e della parte su cui hanno ragione gli anti-direttisti, le norme costituzionali.
Mi spiego meglio.
Le tesi che potremmo definire direttiste, cioè che enfatizzano il ruolo dell’elettore sulla scelta diretta del Governo, sono molto solide se riferite al sistema elettorale e hanno una lunga tradizione. Resta fondamentale quanto ebbe a scrivere Roberto Ruffilli, intellettuale cattolico-democratico e senatore dc ucciso dalla Brigate Rosse nel suo celebre testo “Il cittadino come arbitro”. Per Ruffilli andava incentivata la formazione di chiare alleanze pre-elettorali rendendo il cittadino arbitro della scelta del Governo perché altrimenti il nostro sistema dei partiti avrebbe prodotto intese deboli, non in grado di rispettare un rapporto stringente tra consenso, potere e responsabilità. Negli altri Paesi europei accadeva allora e accade oggi che all’interno della coalizione che si viene a formare la guida sia riconosciuta senza problemi al leader che il partito più votato ha indicato esplicitamente prima del voto. Si ha quindi una legittimazione popolare del Primo Ministro, anche se non un’elezione diretta. E’ un’analisi valida tuttora: nelle due ultime elezioni senza esito chiaro, il 2013 e il 2018, dopo il voto sono diventati Presidenti del Consiglio Enrico Letta (ma il Pd agli elettori aveva indicato Bersani) e Giuseppe Conte, neanche candidato come parlamentare (mentre il leader del M5S era Luigi Di Maio). Per queste ragioni in Italia il sistema elettorale deve essere più rigoroso giungendo, nelle debite forme, a un risultato con vincitore chiaro. Per debite forme si intende o un sistema imperniato per lo più su collegi uninominali o su sistemi a premio che però contengano soglie rigorose di consensi per conseguirlo, nel caso anche con ricorso ad un ballottaggio.
Invece, per quanto riguarda gli articoli della Costituzione sulla forma di governo, sono più convincenti le tesi anti-direttiste. Si può ragionevolmente richiedere alle forze politiche di formalizzare candidature alla carica di Primo Ministro ed anche prevederne la pubblicazione sulla scheda come facevano i testi classici del centrosinistra (la Tesi1 dell’Ulivo e la bozza Salvi alla Bicamerale D’Alema), ma se si supera la frontiera tra legittimazione ed elezione diretta si creano problemi seri.
La sua proposta non contempla modifiche formali riguardanti il ruolo attualmente esercitato dal Capo dello Stato, e quindi riguardanti il rapporto tra Capo dello Stato e Primo ministro.
Non è esatto. Determinando un esito iniziale chiaro, di legittimazione diretta, non c’è bisogno di un intervento sostanziale iniziale del Capo dello Stato, ma questo è giusto perché il Governo deve sorgere dal voto degli elettori, Inoltre è giusto che vi possa essere anche una proposta del Primo Ministro sullo scioglimento come deterrente verso le crisi, recuperando il senso originario del testo costituzionale che la prevedeva. Essa venne meno nel primo precedente, quello del 1953, quando de Gasperi volle lo scioglimento anticipato del Senato, ma, essendo la maggioranza divisa, non volle apparire come il proponente. Viceversa la proposta del Governo proponendo un’elezione diretta vera e propria crea problemi nell’equilibrio col Quirinale. L’articolo 89 della Costituzione prevede che tutti gli atti del Capo dello Stato siano controfirmati da un membro del Governo cosicché per capire se un atto sia effettivamente presidenziale, governativo o un atto in cui le due volontà convergono alla pari dobbiamo ricorrere a prassi, convenzioni e consuetudini. Ad esempio, dopo qualche tensione iniziale, si è affermata l’interpretazione per la quale la nomina di cinque giudici costituzionali sia presidenziale e il Governo sia solo un notaio. Ma questa interpretazione reggerebbe anche in un nuovo quadro in cui il primo Ministro fosse eletto da milioni di elettori? Non potrebbe rivendicare quanto meno un potere di codecisione? Per questa ragione sarebbe meglio fermarsi alla legittimazione diretta che passa poi comunque al vaglio del Parlamento, conferendo al Primo Ministro i poteri che hanno i suoi colleghi nell’Unione europea su proposta di nomina e revoca, sfiducia e indizione di elezioni anticipate.
In altri suoi saggi, Lei parla di democrazie efficienti guardando alle esperienze tedesca, spagnola, svedese. Quali le caratteristiche salienti di queste democrazie?
Fermo restando che la maggiore frammentazione del sistema dei partiti crea problemi nuovi ovunque, lì le norme costituzionali fanno comunque argine in due modi, rendendo difficile la sfiducia per la quale è previsto il quorum esigente della maggioranza assoluta, e consentendo al Primo Ministro il deterrente di indizione di elezioni anticipate, in forma più netta in Svezia e Spagna, con l’intesa del Capo dello Stato in Germania.
Quali sono i motivi per cui la sua proposta è da preferire ad una proposta presidenzialista o semi-presidenzialista ?
La proposta presidenziale in senso stretto sarebbe persino peggiorativa dello status quo in termini di governabilità: separare esecutivo e legislativo porta facilmente a veti e a blocchi di sistema. E’ un modello meno decidente persino del nostro. Rispetto al modello semi-presidenziale vale la logica per cui il diritto nasce dal fatto. La legislatura è iniziata con una Premier a legittimazione diretta, tanto vale quindi perfezionare quanto sta già accadendo.
All’interno del suo partito, il PD, si levano ricorrentemente atteggiamenti pregiudizievoli verso una modifica del dettato costituzionale. Pensa che ci sia spazio per un dibattito aperto, senza preconcetti, sulla sua controproposta al disegno dell’attuale governo?
Francamente non lo so, ma credo che sia nostro dovere spronare con forza le opposizioni in questa doverosa direzione. Poi ognuno si assumerà le sue responsabilità.