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Su scala globale i problemi sono enormi e servirebbe un chiaro impegno da parte delle grandi potenze, tra cui senz’altro andrebbe annoverata anche l’Unione Europea.
Già l’Unione Europea che, quale massima Istituzione internazionale operante in Europa, avrebbe oggi più che mai il dovere unito all’obbligo di intervenire su una bomba ambientale che per svariati mesi all’anno è a rischio di esplodere nel cuore di una delle sue città più importanti: Venezia.
Scopo di questo articolo è quello di mettere in evidenza le costanti violazioni non solo delle più elementari regole della logica e del buon senso ma anche di una serie di regole giuridiche, alcune delle quali proprio di derivazione comunitaria.
La questione è nota ormai in tutto il mondo: navi di dimensione abnorme attraversano il Canale della Giudecca a Venezia, nonostante un decreto del marzo 2012 vieti il transito per questo canale così come per il bacino di San Marco per le navi oltre le 40.000 tonnellate.
Già, peccato che lo stesso divieto sia condizionato a decorrere solo da quando saranno trovate rotte alternative.
Apriti cielo, che abbia inizio l’eterno dibattito sulle rotte alternative con buona pace dei rischi incombenti!
All’orrore della capziosità normativa italiano in qualche modo siamo tristemente abituati, più difficile rassegnarsi allo sprezzante rifiuto di rispettare alcune importanti regole di diritto comunitario e internazionale.
Iniziamo dai Trattati Europei, analizzando i quali è possibile individuare la violazione:
– Del principio di integrazione richiamato all’art. 11 TFUE secondo cui le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni, nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile.
– Del principio dell’azione preventiva e della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente così come richiamato all’art. 191 TFUE.
Proprio tra i corollari di quest’ultimo principio vi è quello della necessità di evitare o ridurre al minimo le possibilità che si verifichino danni prevenendo le cause di incidenti.
Sempre da questo principio Comunitario discende il principio di precauzione secondo cui in caso di rischio di danno grave o irreversibile (e nel nostro caso sono presenti entrambi), l’assenza di certezza scientifica non deve servire da pretesto per rinviare l’abolizione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale.
Non bastassero le norme UE per il cui rispetto invochiamo anche qui l’intervento del lituano Virginijus Sinkevičius, il più giovane membro della nuova squadra della presidente della nuova Commissione, ci sono anche quelle del diritto internazionale.
Ad esempio, la Convenzione di Ramsar del 1971 che include la Laguna di Venezia tra i luoghi sui quali gravano obblighi di conservazione e uso razionale (anche in questo caso qualcosa di assolutamente incompatibile con il transito delle attuali navi), da leggere insieme al noto inserimento di Venezia nella lista dei luoghi considerati patrimoni Unesco.
Per concludere questa carrellata, non si può dimenticare l’ulteriore violazione in cui sta incorrendo l’Italia nel non dare concreta attuazione a due Direttive Comunitarie. Ci si riferisce alla Direttiva 92/43/CEE cosiddetta Direttiva Habitat che include la Laguna medio-inferiore e quella superiore tra i siti di importanza Comunitaria (S.I.C.) e la Direttiva 2009/147/CE, cosiddetta Direttiva Uccelli che include la Laguna di Venezia tra le Zone di Protezione Speciale (ZPS).
Se di rispetto di ambiente vogliamo parlare davvero, allora sarebbe il caso di capire come possano convivere queste Direttive con l’obbligo di adottare misure di conservazione volte a evitare il degrado di questo habitat.
Siamo quindi in presenza di plurime violazioni del Diritto Europeo nonché di quello Internazionale in danno di Venezia, capitale dell’Europa e del mondo intero, che merita il dovuto rispetto culturale e giuridico anche in virtù del secolare principio secondo cui pacta sunt servanda!