Chiare fresche e dolci acque. Referendum e investimenti
9 Maggio 2023Scenari indefiniti
10 Maggio 2023Di PAOLO GIARETTA Si parla di centro. Ci spiegano i vocabolari che l’etimologia della parola risale al latino centrum, a sua volta termine di derivazione greca, con il significato di aculeo, punta di compasso. Se ci traferiamo nell’ambito degli schieramenti politici qui di aculei se ne vedono pochi, al centro. Piuttosto un vuoto. Un vuoto destinato ad ampliarsi, se non vi si pone rimedio. Non si tratta della geometria politica, si tratta piuttosto del rischio di lasciar cadere la sfida per la costruzione di un soggetto politico, o quanto meno di una alleanza (un campo si usa dire adesso), capace di essere “centro”, cioè luogo attrattivo, di un moderno riformismo. Un campo di forze che si prefigga lo scopo di governare positivamente il cambiamento.
Un vuoto improduttivo
Ciò che sta avvenendo in questo campo potenziale giustifica la sensazione di vuoto. La vittoria di Schlein sembra allontanare il Pd dall’ambizione del riformismo di governo, piuttosto pensando di collocarlo in una sorta di movimentismo di testimonianza. Si vedrà. Il fallimento (momentaneo?) dell’ipotesi del Terzo Polo con la rottura tra Calenda e Renzi pure sguarnisce il campo di una iniziativa politica che assuma il riformismo liberal popolare come stella polare. Difficile in questo caso vedere significative divaricazioni di programmi governativi, prevalgono aspetti caratteriali. Può darsi che la durezza della politica e la prossima campagna per le elezioni europee obblighino ad una ricomposizione. Resta costante il rischio di una delusione. Vale per il Pd a trazione Schlein: i baldanzosi programmi di rinnovamento sembrano già trovare difficile attuazione, si preferisce attaccare il Governo con argomenti più o meno fondati (occasioni se ne offrono parecchie) ma si è piuttosto silenti sul merito delle questioni. I sì e i no promessi durante la campagna per le primarie diventano dei forse, faremo un dibattito, oppure lunghissimi periodi in cui la nebbia prevale. E vale anche per chi aveva visto nel Terzo Polo il formarsi di una proposta politica liberal democratica molto aperta al futuro e si trova a fare i conti con le bizze dei leader.
Una offerta che manca
Dunque rischia di crescere il numero degli apolidi in politica: cittadini senza patria politica, senza appartenenza ad un campo di idee e di proposte di governo, ad una visione di futuro. Nella sempre declinante partecipazione al voto c’è la componente che non è quella dei distratti, degli indifferenti, dei contestatori globali ma semplicemente costituita da persone che vorrebbero votare, lo considerano ancora un dovere, ma non trovano una proposta politica attraente: per la radicalizzazione semplicistica delle argomentazioni, per l’evaporazione di leader a tempo, per la mancata offerta di una visione che prenda per mano il futuro.
Che fare, potremmo chiederci come fece Lenin nel 1902 con un fortunato saggio sulle questioni scottanti del socialismo… Spesso usiamo il noto aforisma guardare il dito invece della Luna. Qui dovremmo dire di più: che anche la Luna che vediamo la vediamo grazie alla luce del Sole che riflette e all’origine di quella luce dovremmo dunque pensare.
Aldo Schiavone nel suo ultimo saggio “Sinistra!” ha richiamato la necessità di una cosa che è clamorosamente mancata dopo la fine delle ideologie novecentesche: una grande elaborazione culturale, senza la quale è impossibile affrontare i temi della modernità. Potremmo dire: l’opinionismo si è sostituito al pensiero. E una parte crescente di elettorato si è stufata.
Parole banali e perdita di senso
La sensazione è che le parole della politica per molti (per troppi) abbiano perso di significato, non incrocino più ciò che sta nel cuore dell’uomo, ciò che attraversa la vita concreta. Ci sono certamente nelle agende politiche tante cose importanti, che attengono al benessere delle persone, ai loro diritti, a seconda delle sensibilità i diritti all’istruzione, alla sanità, al lavoro, ad un reddito sufficiente. Ma ci sono aspetti del tutto inediti entrati impetuosamente nella realtà di cui l’agenda politica per lo più totalmente ignora. Potremmo ricordare i consigli di due leader del passato. Enrico Berlinguer che leggendo le profonde mutazioni in corso già negli anni ’70 del secolo scorso raccomandava “di percorrere vie non ancora esplorate, e cioè di inventare qualcosa di nuovo che stia, però, sotto la pelle della storia, che sia, cioè, maturo, necessario, e quindi possibile”. Benigno Zaccagnini diceva: “La politica ha un suo compito, far sì che sia ragionevole continuare a coltivare la speranza”. Saper preparare il futuro che è già con noi, ci dicono con parole diverse due leader del passato. Ma un passato in cui i partiti sapevano essere comunità vitali, che accompagnavano la vita del popolo.
Provo a fare qualche esempio di assenza nelle agende politiche.
Una umanità (occidentale) più fragile
Le cronache, anche quelle scientifiche, ci segnalano un problema crescente delle giovani generazioni: una fragilità psicologica, una difficoltà ad assumere responsabilità, ad intravedere un futuro, sentimenti di disagio, di stress, di fiducia in sé stessi, atteggiamenti che si traducano anche in un aumento rilevante di suicidi o tentativi di suicidio. Qualcosa di diverso dalla difficoltà di una fase di passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Qualcosa di più strutturale, sono gli esiti dei rapidissimi e profondi cambiamenti nella convivenza sociale: una umanità perennemente interconnessa, soggetta al tribunale incessante e superficiale dei social, a modelli competitivi legati al successo economico immediato, ecc. E d’altra parte se già i bambini in età prescolare sono utilizzatori compulsivi della rete, accedendo pressoché ad ogni contenuto che in rete circola liberamente, plasmando come ci dicono gli specialisti il cervello ad una nuova realtà relazionale cosa possono fare genitori ed educatori? E che umanità si sviluppa sotto questa enorme pressione
pervasiva: più fragile, più insicura, più dipendente da poteri esterni. Ne è un sintomo anche l’inverno demografico. E la politica? Non si tratta di curare le conseguenze, si tratterebbe di una grande iniziativa, che dovrebbe essere transnazionale, per correggere questa tendenza.
Intelligenza postumana
Secondo tema: lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale. Non si tratta solo di strumenti sempre più raffinati dal Metaverso di Zuckerberg con la creazione di una realtà immersiva che diventa realtà virtuale, realtà aumentata, in cui chi possiede la tecnologia crea queste realtà parallele. O ChatGpt che porterà l’umanità a delegare la capacità di scrittura ad una macchina.
Si tratta della creazione di macchine che apprendono e si sviluppano autonomamente, capaci di trasformare il mondo che le circonda. Gli esperti hanno coniato il suggestivo termine di Intelligenza Artificiale simile a Dio. Futuro? No, un presente in cui si stanno riversando miliardi di dollari di investimenti. Enormi poteri che si concentrano nei detentori del sistema tecnofinanziario. Ha scritto recentemente Mauro Magatti: “Non si tratta qui di essere pro o contro la tecnologia. L’uomo è tecnico fin dall’origine e alle future generazioni toccherà comunque vivere nel nuovo ambiente che sta prendendo forma. Si tratta piuttosto di fare quello che in ogni epoca è stato necessario: discernere le opportunità dai rischi come due facce della stessa medaglia. Adottando tutte le contromisure per rendere possibile un adattamento sensato alla nuova condizione in cui è destinata a svolgersi la vita sociale… Per rendere l’ambiente digitale amico della libertà e della democrazia c’è infatti bisogno di investire sull’intelligenza umana. Che significa lavorare per popolare tutto ciò che, «stando in mezzo» tra ChatGpt e metaverso, è in grado di mantenere viva e plurale la relazione tra intelletto e spirito, esattamente ciò rischiamo di perdere. Sapendo che, se non lo faremo con la necessaria forza e tempestività, le grandi opportunità del digitale si trasformeranno in disastrosi fattori di distruzione”.
La manipolazione dell’umano
Terzo tema: le conseguenze delle enormi potenzialità delle bioscienze e delle applicazioni tecnologiche. Il dito che guarda la luna: un tipico esempio è il dibattito sulla maternità surrogata, ridotto alla questione dei diritti del singolo, il desiderio dell’io che si trasforma in diritto civile. Non c’è dubbio che cambierà il modo della riproduzione umana, ma come non porsi gli enormi problemi posti dall’impatto della tecnoscienza nel campo dell’umano: manipolazione genetica, riproduzione artificiale, clonazione, protesi cerebrali, libera determinazione di genere, ecc. Si parla nella nuova frontiera del post umano. Chi parla semplicemente di diritti non avverte come questi diritti sarebbero subordinati ad un enorme potere non regolato affidato alla libera determinazione di un complesso tecnofinanziario che arriverebbe a controllare le sorgenti della vita. Ancora una volta non si tratta di negarsi ai progressi della scienza, ma di iscriverli in una alleanza tra scienza, tecnica e nuovo umanesimo.
Meno libertà, più diseguaglianze?
Ho semplificato molto temi di enorme complessità. Mi interessa solo mettere in rilievo che sono processi che toccano in profondità i due grandi valori che hanno accompagnato l’affermarsi dei sistemi democratici: la libera determinazione dell’individuo e il suo essere persona nella relazione con i propri simili e la eguaglianza fondamentale tra gli esseri umani. I processi in corso lasciati a sé stessi portano alla negazione di questi fondamenti: meno libertà, con una umanità prigionieri di potenti sistemi di creazione di realtà artificiali, di alterazione dei processi informativi, diseguaglianze inedite, che riguardano la possibilità di pochi ad accedere ad una umanità rafforzata…
Tornando con i piedi per terra dobbiamo dire che non sembra che la politica si stia attrezzando per affrontare queste sfide. Mancano luoghi in cui almeno rendersi coscienti della loro esistenza, intravedere soluzioni che passano necessariamente attraverso un grande processo educativo nel dibattito pubblico. Sfide difficili, eppure in passato sono state affrontate, con successi diseguali, ma le precedenti rivoluzioni tecnologiche hanno visto sul piano della politica l’organizzazione di un pensiero e di una organizzazione partecipativa: è successo con la prima rivoluzione industriale, è successo con la risposta della creazione del welfare per equilibrare la rivoluzione del capitalismo fordista. Non c’è stata per le profonde modifiche introdotte dalla globalizzazione della finanza e della produzione, e se ne vedono le conseguenze.
Una cultura generativa
Non ho soluzioni. Mi limito a segnalare un problema fondamentale perché la democrazia possa essere ancora vitale nell’organizzazione della società umana. E con un po’ di presunzione osservo che sembrano più attrezzate ad affrontare queste sfide quelle culture che potremmo definire eredi del socialismo riformista, del cattolicesimo democratico, di un liberalismo inclusivo. Meno prigioniere di schematismi ideologici, di mercatismi fuori dal tempo, di condanne tout court del capitalismo e della globalizzazione ma attrezzate per la correzione degli errori. Di Umanesimo integrale parlava Jacques Maritain. Temi di ampia riflessione anche nel pensiero socialista e liberale. Radici lontane, sì. Ma ci sono persistenze che son ancora vitali a saperle riscoprire.
Sempre per non limitarsi a guardare il dito e tornando alle mie parole iniziali: non è del centro che c’è bisogno come spazio della geografia politica, ma piuttosto di un lavoro intellettuale, che diventi politico, per la costruzione di questo nuovo umanesimo.
Un’ultima provocazione. Nei lontani anni 60 del secolo scorso avvenne una piccola (grande) rivoluzione politica: L’incontro della cultura cattolica, con quella socialista, aperta alla sfida del governo, e quella laico riformista espressa dal Partito repubblicano. Incontro capace di produrre grandi riforme: nel campo della scuola, della sanità, delle pensioni, del lavoro con lo Statuto dei Lavoratori, della infrastrutturazione energetica e trasportistica, con l’unica vera riforma istituzionale realizzata nella storia della Repubblica con l’istituzione delle Regioni. Magari qualcosa possiamo imparare ancora. (L’articolo è tratto da “IL GIORNALE DEL VENETO”)