
FUTURO POST ELEZIONI Divisi: la fortuna della Donna Dominante
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4 Novembre 2022Le parole sono importanti? Hanno un peso? Il punto interrogativo è d’obbligo e le parole usate dalle forze del nuovo governo di destra e dalla nuova presidente del consiglio mi hanno generato forti dubbi.
Forse si tratta solo di parole ma, se come ho sempre pensato, non avendo io scoperto l’acqua calda, il linguaggio è lo specchio di un pensiero, di una precisa scelta di vita, di un progetto di Paese, se è vero tutto questo, il mio disorientamento – e forse non solo il mio – è legittimo.
Alcune cose mi hanno colpito nella scelta (e nelle relative reazioni occorse) dei termini usati per denominare i nascenti ministeri del governo Meloni. Certo, i problemi che questo governo dovrà affrontare sono tali e così drammaticamente giganteschi che non ci dovrebbe essere spazio per la polemica linguistica. Trappola nella quale sono già caduti in tanti. Vuoi per assenza di contenuti, vuoi per una debolezza intrinseca a una opposizione, vuoi per un’incapacità di quest’ultima di trovare elementi di fragilità a una leadership che al momento sembra granitica e inattaccabile. Non lo so, ma di sicuro sono in parte d’accordo con chi ha sottolineato che ogni critica mossa alle questioni nominalistiche emerse in seguito alla formazione di questo governo non fanno altro che regalare punti a Meloni.
Ci sono, infatti, novità che si prestano ad interpretazioni ambigue. Faccio qualche esempio: la sovranità alimentare rimanda a un’autarchia di mussoliniana memoria; nello stesso tempo è un tema strettamente correlato alla filosofia dello slow food, da sempre caro alla sinistra. Anche la questione merito ha scatenato un vespaio di dimensioni epiche: da sinistra viene criticato il suo potenziale elitario e classista che ratifica una scuola che non tiene conto delle diverse e a volte penalizzanti situazioni di partenza, non tiene conto dell’inclusione e della tutela della fragilità; da destra se ne giustifica invece il ruolo di ascensore sociale che consente anche agli “ultimi” di scalare le vette del successo. Vuoi vedere che per la prima volta si estrarrà la scuola da quella nebulosa di mediocrità che da sempre l’avvolge? Peccato, però, che tale categoria non venga applicata ad altri settori!
Potremmo soffermarci ancora su altre denominazioni volutamente provocatorie come quella del ministero della natalità, in aperta contraddizione con le pari opportunità che qui, data l’attenzione nei confronti delle minoranze, almeno nelle intenzioni programmatiche, mi pare siano passate del tutto in subordine. L’effetto, probabilmente voluto, è il seguente: creare disorientamento nella sinistra e tranquillizzare il proprio elettorato con un linguaggio che sa di tradizione, di cattolicesimo di facciata, di ritorno al passato, di recupero valoriale e di rivincita. Si tratta infine di una formidabile opera di distrazione di massa verso il paese intero, per stornare l’attenzione da altri problemi ben più urgenti. Non è un caso, infatti, che la premier, nei suoi discorsi di insediamento, non abbia esplicitato con chiarezza alcune questioni spinose, come guerra, carobollette, povertà, lavoro, mafia.
Di sicuro sono emersi il suo carisma, la sua determinazione e un’ambizione sfrenata che – la conoscenza della storia mi insegna – quando è eccessiva rischia di essere dannosa. Perché nient’affatto interlocutoria. Poco conta che la premier voglia essere un buon presidente o il signor presidente, o che si dichiari post-fascista, a-fascista piuttosto che antifascista. Anche queste sono questioni di lana caprina, trappole per un’opposizione ingenua, attenta alle sfumature più che alla sostanza. È il delirio di onnipotenza manifestato da Giorgia Meloni che non ha nulla di femminile e di inclusivo, malgrado l’elogio alle donne alle quali si è visibilmente affiancata, partendo da Cristina di Belgioioso per arrivare a Elisabetta Casellati. Ma non fasciamoci la testa e non lasciamoci depistare da fuorvianti pregiudizi: vedremo che cosa farà per i problemi delle donne, per la loro salute e per i loro diritti. Soprattutto quando si sarà dissolta questa infatuazione collettiva nei suoi confronti.
Abbassata la maschera della moderata, a Montecitorio, la premier ha manifestato la sua vera essenza, esibendo l’urlo di sempre (forse un po’ meno querulo), l’irrisione e il disprezzo verso i suoi avversari, le smorfie, l’aggrottamento di sopracciglia, il ghigno e la sicumera apodittica che il potere suole regalare. Come in uno dei suoi tanti comizi. Ed è qui che è venuta fuori la sua anima di uomo. L’anima di una politica che, in un ambiente di uomini, si è imposta, osservando attitudini e comportamenti dei suoi compagni di partito, e mutuandoli. Nulla da dire sul suo primato di donna di potere. Ma si ha come l’impressione che dopo tanto studio, tanto impegno, tanta forza di volontà, tanta scalata ai vertici delle istituzioni, sia diventata – più o meno inconsapevolmente – un uomo solo al comando. E questa sarebbe l’ennesima sconfitta per le donne! Spero di sbagliarmi.