Divorzio all’italiana
12 Dicembre 2020I cantieri del campo progressista. Un futuro da Umarell o da Community Organizer?
18 Dicembre 2020Non ho mai avuto simpatia per il qualunquismo. I qualunquisti, nell’esercizio delle loro “funzioni”, mi irritano. Quando mi imbatto nella fiera dei luoghi comuni che un qualunquista, ancorché amico, mi propone, antepongo dei poderosi paletti ad alcuni argomenti, la trattazione dei quali mi creerebbe seri problemi di incrinatura della relazione d’amicizia. È passato il tempo in cui mi sentivo depositaria di verità inoppugnabili. Ed è passato anche il tempo in cui, grazie a questo patrimonio di verità, pensavo di poter cambiare il mondo. Oggi, per un maggiore disincanto e per quell’umiltà che mi deriva dall’esperienza, non ho la pretesa di predicare certezze. Non manco però di irritarmi di fronte ad alcune esternazioni.
Appartengo a una generazione che ha creduto tanto nel valore della politica. Nella politica intesa come arte nobile, come pratica di chi si riconosce in una identità collettiva e progetta, lavora, lotta, insiste per ottenere il benessere della collettività. È una generazione, la mia, che ha visto nella politica il luogo di affermazione di ideali forti, che ha conosciuto leader che ne portavano avanti i valori, e ha sempre pensato che le ideologie che si incarnano nei partiti siano lo specchio di un progetto di emancipazione esteso a tutti. Non di certo una macchina di consensi elettorali.
Insomma, la politica è, o dovrebbe essere, per i romantici della mia generazione, un territorio di giustizia, sia pure accidentato e lastricato di trappole. Tant’è che tanti idealisti come me, a differenza della vulgata più accreditata, sostengono l’importanza di uno stipendio congruo da destinare ai politici, in particolare ai parlamentari, proprio per l’importanza e l’utilità della loro funzione.
Il luogo comune più diffuso, tuttavia, oggi, sembra essere un altro. Ed è appunto quello secondo cui la politica è corruzione, malaffare, intrigo, imbroglio, collusione, spregiudicata ambizione, stolto arrivismo. Oddio, a volte ci s’avvicina. E negli ultimi decenni, a partire da Tangentopoli, si sono moltiplicati i paradigmi di illegalità nella gestione della cosa pubblica. Ciò non toglie che anche nella politica sopravvivano, e resistano alle lusinghe del facile guadagno e della propaganda a tutti i costi, sacche di onestà e di aderenza a principi sani improntati all’equità e alla giustizia. Ma gli esempi di mala politica sono tali e tanti che il tranello della generalizzazione è forte e appetitoso. E così si perdono postulati, quali “Sono tutti uguali”, “destra e sinistra è lo stesso identico liquame organico“, “il potere rende ciechi e sordi ai bisogni del popolo”, “è solo un calcolo di poltrone”, “riduciamo i parlamentari, riduciamone gli stipendi”, per citarne alcuni di una lunga carrellata, fino ad arrivare a un everygreen inossidabile e paradossale come “piove: governo ladro”! C’è chi ha fatto la sua fortuna su questi colpevoli fraintendimenti, tranne poi giungere al potere e riprodurre, magari in buona fede, magari con una discreta dose di ingenuità, magari per pura ignoranza, vizi e difetti della cosiddetta casta. Ma questo è un altro discorso. Il guaio è che sarebbe tutto molto folcloristico, se non ci fossero di mezzo la vita e il futuro di milioni di persone.
Oggi un governo debole affronta un dramma senza precedenti. Ed è chiamato a risolverlo in tempi brevi con delle scadenze importanti aggravate da una ipoteca di scarsa credibilità nei confronti dell’Italia, che indebolisce una fiducia accordata con riserva dall’Europa. Non entro nelle questioni tecniche, ma da cittadina in ansia per un presente plumbeo e un futuro incerto, preoccupata dall’avanzata di una destra populista e priva di progettualità, assisto impotente all’ennesimo teatrino della politica. E se da un‘opposizione rozza e incolta mi aspetto la demagogia più pretestuosa che apra un varco alle elezioni, dagli alleati di governo non accetto il gioco del bastian contrario. Anzi, lo temo. Mi fa paura. Mi fa paura perché potrebbe portare a un irrimediabile punto di non ritorno. Nessuno vuole una maggioranza priva di dissonanze o di dibattiti. Trovo, tuttavia, pericoloso il gioco della coerenza tout court – talvolta priva di fondamento – portato avanti dai grillini, palesemente finalizzato al consenso elettorale. Ancora più inquietante l’invettiva concitata di Renzi del 9 dicembre in Senato. Che non è altro che il punto culminante di uno stillicidio interno condotto, sin dai primi vagiti del governo, da una forza politica che, più che alleata, si è configurata da subito come un’enclave rissosa e ansiogena. E dico ansiogena perché i giochi di cui sopra di sicuro gonfiano l’ego di chi li fa, danno il brivido della notorietà, sia pure con il segno meno. Generano invece insicurezza in cittadini provati da mesi di rinunce e di timori, di precarietà e di lutti, di malattie e di incertezze. Sono giochi sadici e ingenerosi che spingono alla deriva qualunquista.
La tentazione di un ripiego al qualunquismo c’è, soprattutto sfogliando i giornali. Possibile che non se ne salvi nessuno, ci si chiede? Giochi di potere, ripicche, vendette, tattiche di basso profilo, ipocrita santificazione del Natale, del panettone e dei nonni, e intanto l’Italia affonda con i suoi 700-800 morti al giorno e col rischio che cenoni e pranzi di Natale diventino vere e proprie camere mortuarie. E tutto sulle spalle degli italiani.
Il quadro è questo e il fascino seduttivo del qualunquismo è forte perché non richiede ragionamenti e argomentazioni. Si basa su impressioni viscerali e produce reazioni immediate, non filtrate dalla sfera cognitiva. E dunque è facile da adottare e da cavalcare. E, soprattutto, a chi giova? A chi vuole che le cose non cambino. A chi, pur non avendo potuto impedire la fenomenologia del paradosso (vedi la sanità o la scuola in Italia ai tempi del Covid), gioisce nel lasciare le cose nella loro granitica immobilità. Tutti, prima o poi, siamo tentati. È necessario resistere e opporvisi: la storia ci insegna che non sceglie chi non ha più la forza di progettare il proprio futuro. E anche se quando piove ci piace dire “governo ladro”, dobbiamo allenare la nostra mente a non cascare nel tranello della rassegnazione, perché è proprio il rifiuto della politica che fomenta quei fenomeni di demagogia che tanto male ci fanno. È proprio il nostro non scegliere che autorizza quelli che hanno fondato le loro ricchezze sul qualunquismo di cittadini scettici, a turlupinarci in malo modo. Saranno tutti uguali, ma non faranno tutti schifo, che diamine!