Le difficoltà per un Macron all’italiana
15 Maggio 2022Prenotazione anti overtourism. Sentiamo.. Giovanni Montanaro
17 Maggio 2022Il Mondo va come va, le differenze fra le diverse realtà nazionali in molti casi sono anche macroscopiche. Ma il destino è comune se pensiamo che è almeno dal 2008 che il Mondo è percorso trasversalmente, senza troppe differenze, dalle diverse crisi che si sono succedute.
La crisi di Wall Street prima, la Pandemia Sars Covid19 dopo e adesso la guerra in Ucraina sono fenomeni che hanno lasciato il segno e che ne lasceranno altri che si possono persino prefigurare.
La “crisi” climatica, il cosiddetto Climate change, è il must col quale bisognerà fare i conti per i decenni prossimi venturi e anche questa è una spada di Damocle che pesa, e peserà, sulla qualità della vita dei Popoli della Terra.
La crisi della Finanza del 2008 ha avuto delle ricadute pesanti negli assetti economici dei Paesi Occidentali, ma non di meno ha provocato una spinta ulteriore all’emigrazione nei Paesi “sottosviluppati”.
La crisi della Politica, le spinte sovraniste e populiste traggono origine da questa tensione indotta a cui i governi non hanno saputo dare una risposta e che hanno subito perché alla fine al bisogno di sopravvivenza, alla fame e alla miseria le popolazioni non hanno trovato altra risposta che cercare un rifugio da qualche parte dei mondi a loro più vicini.
E non si tratta solo di Nord Africa ma anche di Sud America con tutti i muri materiali e legislativi che inutilmente sono stati elevati.
La Pandemia che ha solo poco più di due anni di vita ha compiuto il “miracolo” di illudere le popolazioni del cosiddetto “mondo benestante” che sarebbe potuta nascere un’azione catartica e riparatrice: “niente sarà come prima” e “andrà tutto bene” sono stati i mantra salvifici che hanno ispirato i sentimenti dei primi periodi della crisi sanitaria globale.
Poi, nonostante l’invasione di fake news, lo strabordare di assunzioni di verità mai avvalorate scientificamente, la pervasività del mondo dei No-Vax, che hanno ammorbato l’aria e hanno cercato di minare le certezze della razionalità scientifica, sono intervenuti i vaccini in tempi straordinariamente ristretti grazie all’aiuto di investimenti enormi sia pubblici che privati (maledetto capitalismo!) e puf! il giocattolo dell’illusione “buonista” si è rotto e tutto è tornato come prima, forse peggio.
Ne abbiamo un esempio qui da noi, sotto casa, con il ritorno del Turismo pervasivo e incontrollato: “un delirio” è stata la definizione non dell’ultimo giapponese rifugiato nella estrema trincea di San Pietro di Castello, ma del Capo dei Vigili urbani del Comune di Venezia.
E con la scusante della crisi pandemica deroghe e concessioni più che lassiste sono in corso a modificare ancor di più, se ancora si può, la vivibilità della nostra Città.
Ma c’è di peggio a qualche centinaio di chilometri da qui, per cui è meglio non lamentarsi troppo.
La crisi Ucraina, determinata dall’invasione inaccettabile, irresponsabile e proditoria da parte della Russia putinista, è un paradigma di uno scontro fra due concezioni del Mondo, queste sì che dipendono esclusivamente dal portato culturale, valoriale a cui fare riferimento.
Non è in gioco la scienza, e nemmeno il capitalismo (perché è capitalismo anche quello Russo – e Cinese – lo è di Stato ma è Capitalismo a pieno titolo).
Si tratta di Democrazia vs. Autocrazia. Si tratta di libertà, vs. costrizione, di autodeterminazione vs. sottomissione.
Ed è indubbio che è stato Zelensky a cambiare le carte sul tavolo della politica internazionale, rispondendo alle prime flebili reazioni del Mondo Occidentale che voleva munizioni, non un passaggio di fuga all’estero. Sono stati gli ucraini, con una resistenza su cui all’inizio nessuno aveva scommesso un centesimo, a cambiare la situazione sul campo e a far ricredere gli stessi americani.
Da qui le decisioni europee, e statunitensi, di affiancare alle sanzioni economiche, che però scontano le inevitabili ripercussioni sul fronte delle forniture energetiche che in larga parte dipendono ancora dal cordone ombelicale con Gazprom, la fornitura di armi e di sistemi strategici per aiutare la resistenza ucraina.
Con tutto il portato della discussione, alcune volte persino surreale, di molti protagonisti della politica nazionale che qui da noi assume toni particolarmente imbarazzanti – che non fa mancare mai la più classica delle contrapposizioni fra guelfi e ghibellini – che provano a negare l’evidenza delle cose. E tenta di reinterpretare persino i termini di “aggredito” e “aggressore”.
E gioca capziosamente con la Resistenza, che nessuno dotato di un minimo di onestà intellettuale può dichiarare che sia stato qualcosa di diverso da quella che stanno provando a mettere in campo gli ucraini. Anche con l’aiuto degli “alleati”, come si è verificato qui da noi nel ’43-’45.
E allora si assiste alla ripresa di un pacifismo iper-idealista pieno solo di parole e vuoto di capacità di suggerire come modificare lo stato delle cose se non prendendo atto che la soluzione sarebbe quella di lasciare che la Russia faccia quello che si era prefissata di fare: riconquistare i territori ucraini fregandosene delle decisioni democratiche che lì erano state assunte nel tempo attraverso elezioni largamente partecipate dalla popolazione.
Sul fronte diplomatico internazionale per fortuna invece si sentono parole e discorsi molto più responsabili e realisti.
«In ultima analisi la decisione su come disegnare la pace spetta al governo e al popolo sovrano dell’Ucraina. Questo non lo possiamo decidere noi». Le parole del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg.
Emmanuel Macron nel suo discorso davanti al Parlamento di Strasburgo, qualche giorno fa ha pronunciato parole di verità con un peso specifico determinante per gli sviluppi di un’azione negoziale, che peraltro tutti auspicano:
«Per sostenere l’Ucraina abbiamo adottato sanzioni senza precedenti…, abbiamo mobilitato risorse militari, finanziarie e umanitarie…, stiamo lottando e lotteremo contro l’impunità per gli indicibili crimini commessi dalla Russia in Ucraina».
«Fermare questa guerra il più presto possibile. Fare tutto il possibile per assicurare che l’Ucraina possa alla fine resistere e che la Russia non vinca mai. Per preservare la pace nel resto del continente europeo ed evitare qualsiasi escalation».
Chi può dirsi a favore della guerra, chi non vorrebbe ristabilire la pace? Domande retoriche che devono fare i conti con la realtà fattuale e che non possono essere bypassate da un atteggiamento rinunciatario ad affermare i principi democratici.
«Ma non siamo in guerra con la Russia. Stiamo lavorando per la conservazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, per il ritorno della pace nel nostro continente. Spetta all’Ucraina definire le condizioni per i negoziati con la Russia. Il nostro dovere è di stare al suo fianco per ottenere un cessate il fuoco e poi costruire la pace. Allora saremo lì per ricostruire l’Ucraina. Perché, infine, quando la pace tornerà sul suolo europeo, dovremo costruire nuovi equilibri di sicurezza e non dovremo mai cedere alla tentazione dell’umiliazione o allo spirito di vendetta, perché hanno già, in passato, devastato i sentieri della pace».
Non siamo in guerra con la Russia. È la volontà di potenza di Putin che ha portato la guerra in Europa. Va fiaccata, respinta, e costretta alla pace.
L’aggressione di un regime di ispirazione zarista, imperialista, ai danni dell’Ucraina determina la necessità di prendere posizione e di definire i confini valoriali entro i quali le popolazioni europee e le istituzioni che le rappresentano vogliono collocarsi.
L’Occidente per come è uscito dalla Seconda Guerra Mondiale, per come ha saputo implementare la sua economia di mercato, per come ha saputo migliorare il suo standard di vita, per come ha avvalorato le procedure democratiche della partecipazione collettiva alle decisioni è un “territorio” a cui richiamarsi sapendo che l’Europa non è più solo un continente geografico ma sta assumendo sempre più i connotati di un sistema di relazioni strettamente interconnesse a molti livelli: politico, economico, sociale, scientifico, sanitario e anche militare.
E non c’è dubbio che anche questa traiettoria è disegnata per proseguire e per tendere verso un “destino” sempre più comune, nonostante tutte le spinte che la vorrebbero affossare sulle trincee nazionali e su obiettivi di corto respiro che un’economia sempre più globalizzata, nella sostanza più che nelle forme, è destinata a determinare.
Ma la decisa resistenza alla violenza belligerante da una parte, e la resilienza che le diverse crisi hanno indotto nel carattere degli europei, plasmato da 77 anni di assenza di conflitti interni, fanno pensare che le crisi si superano e che alla fine se ne uscirà con un’Europa più forte, più unita e più credibile nel complicato gioco dei rapporti geopolitici internazionali, di cui parla anche Federico Moro in questo suo articolo
https://www.luminosigiorni.it/2022/05/il-conflitto/
Le contraddizioni non mancano di certo. Le tensioni neppure. Qualche passo del gambero va messo nel conto. Ma l’Europa ne uscirà a testa alta.