Contorta e grandi navi: qualcosa s’è mosso
9 Agosto 2014Adesso troviamo presto il tasto “riavvia”
17 Agosto 2014In politica interna e cittadina in un editoriale, in modo forse sin troppo ambizioso, si possono tentare giudizi politici, se si vuole anche trancianti e con tutti i limiti di una certa dichiarata partigianeria, per quanto di solito ben argomentata. Il preambolo mi sembra necessario perché invece molte altre volte questi editoriali devono abbassare di molto le loro ambizioni e non possono essere che semplici riflessioni, quasi un pensiero ad alta voce, di fronte a fatti di portata e complessità tale per cui un giudizio politico rigoroso, pur anche di parte, è praticamente impossibile.
Mi riferisco alla situazione internazionale che si è manifestata in modo devastante e violento su diverse scacchiere del pianeta aggravandosi nel corso dell’estate, ma con particolare accanimento nell’area che va dall’est europeo al Mediterraneo; oltre ovviamente alle guerre dimenticate disseminate un po’ ovunque a macchia di leopardo nel globo.
Su tutto ciò che cosa poter dire? Poco o nulla sui torti e sulle ragioni separati di qua o di là da una linea divisoria netta. Se ci si inoltra poi nella spirale di cause e concause in poco tempo ci si trova in contraddizione. Si affronta con piglio sicuro la questione islamica e subito ci si accorge che il deterministico rapporto tra religione e politica si arena di fronte al ‘combinato disposto’ dei diversi islamismi e delle diverse etnie. Sembra l’applicazione geopolitica della matematica ‘teoria degli insiemi’ che notoriamente crea particelle molto piccole, piccole si, ma inestinguibili. Vittime e carnefici si scambiano le parti a giorni alterni e di questa natura è da sempre e ancor più oggi il conflitto in Israele e in Palestina. Le primavere arabe sono durate pochi anni, a volte mesi, più spesso non son mai divenute primavere e rimangono ferme a ribellioni senza sbocco se non quello del numero dei morti a cinque cifre, vicine a diventare sei. La pianta del nazionalismo e dell’odio etnico non è ancora estirpata in Europa e si rigenera da sola un po’ dappertutto senza bisogno di acqua e fertilizzanti, per moto proprio spontaneo. Ma anche la vocazione imperialistica di alcuni, chiamiamoli, stati si trova nella medesima condizione e la loro aspirazione egemonica è, come si dice, per molti di essi, e per le leadership che li, diciamo, guidano, “ più forte di loro”. L’economia nel frattempo va per conto suo, genera crisi, le supera, le rigenera, come una variabile indipendente che con spietato cinismo produce, fa crescere o abbatte PIL, supera in un battibaleno antiche barriere ideologiche, abbatte, ma senza far più crescere, foreste. Mentre dall’altra parte del fiume o del monte o del confine c’è chi muore di pallottole che nel frattempo qualcun altro da qualche altra parte in qualche angolo continua, sereno e indifferente, a produrre. Verrebbe da dire provocatoriamente, ma fino a un certo punto: ridateci la guerra fredda !
L’approccio razionale nelle soluzioni dei problemi internazionali, ma anche in quelli interni, si rivela ogni giorno che passa spuntato, disarmato, direi quantomeno afono. E questo brucia ancora di più per chi ci aveva creduto, per chi aveva fondato sulla luce della ragione la pace perpetua. L’Europa ha prodotto su questo terreno un patrimonio teorico immenso, ma appunto teorico. Sbriciolato nel Novecento da bestiali conflitti interni nel cuore del suo stesso territorio, fondati sulle interpretazioni forzate di quello stesso patrimonio teorico. Nei libri di storia si enfatizza la nascita della Comunità Europea nel ’57 come fatto simbolico di -cito a braccio-“un’ Europa che vuole lasciarsi alle spalle gli orrori delle guerre, finalmente proiettata verso l’unità“. Millenovecentocinquantasette. Tra tre anni saranno sessant’anni e quell’enfasi ancora presente nei libri di storia appare in tutta la sua inconsistente verbosità. Nel passaggio di millennio, che ha fatto della velocità il suo mito orgoglioso e la sua cifra, la politica, come un bradipo, ci mette infatti quasi settecentoventi mesi e un numero inenarrabile di giorni e di ore per partorire nient’altro che un corpicino stentato, balbettante come l’Unione Europea attuale, del tutto impotente di fronte agli eventi che la riguardano sul suo terreno e su quello del pianeta che culturalmente avrebbe voluto egemonizzare, riuscendoci solo, e solo in parte, sul piano dell’omologazione dei costumi e dei consumi. E ancora. Dopo quasi sessant’anni la roboante e poco popolare ‘Unità Europea’ si trova surclassata nelle sue stesse viscere dalla popolarità delle secessioni di Catalogna e Scozia, per citare solo quelle più simboliche, capofila di un numero sconosciuto di possibili mini o macro secessioni o aspiranti tali più o meno note, molte ignote, che a volte arrivano più pateticamente ma non per questo meno minacciosamente alla scala regionale e financo comunale. Secessioni nobilitate con uno spirito di libertà dai loro promotori per confondere lo spirito autentico e pericolosamente inquietante che le muove da sempre. Quello del “sangue e suolo”.
Se si giudica il periodo storico con la scala dei mesi e degli anni in cui si vive lo scenario delineato non lascia scampo all’ottimismo su nessun piano. Ma non ci chiameremmo ‘Luminosi Giorni’ se non avessimo nel nostro interno, in luoghi insondabili tra corpo e anima una piccolo pezzo di brace sempre accesa e che ci induce a guardare il panorama storico su tempi più lunghi e più ampi. Personalmente ritengo che l’epoca contemporanea comunque sia mantiene dei vantaggi a favore della vita e delle sue buone condizioni di gran lunga superiori a quelle del passato remoto e prossimo. Non è il caso ora, per non allungare ancor di più questo brodo già sufficientemente lungo, di snocciolarne le ragioni che sono molte e dimostrabili. Ma basti questo: nel passato conflitti armati devastanti e stragi erano accettate supinamente come le alluvioni, le siccità e i terremoti e ci si conviveva facendone un’abitudine. Oggi invece il solo fatto che ai più lo scenario delineato prima crei dolore, sgomento o semplice fastidio e che di getto lo si voglia quantomeno scacciare dalla vista pur senza riuscirci, dimostra che si pone come contraddizione bruciante alle chance di vita che abbiamo in mano. E che sono molte. Non trovano il bandolo per dispiegarsi definitivamente in un progresso per tutti e in un’equità per tutti. E ho già detto che il bandolo con soli procedimenti razionali non sembra potersi trovare, come si era ad un certo punto sperato.
Provo allora, con una semplice riflessione personale senza troppe pretese, a tentare di trovare un bandolo o una molla non sul piano razionale, ma su quello istintuale e persino emotivo. Ognuno di noi umani aspira a vantaggi per sé, anche egoisticamente se si vuole e questa non è razionalità; è appunto istinto, perché qualsiasi nostro gesto o azione ha alle spalle un nostro istintivo disegno, più o meno preciso e lineare, che ci spinge alla strada più facilitata per avere un beneficio diretto e personale. Allora la ricerca dell’unità e della pacificazione politica, a tutte le scale, dal borgo al pianeta, dovrebbe essere scelta quantomeno per calcolo di vantaggi. L’utilità in definitiva di una soluzione e di una situazione pacificata e unitaria, depurata dal valore etico, che pure le è proprio e innegabile, può far sorgere il seme di una convivenza necessaria a ciò a cui ogni essere aspira: vivere nella condizione migliore possibile. Per approssimazione, la migliore possibile. Certo tradurre in politica internazionale questa pia intenzione è un gioco non semplice. Ma la convenienza della Pace e dell’Unità comunque andrebbe rivalutata come molla prioritaria di ogni soluzione dei conflitti. A me pare.