Acqua Granda: ricorrenza od occasione per riflettere?
25 Ottobre 2016La globalizzazione del rincoglionimento
27 Ottobre 2016Ringrazio Franco Vianello Moro che in questa pagina ci propone una sua riflessione sull’ “aqua granda”: non era semplice celebrare un evento del genere senza cadere nella retorica, e senza banalizzare. E mi pare che lui ci sia riuscito.
E’ molto amara la sua conclusione perché osserva che a partire da quell’ “aqua granda” Venezia ha cominciato a spopolarsi e a perdere la sua natura, di città, appunto, arrivando all’oggi con una classe politica inadeguata e senza idee e progetti, fatta di ‘barbari’. Il riferimento impietoso è rivolto non solo a questa amministrazione comunale ma anche a quelle di segno politico diverso che l’anno immediatamente preceduta diciamo negli ultimi dieci anni. Spicca, secondo lui, il contrasto dell’oggi con una classe politica più alta che governava venti, trenta, quarant’anni fa. Ne abbiamo parlato un po’ e gli ho fatto presente che la classe politica di venti, trenta quarant’anni fa nulla ha fatto però, come questa presente, per frenare l’emorragia di abitanti, se quello è il tema di riferimento. E’ noto che io attribuisco questa emorragia anche a fattori generali che riguardano tutte le città storiche, ma è innegabile che il tema “ residenza a Venezia” è quello che i cittadini percepiscono come la madre di tutte le emergenze. Era ceto politico di statura alta quello del primo dopoguerra, cito a caso tra sindaci, vicesindaci e assessori Gianquinto, Spanio ? Poi quello degli anni ’60/’70, Favaretto Fisca, Dorigo e poi Giorgio Longo ? Era di statura alta soprattutto quello circondato da alone di nostalgia per la sua presunta ‘grandezza’ dal ’75 all’ 85 di Rigo e Pellicani e giù giù fino a Casellati e poi Cacciari e poi Costa ? Forse è stato ceto politico più alto nella perizia o intellettuale o politica dei protagonisti , nella qualità della stoffa, cashmere anzichè l’acrilico di oggi, ma è stato un ceto che poi ha fatto anch’esso atto notarile, come quello più recente, della decadenza cittadina, senza riuscire mai e poi mai a invertire la tendenza funerea che è percepita oggi ( e la percezione va rispettata come un fatto oggettivo). Sempre pensando all’esodo di popolazione residente, i maggiori flussi in uscita in percentuale ( non ovviamente in valori assoluti) è avvenuto proprio dal ’60 al ’90 in epoche in cui la classe politica era, secondo Franco, ma anche secondo me, di ‘civilizzati’ e non di ‘barbari’. Neppure è cambiato il vento con il risvegliato entusiasmo, con idee sulla città e con i piani coraggiosi dei primi ’90, che qualcosa di importante produssero, ma in un contesto generale che non mutava direzione. Se no ne vedremmo ( o ne percepiremmo) i frutti.
Tutto ciò può servire a far trarre delle conclusioni anche opposte tra loro e forse tutte ugualmente vere.
Se gente così di stoffa, come la si dice per il passato, non è riuscita in un disegno di rilancio cittadino vuol dire che le città e i territori posseggono delle dinamiche proprie fisiologiche che seguono di per sè una loro intrinseca evoluzione/involuzione, a seconda dei casi, e, come già detto, le città storiche ci sono tutte dentro. Pensare che Venezia potesse essere estranea a certi processi dimostra la miopia di molte analisi portate avanti anche da storici, sociologi, urbanisti e intellettuali in genere, soprattutto veneziani, espressione questi di una città chissà perchè ritenuta, da loro e non solo da loro, figlia di un Dio maggiore, speciale, del mondo e quindi immortale, come l’Achille dell’Iliade.
Ma la conclusione opposta che invece pretende che le cose nella storia, e anche Venezia allora, possano e avrebbero potuto cambiare per volontà, può far invece riflettere sull’impotenza della politica, se la volontà la si esprime lì, politica a cui ci si affida ciecamente, salvo poi finire per scoramento nell’antipolitica per logica dei contrari; impotenza della politica sempre e in ogni era però; sulla sua impotenza, in quanto tale e non solo quella di adesso, nel cambiare il corso degli eventi in meglio, perché in peggio invece ci riesce spesso bene. Solo in occasione di grandi drammi storici, o meglio al loro epilogo, e qui mi allargo anche a fatti nazionali e internazionali, la politica può aver dato prova di essere capace di progettare futuro a partire dal presente. Ma era una politica portata avanti dai grandi movimenti storici sopra di essa. Si cita spesso la Resistenza e il post Resistenza. A ben vedere anche in quelle occasioni la politica orientava bene, con buone intenzioni, con figure di alto profilo, ma quando poi si trattava di gestire i cambiamenti, il giorno per giorno, l’inadeguatezza di fronte alla montagna da scalare si manifestava a tutto tondo.
Questo si è profilato in tutta evidenza quando la politica si è intrecciata con la Democrazia. Dovremo prima o poi fare i conti con i limiti strutturali, intrinseci della democrazia, avendo il coraggio di guardare in faccia la realtà di una tecnica politica che sulla carta genera giustizia ed equità ma spesso solo a tavolino, sui libri e raramente efficienza e applicazione. Tornando a Venezia da cui si è partiti è riconosciuto da molti il fatto che nel ‘900 l’unico periodo in cui la politica è riuscita non solo ad avere un’idea forte sulla città, ma anche in buona parte a realizzarla è stato durante il ventennio successivo alla Prima guerra mondiale. Lasciamo stare che la scelta forte, ma non certo l’unica di quel periodo, sia stata quella controversa di Porto Marghera, sul momento ma soprattutto a posteriori molto criticata, ma certo nel bene e nel male di enorme portata: è’ un dato di fatto che in quegli anni la città ebbe dotazioni moderne di rilancio ( tra tutte il Ponte della Libertà ) e acquistò una centralità in molti settori anche nella produzione culturale. Era un ventennio quello in cui senza troppi passaggi e veti dettati da pesi e contrappesi, si decideva e si faceva, tipica condizione di un regime autoritario. Dovremmo rimpiangerlo? Certo che no, ma ciò nulla toglie al fatto che il suo esatto opposto, il sistema democratico vigente, mostri limiti operativi e decisionali oggettivi; persino con un sistema elettorale come quello dei sindaci, che è ritenuto il frutto migliore di tutte le riforme elettorali degli ultimi vent’anni per la sbandierata caratteristica che il Sindaco è eletto direttamente dai cittadini. Caratteristica che, come ben si è visto, non basta dal momento che poi il Primo Cittadino eletto deve comunque rispondere a un’infinità e a una complessità di corpi intermedi, istituzionali, tecnici e sociali che, remandogli dichiaratamente o silenziosamente contro, vanificano un teorico buon sistema (si veda, per inciso, come l’attuale sindaco di Venezia si illude di poter bypassare questa complessità di corpi intermedi, forzando e ottenendo l’esatto opposto soprattutto per ciò che attiene al consenso verso di lui).
Per concludere si può dire che forse allora non è neanche questione di buona classe politica, il che è forse condizione necessaria ma assolutamente insufficiente. C’è da prender atto che i meccanismi della modernità in politica e nella società hanno vita autonoma e non si coordinano quasi mai con la buona volontà di chi governa.
Per questo il presente ci sembra sempre mediocre, perché lo si paragona a un futuro irrealistico e a un passato visto con gli occhiali della nostalgia e mai della realtà. Che dovrebbe dirci qualcosa se è vero che anche in molte epoche passate, soprattutto a noi vicine, si è percepito il presente come mediocre ( basta sfogliare i giornali d’epoca e leggere le lettere al Direttore dal dopoguerra ad oggi). Oppure in qualche rara occasione anche precedente il presente è stato vissuto non come mediocre ma come dramma ( guerre, distruzioni) perché di dramma si trattava e il dramma non è mai mediocre. Una condizione, quella del dramma, magari più valorizzata e vissuta più intensamente, nel passato e anche nel presente, perché il dramma, lo si vede con le solidarietà per esempio dei terremoti, sprigiona energie positive e non fa percepire mediocrità. Che è invece la condizione permanente del presente vero di oggi e di ieri, nella quale bisognerebbe prima o poi acconciarsi a vivere e non a sopravvivere perennemente malmostosi. E col presente bisognerebbe anche riconciliarsi. Il caso di Venezia è emblematico al riguardo. Giudicata e vissuta sempre con lo sguardo a ciò che era, bisognerebbe una buona volta accettare che il presente della città è questo e in questo bisogna scegliere e ragionare. Con la gente che c’è.