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3 Maggio 2024PROGETTO EUROPA Federalismo ed Europa
5 Maggio 2024«Scrivete Giorgia sulla scheda» rievoca, almeno ai boomer, «ho scritto t’amo sulla sabbia» (Franco IV e Franco I, 1968) e fa da contrappeso al più famoso sfottò di Totò «vota Antonio vota Antonio vota Antonio…»: Antonio La Trippa cognome evocativo e derisorio.
«Scrivete Giorgia sulla scheda» appare l’acme della disintermediazione populista di destra che, come veicolo, ha la candidatura in tutta Italia facendo delle elezioni europee un plebiscito sulla sua figura – lo dice lei stessa – voglio verificare il consenso, che di fatto azzera il vero contenuto delle Europee a favore di un mega-sondaggio sul governo.
La Premier trasforma l’elezione del Parlamento Europeo in un sondaggio sulla fiducia, scambia il voto per un autografo, non si preoccupa del futuro geopolitico del mondo ma solo di regolare i rapporti con Salvini.
L’appello al voto europeo è una sterzata ego-populista di Giorgia Meloni che riafferma ancora una volta come il voto alle Europee sia niente altro che un grande sondaggio di opinione realizzato oltretutto con i soldi pubblici (il costo di tutto l’ambaradan organizzativo).
E’ un sistema che rende l’Italia poco credibile agli occhi dei partner europei anche perché quasi tutti i leader si candidano in prima fila e in più di una circoscrizione dichiarando che loro a lavorare nel seggio Europeo non ci andranno mai perché preferiscono rimanere qui a marcarsi stretti, prima di tutto all’interno delle diverse coalizioni (Meloni vs Salvini vs Tajani vs Salvini – Schelin vs Conte vs Schlein).
Un vero e proprio tradimento della fiducia dei loro elettori (a cui forse non può però fregare di meno).
Con la onorevole eccezione di Matteo Renzi, di Emma Bonino e di quei candidati della lista Stati Uniti d’Europa che, se eletti, hanno pubblicamente preso l’impegno di lasciare i loro seggi parlamentari in Italia e di trasferirsi a Bruxelles/Strasburgo.
Tutti gli altri sono focalizzati a misurare la loro capacità di chiacchierare, forse persino di sproloquiare, di questioni di solito poco rilevanti, avendo come area di riferimento l’orto di casa propria e non i temi più urgenti, più pregnanti, più strategici che derivano dalla necessità di dare all’Europa un assetto compiuto e determinante nel panorama geopolitico internazionale.
Cosa vuoi portare a casa, cosa vuoi contare se il tuo slogan è “Più Italia meno Europa”? Quando l’economia, i rapporti internazionali sono sempre più globalizzati e interconnessi.
La sindrome NIMBY colpisce anche quelli che dovrebbero avere un minimo di visione anche se c’è da farsi qualche domanda su quale sia la loro visione.
I temi sul tavolo sarebbero davvero impellenti e densi di conseguenze per l’intera comunità del mezzo milione di europei: una politica finanziaria condivisa e supportata da un fisco comune oltre che dalla capacità di autofinanziarsi con gli eurobond – il debito “buono” – finalizzata a sostenere progetti di crescita e di espansione economica, una politica energetica comune, un adeguato sistema di sicurezza e militare condiviso, solo per citare le questioni che toccano davvero la qualità della vita di tutti noi.
Poche le eccezioni di quelli che pensano a lavorare su questi temi, che sanno di cosa si parla, che non usano questa campagna elettorale come uno scagnello sul quale montare, neanche fossero allo speaker’s corner di Hyde Park, a declamare le loro fanfaronate.
Ci sarebbe da “disperarsi” se non fosse che alcune onorevoli eccezioni parlano di programmi europei, di temi geopolitici, di relazioni internazionali. Ma in larghissima parte sono tutti esponenti politici di “seconda fila” perché i leader puntano su altro: la misura del proprio posizionamento e consenso in chiave strettamente nazionale.
Come siano andati alla lunga questi sondaggi d’opinione, reinterpretati in chiave di elezioni europee, sono nella memoria di tutti noi: Renzi, Grillo, Salvini… anche se alcuni distinguo andrebbero fatti.
Per fortuna che la Commissione europea poi chiama a fare da consulenti strategici persone come Enrico Letta col suo rapporto sul futuro del Mercato unico e Mario Draghi che produce un rapporto sul futuro della competitività europea
Solo per capire il taglio e la visione, riporto alcuni brevissimi passaggi di quest’ultimo: “per molto tempo la competitività è stato un tema controverso in Europa, ma la questione chiave è che abbiamo sbagliato focus, vedendo noi stessi come concorrenti e allo stesso tempo non guardando abbastanza all’esterno… Abbiamo creduto alla parità di condizioni e all’ordine internazionale basato sulle regole, aspettandoci che gli altri avrebbero fatto lo stesso, ma il mondo sta cambiando rapidamente e ci ha colti di sorpresa”. Attori di peso come Stati Uniti e Cina “stanno attivamente elaborando politiche per rafforzare la loro posizione di competitività e indirizzare gli investimenti a loro vantaggio e a spese nostre”. Da Pechino che ha l’obiettivo di catturare e internalizzare tutta la catena di approvvigionamento nelle tecnologie verdi e avanzate a Washington che usa politiche industriali su larga scala per attirare capacità manifatturiere di alto livello all’interno dei loro confini”.
Al contrario l’Unione Europea “non ha mai avuto un patto industriale equivalente” e soprattutto “manca ancora una strategia complessiva per rispondere in molteplici aree, dalla rincorsa ai ritardi tecnologici alla protezione dell’industria tradizionale causata da asimmetrie sul piano regolatorio, commerciale e di sussidi”, fino alle ambizioni di ridurre le dipendenze strategiche (come materie prime critiche e batterie). L’Unione deve definire priorità attraverso azioni immediate nei settori con la massima esposizione alle sfide verdi, digitali e di sicurezza
Voi capite perché poi c’è qualcuno che pensa che Mario Draghi possa essere la persona giusta per uno dei ruoli chiave del Governo Europeo.
Anche se c’è Giorgia quella che “sono Una Donna, sono Una Madre, sono Cristiana” (ad uno dei meeting ultrasovranisti – ops! Giorgia e il sovranismo: ma dici davvero?) che non si preoccupa di alzare barriere per delegittimare la possibile candidatura di Mario Draghi.
C’è da dire che la Meloni appartiene ad un gruppo che difficilmente “darà le carte” in sede europea dopo che si saranno chiuse le urne: almeno stando a tutti i sondaggi fino ad oggi.
E quindi c’è da sperare che l’operazione Draghi vada in porto, e se non sarà lui uno/una all’altezza.
Perciò sarebbe il caso che almeno le persone più attente, più informate, più accurate nell’approccio politico valutassero molto bene la loro propensione al voto, mettendo da parte, per quanto possibile, un approccio di appartenenza e in qualche caso fideistico e invece privilegiassero un atteggiamento Europa-centrico dando il proprio voto a quelle formazioni che hanno messo al centro dei loro programmi e delle loro candidature non gli egocentrismi ma le idee e i programmi per un rafforzamento del progetto europeo.
Per parte mia, se devo dare un giudizio, credo che la lista “Stati Uniti d’Europa” sia la più coerente e la più radicalmente ancorata a questo orizzonte.
Evitare “vota Antonio”.