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17 Novembre 2025La discussione che imperversa sui media sul ritocco dell’aliquota IRPEF intermedia — dal 35 al 33% per lo scaglione di reddito imponibile compreso tra 28.000 e 50.000 euro — ha assunto toni direi surreali. C’è chi la definisce una misura a favore dei “ricchi” e chi, al contrario, la considera un piccolo ma doveroso segnale verso la classe media. Entrambe le letture contengono una parte di verità: è, per così dire, il classico bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Proviamo allora a ragionare oltre le semplificazioni, esaminando la questione attraverso diverse lenti e lasciando che siano i numeri a guidare la riflessione.
Prima di tutto: la revisione delle aliquote è dichiaratamente rivolta alla ormai leggendaria “classe media”. Qualche numero generale per inquadrare il problema.
I dati del MEF (anno 2019, ma ancora rappresentativi) mostrano questa distribuzione:
- sotto i 15.000 €: 43,7% dei contribuenti, che versa solo il 3,8% dell’IRPEF totale;
- tra 15.000 e 29.000 €: 35,1% dei contribuenti, 27,9% dell’IRPEF;
- tra 29.000 e 55.000 €: 16,6% dei contribuenti, 33,3% dell’IRPEF;
- tra 55.000 e 75.000 €: 2,2% dei contribuenti, 9,7% dell’IRPEF;
- oltre 75.000 €: 2,4% dei contribuenti, 25,3% dell’IRPEF.
Le prime due fasce di reddito non sono toccate dalla manovra. Erano state oggetto di misure specifiche per le classi meno abbienti di contribuenti IRPEF nella Finanziaria precedente . A costoro non viene in tasca nulla (e nulla viene tolto). Quindi, premessa importante: chi ritiene che comunque la priorità dovesse comunque ancora essere posta agli ultimi (al netto del fatto che tra questi ci sono anche grandi evasori, ma non voglio andare fuori tema) ha, dal suo punto di vista, ragione: la manovra è a favore dei “ricchi”, ancorché sia paradossale considerare come tale chi guadagna più di 28000 €.
C’è altresì chi pensa (chi scrive tra questi) che sia stato opportuno pensare una misura che vuole premiare quel quinto di contribuenti (per la precisione il 21,2%) che sopporta più dei 2/3 (68,3% per essere esatti) dell’onere IRPEF. Fatta questa premessa, vediamo dunque gli effetti della manovra limitatamente alla categoria che ne ha giovamento. E precisamente, all’interno della stessa categoria, analizziamo gli effetti e i benefici per le diverse fasce di reddito.
I conti sono presto fatti: il 2% in meno (35 – 33) di prelievo fiscale tra 28000 e 50000 (differenza 22000) corrisponde al massimo a 440 €, che è il guadagno di chi guadagna 50000 o più. Per i redditi intermedi il guadagno è proporzionale. Per esempio, per un imponibile di 39000 € (valore intermedio tra i due valori limite della fascia), il guadagno è la metà del massimo, ovvero 220 €. E così via. Ci sono vari criteri di interpretazione di quanto appena descritto.
Primo criterio: si valuta il valore assoluto del beneficio. In tal caso poiché il vantaggio è maggiore per chi sta sopra i 50000 € e zero a 28000, ha ragione chi sostiene che la manovra favorisce i “ricchi”.
Secondo criterio: valutare il beneficio in relazione all’imponibile. Criterio basato sul fatto che ognuno percepisce il beneficio in rapporto a quanto guadagna. Lo chiamerò nel seguito, per brevità, beneficio percepito. Graficando, si ottiene questo andamento:

Come immediatamente intuitivo, a partire da zero in corrispondenza di 28 k€, il beneficio percentuale cresce rapidamente fino alla cuspide in corrispondenza di 50 k€ e poi cala lentamente. Alla luce di questo criterio, la prospettiva cambia radicalmente e si nota come il beneficio percepito sia concentrato intorno ai 50 k€ di reddito imponibile. Quindi, direi, centrata sul target di riferimento.
Terzo criterio. Ragionare non più in termini individuali ma quantitativi. Ovvero i denari complessivamente erogati (o meglio, NON prelevati con le tasse) come vengono distribuiti. Dichiaro, per quel che vale, che trovo quest’ultimo criterio quello più ragionevole. Ebbene, a grandi linee, calcolando i dati della distribuzione del numero di contribuenti 2023 per fasce di reddito (fonte Osservatorio della spesa pubblica), si può stimare, vuoto per pieno, che i contribuenti tra 28 e 35 k€ ricevono complessivamente poco più di mezzo miliardo, quelli da 35 a 55 k€ sono complessivamente sopra il miliardo e mezzo, quelli oltre i 55k€ e sotto i 100 k€ circa 800 milioni e sopra i 100 k€ siamo a 300 milioni circa. Con questo criterio, dunque, i veri ricchi (oltre 100 k€) ricevono meno del 10% della torta. La parte più grossa, circa la metà, va alla classe 35 – 55 k€ ovvero quella che, credo ragionevolmente, viene considerata la classe media. Uno potrebbe obiettare che non è giusto che anche i ricchi (e pure i benestanti) ricevano comunque un beneficio ancorché, come evidenziato, progressivamente meno incidente rispetto al reddito. Al che si può replicare che l’ IRPEF per sua natura, è un’imposta progressiva. Intervenire su una singola aliquota non può — e non deve — introdurre discriminazioni tra scaglioni, pena il rischio di rendere il sistema incoerente o addirittura punitivo.
A questo punto, se proprio si ritenesse che i “ricchi” devono pagare di più, si dovrebbe aumentare la percentuale del 43% dello scaglione finale. Ma, e qui concludo, va detto che l’aliquota alta parte già da un livello incredibilmente basso, soli 50 k€. Un confronto con i principali Paesi europei:
- in Francia il 41% scatta oltre 83 k€
- in Germania il 42% oltre 68 k€
- in Spagna il 45% oltre i 60 k€
- nel Regno Unito il 40% a 57 k€ circa (50.271 sterline)
Come si nota, lo scaglione che tassa sopra il 40% (e, con l’eccezione della Spagna, sotto il nostro 43%) scatta a livelli di reddito significativamente superiori che nel nostro Paese. Non mi sembra proprio il caso pensare di aggravare ulteriormente la percentuale. Anzi…
Considerazione personale: in definitiva, la riduzione dell’aliquota dal 35 al 33% non è un regalo ai ricchi, ma un piccolo passo di riequilibrio a favore di chi sostiene il grosso del gettito e, troppo spesso, viene dimenticato nel dibattito politico. Forse è poco, ma è un segnale. E in un Paese dove la “classe media” è sempre più stretta tra tasse alte e salari stagnanti, anche un segnale può fare la differenza.
Immagine di copertina: © MSN



