SODALIZIO CON IL GIORNALE DEL VENETO
4 Febbraio 2021La congiura dei brianzoli
7 Febbraio 2021La foto che titola questo pezzo è la rappresentazione plastica di come una parte, non marginale, del giornalismo militante giudica l’incarico che il Presidente Mattarella ha affidato a Mario Draghi.
Potete obiettare che si tratta di una posizione partigiana (nel senso più etimologico del temine) e che da quel fronte non c’era da aspettarsi altro.
E’ vero in parte.
Perché sì, in questi giorni, è tutto un florilegio di “evviva Draghi”, con disamine fra il distaccato e il serioso, con qualche concessione a un entusiasmo “curvaiolo” da parte di alcuni commentatori.
Poi se vai però a sondare il mare magnum della galassia social trovi di tutto: c’è la gran parte dei piddini, gente con la quale hai magari fatto anche pezzi di strada importanti delle tue esperienze di vita politica, gente che ha rivestito anche ruoli non marginali, gente che normalmente è abituata a discutere nel merito – tralasciamo i pentagrillini che di default appartengono al novero di quelli che sanno e capiscono poco della politica, delle sue regole, dei sui canoni interpretativi – ebbene quelli, i piddini, accecati dal furore e dallo spiazzamento che le mosse renziane hanno provocato all’assetto delle loro granitiche certezze “o Conte o morte” sbroccano in una sequela delle più improbabili esternazioni e delle più apodittiche prese di distanza dalla realtà.
Sembra quasi che non siano in grado di rispondere alla più semplice delle domande: meglio un Governo guidato da Mario Draghi o un Governo a guida Giuseppe Conte?
Ma la tristezza ti pervade quando vedi come il gruppo dirigente del PD – partito nato su altre basi, con altri valori e su altri ideali, ora mortificati da una linea politica remissiva, di corto respiro, attestata sul più banale livello della politica politicante – si arrovella, dopo la sonora sconfitta nel campo aperto della politica – nobilitata da scelte radicali, visionarie ma allo stesso tempo molto concrete – a intestardirsi nella linea bettinian-zingarettiana dell’alleanza strategica col M5S.
Quel movimento che oltre ad essere ancor oggi un “partito” sdraiato sul più becero populismo, fatto in larga parte di irresponsabilità, di incompetenza, di dabbenaggine, ha il suo leader Di Maio che di Draghi, qualche mese fa, ha detto: “mi ha fatto buona impressione”.
Sì vabbè allora è evidente che non c’è speranza per quelli che lo vorrebbero imbarcare nel centrosinistra.
Tornando ai commentatori, agli editorialisti, a quelli che ogni giorno scrivono in punta di penna sulle più paludate testate giornalistiche nazionali (carta o online fa lo stesso) non ti capaciti di come siano in perpetua contraddizione con sé stessi prima ancora che con la realtà dei fatti.
Questa crisi, aperta da Matteo Renzi con il pieno e incondizionato appoggio di tutta la compagine parlamentare di Italia Viva (onore al merito e uno schiaffo ai trasformisti), viene giudicata con il più vario uso dei termini negativi/spregiativi: irresponsabile, inopportuna, insipiente, intempestiva e così via.
Perché c’è la pandemia! è il loro mantra.
Ma scusate ormai, possiamo dire ormai, questa disgrazia si sa come affrontarla, ci sono le terapie, i vaccini e i loro piani nazionali implementati. Sono procedure che si possono considerare consolidate e che sono in mano ai tecnici della Sanità pubblica e che tutt’al più possono essere manipolati da quella specie di factotum, il Superman degli incarichi commissariali, Domenico Arcuri.
Di cosa ci si preoccupa? Tanto ormai i disastri sulle mascherine, sui tamponi, sui banchi a rotelle (a proposito in molte parti d’Italia sono in rottamazione – 460 Milioni buttati nel cesso) sono alle spalle.
Salvo poi, i commentatori, non tutti per la verità, nella disamina dei fatti sono lì ad argomentare come la situazione del governo fosse ormai arrivata ad un punto morto, come la gestione del PNRR (Piano Nazionale per la Ricostruzione e la Resilienza) by Recovery Fund EU fosse una mezza catastrofe – un piano da riscrivere per la terza volta – come si fossero buttai mesi inutilmente, come non si capisse quale fosse la visione del Paese, come si rischiasse di aprire una stagione di spreco di risorse economiche e finanziarie, come il destino della gestione dei fondi di quel passo avrebbe portato a un possibile default del Debito Pubblico Nazionale.
Ma allora dovreste dire, se foste coerenti con voi stessi e con la realtà delle cose e della politica: grazie Matteo Renzi!
Ma si sa anche che questo non sarebbe politically correct e che il Fiorentino va prima di tutto disprezzato e dileggiato: tanto non ha consenso e il suo partitino vale il 2% nei sondaggi. E poi ha un brutto carattere, o come dice un mio amico è cinico e spietato.
Il mainstream è un altro: osannare, lisciare e supportare, oltre ogni ragionevole limite della piaggeria, il PdC del momento, indipendentemente dalle sue qualità, dalle sue capacità: ce ne son stati anche di bravi, per carità.
Conta di più la buona educazione, il vestire elegante, l’eloquio forbito ispirato ad Amici miei (M. Monicelli – 1975).
Tutto il resto è appannaggio dei fustigatori dei costumi.
E invece, molto più coerentemente dovreste dirgli grazie per aver scoperchiato la pentola nella quale cucinava una brodaglia immangiabile.
Grazie per il coraggio, la determinazione, la visione che ha ispirato la sua azione politica.
Perché se oggi abbiamo Mario Draghi, incaricato di formare un Governo di alto profilo, al di fuori degli schieramenti precostituiti, lo dobbiamo all’azione di rottura perseguita fino allo sfinimento da Matteo Renzi.
E qui non ci piove, perché anche i commentatori, quelli fra i detrattori più fervidi del Nostro, prendono atto del risultato e gliene danno atto: E. Mentana, S. Feltri fra gli altri.
Quali saranno le conseguenze di questo ribaltamento di paradigmi?
La risposta non è né semplice, né facile, né scontata.
Intanto prendiamo atto che il Governo Draghi vedrà la luce con l’approvazione nei due rami del Parlamento. Appoggiato da una larghissima maggioranza trasversale.
Che era la missione che era stata affidata da Mattarella.
Più che il gioco sui numeri, sui quali sempre i nostri editorialisti e commentatori si sono avviluppati e si sono aggrovigliati, ben supportati dai loro colleghi “retroscenisti”, bisogna guardare alla realtà dei fatti.
C’è un Parlamento in cui un improvvido, populista (nel senso più spregiativo del termine) referendum ha tagliato radicalmente il numero dei parlamentari: al grido di “si salvi chi può” la linea di resistenza è quella di durare il più a lungo possibile. Elementare Watson
E poi c’è sempre lui, il Recovery Fund da portare a casa, senza il quale il futuro del Paese è segnato da un destino di regressione e di marginalizzazione drammatico.
E chi se non SuperMario è in grado di implementarlo, di governarlo e soprattutto di attuarlo con coerenza e con visione?
Non solo perché lui ha saputo per 8 anni governare la BCE anche contro i santi calvinisti del Nord Europa, con sapienza, con determinazione, con quella fermezza negli obiettivi che l’ha portato a pronunciare quella frase che rimarrà nei libri di storia al pari di “eppur si muove”, “obbedisco”, “qui si fa l’Italia o si muore”: quel whatever it takes che ha segnato l’epoca della ripresa di un ruolo determinante della politica europea.
Da cui poi è disceso il sostegno non solo all’Euro in difficoltà in quegli anni, ma tutto il credito che la BCE ha elargito dallo scoppio della pandemia ad oggi.
Ma per via del suo prestigio, della sua esperienza, del suo carisma. Che saranno anche valori immateriali ma pesano come un macigno e fanno la differenza fra il tanto per fare e il fare bene.
E allora su tutti sul carro. Anche quelli che fino a ieri guardavano all’Euro come il male assoluto e all’Europa come la nemica delle proprie ubbie sovraniste. Una conversione persino spettacolare e spregiudicata.
Così adesso dobbiamo pensare che le forze politiche saranno stressate da una situazione che ribalta gli equilibri e gli assetti, fin dal loro interno prima ancora che nei rapporti fra loro.
Il M5S in preda alle convulsioni e alle contrapposizioni radicali fra almeno due anime: quella populista-populista, che ha nel suo intimo il vaffa della prima ora e quella che, pur con tutti i limiti della scarsa qualità degli interpreti, ha assaggiato il gusto del potere, del governo e difficilmente se ne saprà staccare.
Il PD il partito governista per eccellenza, che confonde il governare con lo stare al governo (cit. A. Parisi), tutto avviluppato nelle sue inconsistenti prese di posizione, nella sua avventurista strategia di un ritorno a sinistra, intriso di assistenzialismo a pioggia e di statalismo pervasivo, assieme a una parte del M5S – auguri!
Il CentroDestra immerso nel confronto fra i sovranisti della prima ora, alla Salvini – oggi in via di conversione sulla via di Damasco – che tengono in ostaggio (per via della massa dei voti che rappresentano) tutto quello che rimane di FI. Inclusi quelli che sembrerebbe volessero costruire un’aggregazione centrista, autonoma ma costruttiva.
La Meloni mantiene invece le distanze, coerentemente ai suoi principi (che non sono certamente i nostri) e si colloca all’opposizione: da sola, nel più classico richiamo ai “duri e puri”.
E così anche il CentroDestra va in frantumi.
C’è poi quell’agglomerato per nulla omogeneo, fatto di troppi personalismi e di troppi contrasti anche personali, in cui rimane invischiato anche il buon Matteo, che deve sapersi dare un orizzonte di lungo respiro e di larga aggregazione.
Con un progetto coerentemente riformista, progressista, si direbbe liberaldemocratico, che punti su un welfare dinamico, equilibrato, sostenibile, orientato alla crescita del Paese in tutti i suoi aspetti: formativi, economici, sociali, culturali.
L’Italia assomiglia sempre più a uno specchio rotto: mille frammenti in cui si può specchiare solo in una parte microscopica e si perde la visione d’assieme.
Sarà un bel vedere.