
I destini, diversi, di Letta e Meloni
19 Agosto 2022
ELEZIONI, SOCIALIBERALISMO ALLA PROVA
21 Agosto 2022Cade in questi giorni il primo anniversario del cambio di regine a Kabul, quando l’Afghanistan ripiombava in mano ai talebani. Le flebili speranze in un regime meno oltranzista e fanatico si sono purtroppo (e prevedibilmente) rivelate infondate: il Paese è ripiombato in un greve Medioevo dove la condizione delle donne è al di là del concepibile.
Con lodevole sensibilità, il Corriere della Sera ha proposto un servizio in cui, a un anno di distanza, ha riascoltato le due coraggiose “inviate sul campo” che nei giorni della precipitosa fuga degli americani avevano raccontato giorno per giorno l’evolversi della loro situazione. Una delle due è stata sposata dalla famiglia con un tizio mai visto, più vecchio di 20 anni, forse con altre mogli di cui sappiamo solo che “è buono con lei”, per fortuna. La foto del matrimonio pubblicata a corredo dell’articolo la mostra bardata in un bell’abito cerimoniale, uno sguardo insieme sopraffatto e vuoto, serissimo, triste di una tristezza rassegnata e livida, non un filo di sorriso, neppure di circostanza. Uno sguardo che non guarda, fissa un futuro che per lei non ci sarà, semplicemente. Un futuro in ogni caso diversissimo da quello che fino ad un anno prima era nelle sue prospettive, nelle aspettative di giovane donna che stava laureandosi e che per motivi di età mai aveva conosciuto la cappa delle imposizioni talebane.
Il tutto genera una dolorosa sensazione di impotenza: l’Afghanistan, al di là delle circostanze e delle modalità ben poco onorevoli con cui gli USA hanno letteralmente sbracato, non era oggettivamente “tenibile” e il ritorno dei talebani era inevitabile. Non si poteva quindi evitare l’avvento di un regime che teorizza che la donna sia un essere inferiore e la condanna ad un’esistenza di sottomissione e di negazione di diritti scontati e non negoziabili per noi occidentali (e non solo: direi per tutti coloro che non applicano il credo integralista islamico). In compenso, adesso “in Afghanistan c’è la pace”. Siamo di fronte plasticamente al dilemma irrisolvibile che si affaccia quando si argomenta sul pacifismo senza se e senza ma. Da un lato il concetto giusnaturalista, tipico della costruzione filosofica occidentale, che esistono diritti individuali indisponibili e non negoziabili. Diritti universali, che non possono dunque non essere riconosciuti a tutti (e a tutte..). Quindi il fatto che vi siano milioni di donne cui ogni diritto è stato drasticamente tolto impatta dolorosamente sulle nostre coscienze. D’altro canto, vi è la consapevolezza che non si può imporre il nostro punto di vista erga omnes e qualora lo si intendesse fare (e in passato, precisiamolo a scanso di equivoci, lo si è fatto solo quando accompagnato da interessi economici e geo-politici, mai per puro principio) questo comporterebbe il prezzo di guerre e devastazioni. A complicare ancor più la questione si aggiunge che il mondo occidentale (e segnatamente i Paesi europei) hanno sì prodotto il patrimonio di pensiero dei diritti umani universali ma hanno ben pochi titoli morali per rappresentarne i paladini visti gli orrori di cui si sono macchiati nel corso della Storia a partire dallo sfruttamento feroce degli altri abitanti del pianeta col colonialismo.
È lo stesso dilemma che recentemente si è riproposto per l’Ucraina: i pacifisti a oltranza sostengono che semplicemente si doveva soggiacere all’invasore con l’argomentazione (indubbiamente fondata) che così ci si sarebbero risparmiati gli orrori e le devastazioni che puntualmente si sono verificati. Sull’altro piatto della bilancia non c’erano i diritti umani delle donne ma robetta come il diritto all’autodeterminazione di un popolo, la democrazia, il rischio concreto che premiando la politica imperialista di Putin l’appetito di questi sarebbe aumentato.. non esattamente pinzillacchere.
Come detto sopra: non vi è soluzione e possiamo solo constatare la nostra impotenza. Le donne afghane andranno incontro a un destino pessimo e noi potremo solo stare a guardare. La pretesa universalità dei principi del diritto naturale si arrende di fronte alla real politik e alla constatazione della nostra impotenza ad imporli. Sarebbe stato apprezzabile sentire una parola (una sola!) di commossa partecipazione al dramma delle afghane da parte dei garruli paladini della pace senza se e senza ma, sempre in prima fila a ricordare (come se non fosse scontato) che la guerra, qualsiasi guerra, comporta lutti e orrori di cui la povera gente è vittima. Ecco, la semplice affermazione che l’irenismo assoluto e incondizionato qualche prezzo lo fa pagare sarebbe stata gradita. Ma evidentemente degli afghani poco interessa a tutti. Ma c’è la pace.. desertum fecerunt et pacem appellaverunt.
La vicenda afghana, peraltro, non è una tragedia solo di diritti: in tutto il Paese vi è una situazione economica al collasso e ci sono vaste fasce di popolazione, segnatamente donne e bambini, che sono letteralmente alla fame. E qui le responsabilità dell’Occidente, e segnatamente degli USA, che bloccano 9 miliardi di dollari di riserve monetarie, di proprietà (legittima) dello Stato afghano, nelle banche per ritorsione verso il regime dei talebani. Sono miliardi che per la miserevole economia di quel Paese sono essenziali per consentire al Paese stesso di mettersi in moto. Insomma, non è neppure vero che la pace almeno risparmia morti.. se non verranno sbloccati i fondi ci saranno milioni di morti per fame (e certo saranno i poveracci, mica i barbuti fanatici al potere). Il blocco dei fondi è una forma di guerra ancora, se possibile, più feroce delle bombe. Pare che la motivazione addotta dall’Amministrazione Biden sia la pretesa che la Da Afghanistan Bank (DAB) nomini un nuovo vice governatore, essendo quello attuale nella lista dei sanzionati proprio dagli USA. Sono motivazioni risibili e inconsistenti di fronte all’immane tragedia umanitaria. I prezzi sono impennati follemente, mancano medicinali e il sistema sanitario è al collasso. Anche questa tragedia, come il dramma delle donne, è sostanzialmente ignorata da tutti i media con la lodevole eccezione del Fatto Quotidiano, (giornale che certo non amo ma quando ci vuole ci vuole) che ha pubblicato un drammatico reportage di Roberta Zunini.
Non mi risultano interventi della UE, della Santa Sede, dell’ONU (mi auguro di sbagliarmi e sarei lietissimo di essere contraddetto). Evidentemente ci sono in questo mondo (beh, non scopro certo nulla di nuovo) vittime di seria A e vittime di serie B.
Che Mondo penoso abbiamo costruito..



