Parole come cactus. Stringere amicizia
3 Marzo 2013“Ma cos’è la destra cos’è la sinistra”
18 Marzo 2013E così il ragazzo con la rana infine se ne va. La bianca statua di Charles Ray, che dal giugno 2009 ammirava il bacino di S. Marco dalla punta della Dogana, è stata sfrattata. Probabilmente destinata a non rimanere neppure in città. Quell’efebo misterioso, con la testa inclinata, quella strana postura in un atteggiamento ritroso, quasi sopraffatto dall’insostenibile bellezza di quello che ha di fronte.. non farà tra breve più mostra di sé. Stava in Punta della Dogana dal giugno del 2009, posata lì in occasione della prima mostra di arte contemporanea nei restaurati Magazzini del Sale a cura di Tadao Ando, con i denari di François Pinault.
Una struttura non particolarmente impattante, non altissima, di un bianco candido, la fattura delicata, sembra un efebo di Prassitele. Eppure ha scatenato polemiche roventi, attacchi sui social network (la solita Venessia.com in testa), mobilitazione dei vari comitati, interpelli a Soprintendenza e Ministeri. Era perfino protetta giorno e notte da guardie giurate e la notte messa sotto una teca blindata, a prevenire atti vandalici.
La polemica ha infuriato formalmente sul diritto della statua di trovarsi lì, ad occupare suolo pubblico. Il diritto di occupazione era stato infatti accordato per la sola durata della mostra sopra ricordata e poi via via prorogato. Qualcuno vi aveva letto una vergognosa sudditanza dell’Amministrazione ai soliti poteri forti, un’indebita acquiescenza all’arroganza del denaro, ancora più spregevole perché sborsato da un foresto. Un ulteriore cavallo di battaglia dei rimostranti era l’asseritamente delittuosa rimozione, in concomitanza della posa dell’opera di Ray, del preesistente lampione. Lampione che tutto ad un tratto balzava agli onori delle cronache come un romantico, irrinunciabile, punto di riferimento nell’immaginario di molti cittadini.
In realtà, la questione vera non verte sulla qualità artistica dell’opera, ne’ sull’occupazione di suolo pubblico e tantomeno sul lampione: l’efebo di Ray ha ben altre colpe. Di un altro delitto si è macchiato, ben più grave, per gli occhiuti e solerti censori che oggi celebrano la sua rimozione. Semplicemente era.. nuovo. Costituiva una modifica allo status quo, all’immagine ingessata e immobile di Venezia che molti ritengono debba essere mantenuta a tutti i costi. Soffocandola per troppo amore. Un’altra battaglia persa, per coloro che come me pensano che ingessare una città sia farla morire, altro che preservarne l’immortalità.
Una chiosa finale sul ritorno in pompa magna del lampione. Il Comune, attraverso il direttore generale Marco Agostini, ha con viva soddisfazione annunciato che al posto dell’efebo tornerà il lampione, per la gioia di tutti gli innamorati. Ma, si badi bene, non quello che c’era fino al 2009 (installato poco più vent’anni prima), ma uno identico a quello dell’ottocento, immortalato dal grande Turner.
Una meticolosa tutela dell’autenticità iconografica? Una rigorosa applicazione della teoria del “com’era, dov’era”? Niente di tutto questo: secondo Agostini, semplicemente, il lampione del 2009 è andato perduto… Perduto??!! Ma come si fa a perdere un lampione? Al momento della rimozione non si è compilata una bolla, un rapporto, non si è tenuto traccia del manufatto? No, evidentemente, e al Comune tutto questo appare del tutto normale…
Siamo in buone mani…