Il risveglio della Nazione
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25 Ottobre 2016Cari Panthers,
chi vi scrive è (ahimè) abbastanza vecchio per avere vissuto l’epopea della Misercordia, dai tempi di Ubiratan in poi, passando per Carraro, Gorghetto e a seguire Dalipagic, Haywood e compagnia. Ed ha pure seguito passo passo la lenta ma esaltante risalita dagli inferi delle categorie inferiori anche quando giocare i playoff significava andare in trasferta a Corno di Rosazzo (che, per inciso, oltre ai vini insigni del Collio vanta anche un torrido tifo cestistico).
Questo per dire che sono un reyerino senza se e senza ma, uno per capirsi che nel diario di prima media custodiva come una reliquia l’autografo di Steve Hawes, incontrato in Campo San Stefano tornando da scuola (sì, avveniva anche questo una volta). Per quanto detto mi prendo la libertà di rivolgermi a voi come a dei compagni di strada e di dirvi che vedervi silenti sugli spalti del Taliercio è una ferita che sanguina, molto più che una nota stonata; senza l’urlo dei Panthers manca un pezzo di cuore, manca un ingrediente essenziale della festa.
Vorrei tentare di rispondere alla domanda che titola il volantino (qui a sinistra) che avete distribuito al Taliercio domenica scorsa: “Questa è la nostra Reyer?”. La risposta, vorrei dire, è facile: certo che è la nostra Reyer! Tanto che ha seguito tutte le vicissitudini societarie della società fondata da Costantino Reyer, ripartendo dal basso quando è fallita (senza facili scorciatoie come comprare i diritti di altre società), ne ha gli stessi colori, ne porta il nome glorioso. Ma queste sono considerazioni legate alle “denominazioni burocratiche o dei tribunali” che, giustamente, non vi interessano. Ma allora chiediamoci: che cosa è una squadra? Una squadra è i cuori che riesce a far palpitare, è gli entusiasmi (e le sofferenze) che suscita, è il per i deboli implora perdono…, è il coacervo insieme meraviglioso e inspiegabile di sentimento corale, di passione, di coinvolgimento emotivo che suscita. Detto in breve: una squadra è i suoi tifosi.
E la Reyer ha compiuto il miracolo di fare appassionare, palpitare (e talvolta imprecare, ahimè, vedi domenica) insieme molte persone. Molte delle quali hanno imparato ad amare il basket con Villalta o con Chuck Jura. E anche loro sono oggi la Reyer. La Reyer insomma è tutti coloro che la amano e sono cresciuti a pane e basket, fosse questo celebrato nella leggendaria Misericordia o nel glorioso palazzetto di via Olimpia. Ora, l’infausta uscita di Brugnaro è stata sicuramente pasticciata e inesatta nella ricostruzione storica di date e nomi. Però nella sostanza Brugnaro ha colto una realtà vera perché la squadra granata raccoglie idealmente l’eredità non solo della Reyer della Misericordia ma anche della orgogliosa Duco Mestre (poi Vidal, poi Superga). La Reyer oggi è una squadra che porta nel suo DNA l’epica della Misericordia e il calore di un “popolo” più vasto e composito che si è unito sotto la stessa bandiera, senza incredibilmente polemiche né sul nome (tutto il palazzetto grida noi tifiamo Reyer Venezia) né sul colore delle maglie. Cosa purtroppo non riuscita (perlomeno non nelle stesse proporzioni) al calcio.
È un esempio perfetto di assunzione identitaria unificante e metropolitana, grazie anche alla saggia politica della società di coinvolgimento di molte realtà sportive minori ben oltre i confini della stessa Mestre. Il che è peraltro perfettamente in linea quanto scrivete nel vostro sito: una squadra che “già solo col nome VENEZIA abbraccia un territorio che si estende ad una provincia intera ed a tutti quelli che vi si riconoscono”. E allora? Dov’è il motivo del contendere? Non roviniamo questo piccolo capolavoro con dei distinguo che sono, semplicemente, superati dall’esistenza di una realtà più grande (e si spera altrettanto se non di più gloriosa) che nel passato.
Tornate dunque a ripopolare il Taliercio con il vostro tifo rovente. La squadra ne ha bisogno. Tutti noi ne abbiamo bisogno. Ci mancate.
E sempre Forza Reyer!!!!