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10 Febbraio 2024Mi capita talvolta di pensare che stiamo diventando dei brutti animali. In “Testamento”, una lirica della poetessa Vivian Lamarque, leggiamo: “Oh, nostri innocentissimi emigranti / per due lire venuti da lontano / con i vostri negozietti in una mano”.
Ma procediamo con ordine. Da una parte ci sono i “cristiani”, come diciamo noialtri terroni per indicare le persone in genere: è un bravo cristiano, un buon uomo. E scusate se per par condicio non dico “una buona donna”, ma potrei fare ancora più danno. E poi ci sono gli altri animali, le bestie, che, beninteso, personalmente mi piacciono davvero molto (e questa è una premessa indispensabile). Di animali domestici, poi (cani e gatti, specialmente), pullulano addirittura le nostre città, è affollata la nostra esistenza quotidiana.
Parecchi lettori ricorderanno il tempo in cui a questi beniamini, pur benvoluti, si davano da mangiare croste di pane e di formaggio, gli avanzi di carne e di altro cibo, e poi li si mandava a dormire in una cuccia, spesso all’aperto, in un covile improvvisato, per i padroni più misericordiosi. E non è che non gli si volesse bene: li si amava, magari, con vero trasporto. Ma li si trattava anche con l’idoneo rispetto per quello che erano e che sono: delle bestie, non dei “cristiani”; senza cioè attribuire loro dei bisogni e dei desideri che sono i nostri, di noi “animali culturali”, e non i loro.
A mano a mano che passavano gli anni, questa passione un po’ morbosa per gli animali domestici è dilagata. Sicché progressivamente si è assistito al moltiplicarsi dei “pet shop” e delle corsie di prodotti per animali negli ipermercati, corsie più lunghe di quelle degli yogurt. Corsie nelle quali è possibile oggi reperire ogni ben di dio per ciò che riguarda soprattutto l’universo canino e felino, con alimenti secchi o in barattolo o in lattina o in polvere o fate voi, per ogni dieta animale, con preparazioni da gourmet o integratori alimentari di vario tipo e perfino rimedi “bio” specifici per animali domestici.
Per non parlare poi della “oggettistica” varia, da quella normale, come i guinzagli (ma di ogni foggia e funzionamento e stile, questi), alle museruole (queste poche, in verità) ai vari masticabili per cani (ossa di pelle e quant’altro), ai giocattoli, addirittura, per i nostri beniamini, e alle gabbie e gabbiette, alle lettiere e alle vaschette e alle ciotoline gaiamente decorate (per allietare lo spirito dei quadrupedi?), fino alle cucce, ai cuscini, alle copertine, ai soprabitini, e anche agli impermeabilini e financo ai copricapi per cani. E chi più ne ha, davvero, più ne metta.
Ora, questa parossistica perversione di amorevolezza, non di rado grottesca, in particolar modo per cani e gatti, è lo specchio di non so bene quale tipo di solitudine o di quali solitudini umane. Ma non è di questo, ora, che voglio parlare. Dico solo che per le bestiole si è diffusa un’affezione che si spinge spesso alla vera abnegazione da parte dei padroni. C’è anche questo fenomeno, sì, accanto all’altro di segno opposto, cioè alla barbarie di maltrattare gli animali o di abbandonarli in autostrada. E c’è chi addirittura rinuncia alle proprie vacanze (ne ho contezza) perché il suo beniamino è affetto da non so quale grave o gravissimo male: il malato è inamovibile e poi… a chi lo lascio? Non mi fido. Inoltre deve fare cure costanti. Il mio cane ha un diabete grave, sai. Deve fare controlli frequentissimi…
Una volta, invece, le bestie, quantunque care ed amate, in tali condizioni estreme e certo in quelle terminali, venivano di norma “addormentate”. Senza il loro consenso informato, d’accordo, ma anche senza che soffrissero, si faceva in modo che passassero a miglior vita. Non voglio con ciò disprezzare o deplorare in sé la dedizione e il sacrificio che vengono prodigati da parte di molti padroni a beneficio dei propri amatissimi amici quadrupedi. Ai quali – si usa dire – manca solo la parola! E poi si aggiunge che sono migliori degli esseri umani (e questo, francamente, non saprei; ma può essere). Chi riserva loro una così totale e incondizionato amore, va certo compreso ed anche rispettato ed ammirato come persona animata da un grande ed elevato spirito compassionevole. Salvo che poi non di rado i polli magari se li mangia lo stesso e le bistecche se le gusta, senza alcuna misericordia e pietas, ignaro o dimentico dell’orrore dei mattatoi e degli allevamenti in batteria. Questione di ipocrisia. O di scarsa coerenza. Ma lasciamo andare.
Sennonché poi ci sono anche gli altri animali, gli animali umani, i quali, a un dipresso, meriterebbero, me lo si conceda, almeno altrettanta compassione delle bestie. E sono, costoro, in particolare, i disabili, i malati gravi, gli anziani, gli homless ed altri poveretti o poveracci o morti di fame. E, naturalmente, sono anche molti immigrati magrebini e simili, che qui da noi non hanno trovato nessunissima america e a stento sopravvivono. Mi è capitato non di rado di constatare che, sovente, quelle stesse persone che si sdilinquiscono alla vista di un cagnetto di passaggio, che si abnegano per i propri beniamini a quattro zampe, si dimostrano poi algidi e indifferenti rispetto alle sorti ed ai casi dei propri simili. E, voi me lo concederete, c’è in questa specie di strabismo morale e sentimentale qualcosa che proprio non quadra.
Ricorderanno, molti di voi, i tempi in cui, quando era ai suoi inizi l’immigrazione dai paesi del Sud del Mediterraneo, erano assai numerosi, agli incroci stradali, i “lavavetri” (ormai scomparsi). Non c’era semaforo sprovvisto di un poveraccio pronto con quattro abili manovre, nel tempo di un rosso semaforico, a renderti limpido il parabrezza, alla modica cifra… del tuo buon cuore. A volte costoro erano alquanto petulanti, volevano a tutti i costi lavarti i vetri dell’auto. A volte non c’era bisogno di lavarli, i vetri, e di solito bastava declinare l’offerta della prestazione. Altre volte, però, loro i vetri te li lavavano lo stesso, ad onta del tuo diniego. E a volte tu subivi tale risibile prepotenza e lasciavi magari una mancia “estorta”. Ma altre volte te ne andavi via senza dare una lira (a quel tempo) e tanti saluti: peggio per te che mi hai voluto egualmente pulire il vetro. E morta lì.
Ma già allora mi colpiva e sconcertava il comportamento di non pochi automobilisti che, di fronte all’insistenza dei lavavetri, inveivano, andavano su tutte le furie, minacciavano di passare alle vie di fatto, quasi fossero a rischio di subire chissà quale sopruso, quale insopportabile sopraffazione. Mentre in realtà si trattava solo di subire un servizio al limite gratuito.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel tempo. Eppure anche oggi nelle nostre strade, nelle nostre piazze, nelle stazioni, nei parcheggi, capita d’imbattersi in questi “poveri cristi”, che cercano di venderti accendini, calze, fazzoletti, cinture ed altro minuscolo ciarpame contenuto nei loro “negozietti in una mano”, come dice la poetessa citata all’inizio. Spesso costoro sono insistenti. Fanno il loro mestiere disperato. Ma in definitiva, che cosa ti fanno di male o di dannoso? Ti parlano, magari ti seguono per un po’ e poi, alla fine, di fronte al tuo diniego, capiscono che non c’è verso e ti lasciano perdere. Tutto qui.
Bene, mi è capitato di recente d’essere seduto al tavolino all’aperto di un bar con un amico. Una persona specchiata, questo amico, aperta (credevo), sensibile (supponevo), tollerante (immaginavo) e per giunta oltremodo sollecito e amorevole col proprio amato e malatissimo beniamino animale. Mica uno qualunque. Si è avvicinato a un certo punto uno di questi poveri ambulanti d’oltremare a volerci vendere non so quale inezia di articolo che portava nella sua cassetta a tracolla. Il mio amico gli ha detto malamente che no, non era interessato, grazie. Quello invece ha preso ad insistere un po’, com’è nel costume di tali venditori disperati.
Dai, “amico”, prendine uno, forza, comprami almeno un articolo. A questo punto il mio amico (apparente o sedicente campione di tolleranza) ha preso a maltrattare il poveraccio: che se ne andasse, che si togliesse di torno, gli aveva già detto di no, non capiva, forse, l’italiano? Con un’acredine ed una malagrazia del tutto sproporzionate all’entità della situazione e ad un fastidio in fondo assai piccolo e del tutto sopportabile – specialmente alla luce di un po’ di umana compassione. Di reazioni siffatte ne ho viste in giro mica poche negli ultimi anni. O non vi pare? E perché comportarsi in questo modo? Che bisogno c’è d’essere scortese ed aggressivo in questi casi? E che cosa ci sta succedendo? Che specie di brutti animali stiamo diventando noi?



