Diritti e libertà, vicino e lontano
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19 Febbraio 2022Si è detto molto, tanto, troppo sullo spettacolo quirinalizio che si è consumato poco meno di un mese fa. Molti di noi ne sono usciti – diciamolo, senza tema di essere accusati di qualunquismo – disgustati, per l’inettitudine della classe politica, per lo stallo senza ritorno nel quale quest’ultima è scivolata, e non da ora, purtroppo. Uno stallo che può datare il proprio atto di nascita ufficiale il 20 aprile 2013, giorno in cui è stato rieletto Napolitano. È stato allora che la casta – tanto discussa nei talk, nei libri, ma anche nei bar di quartiere e per le strade – si è autocelebrata come tale, dando ragione alle critiche e al moto di sfiducia di milioni di cittadini.
Certo, la rielezione di Mattarella ha scongiurato l’incubo elezione Berlusconi. Non ne ha scongiurato tuttavia lo smisurato potere. Tant’è che la sua ombra si percepiva nelle infinite scelte di candidati e candidate. Non credo che tutto ciò costituisca una novità per gli italiani. Si può dire, anzi, che le vicende del mondo della politica si susseguano e si intreccino con una ovvietà da manuale. Archetipi eterni si fronteggiano, contrattano e patteggiano tra di loro, e solcano quel palcoscenico con candida protervia, e con altrettanto candore impongono le proprie scelte a incolpevoli cittadini.
È stato in questo vecchio gioco di potere che sono stati fatti i nomi di alcune donne. Un dato di fatto, positivo, per alcuni versi, perché, per la prima volta, sul serio, è stata posta in essere questa possibilità. Si era fatto in passato, buttato lì, per scherzo, non perché ci si credesse davvero, il nome di qualche politica. Ma in modo estemporaneo, quasi per fugare i sensi di colpa generati dalla lista, tutta rigorosamente al maschile, dei capi di stato storici che si sono avvicendati dal 1946 in poi. I veri candidati da votare erano comunque sempre uomini. Come un mantra, nelle scorse elezioni, ogni tanto qualcuno lanciava, con la leggerezza di chi sa che non sarà preso sul serio, la candidatura di Emma Bonino; in passato si era ventilato il nome della Iotti, ma molto timidamente e sottovoce. Anche la Finocchiaro di tanto in tanto ha ricevuto delle preferenze. Ma si trattava di sicuro di suoi parenti o di politici afferenti al suo strettissimo entourage. Le battaglie, però, si sono sempre giocate su imponenti cavalli di razza, maschi alfa su cui le forze politiche si sono battute e hanno scommesso tutto il loro capitale elettorale.
I tempi pian pianino stanno cambiando. Le donne assumono nei contesti più disparati ruoli di potere e non dobbiamo certo scomodare le varie presidenti di commissione europea, BCE, o parlamento europeo, o l’immenso carisma della Merkel, per dimostrarne capacità e preparazione. L’Italia invece arranca un po’ in tema di donne e istituzioni. Saranno i criteri di selezione (stabiliti dagli uomini) delle donne preposte a ruoli istituzionali a fare acqua e a rivelarsi inadatti ad ambire ad alte cariche o è più efficace lo sgomitamento dei propri colleghi maschi? Insomma, perché non emerge ancora presso i partiti o nei settori che contano una figura femminile che possa essere credibile come Presidente della Repubblica? I nomi di donne, Casellati compreso, suggeriti dalla destra in questa tornata elettorale avevano più il sapore della burla. Tant’è che sono stati bruciati con spregiudicata immediatezza. Ma la sinistra? Vogliamo parlare – ahimè – della sinistra o di quel che ne resta? Dopo il dietro front di Letta (indotto dal cavallo di Troia renziano che impunemente continua a lacerare il partito democratico), sul nome della Belloni, mi sono chiesta: “Ma che cosa avranno da festeggiare le donne del PD, gioiose e gaudenti davanti a una debacle così evidente che ha portato, obtorto collo, ad arrendersi su Mattarella, per la mera incapacità di decidere?”.
Non sono una sostenitrice delle quote rosa. Anzi, è una formula, questa, piuttosto ipocrita. Necessaria, talvolta, ma non all’altezza di un paese emancipato. I meriti delle donne vanno riconosciuti al di fuori della gabbia delle differenze di genere. Ma visto che così non è, è un dovere morale favorirne il disvelamento. Con buona pace di chi continua a vedere in loro preziosi monili e delicati sostegni ornamentali, inadatti a ruoli di comando.