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A due anni di distanza dal trionfo di Trento, la Reyer si ripete e riporta a casa lo scudetto di basket maschile per la gioia (ma gioia è dire poco, direi meglio delirio) dei suoi tifosi appassionati (tra cui chi scrive). Esultanza ingigantita peraltro dal fatto che avevamo intrapreso l’avventura dei playoff con aspettative modeste. Arrivati in fondo alla regular season con il fiatone, dopo aver inanellato una serie di sconfitte addirittura imbarazzanti per l’impotenza fisica dimostrata e per lo stato abulico di alcuni giocatori chiave, avendo preso un inutile rinforzo straniero
lontanissimo dalle caratteristiche di ala forte muscolosa che era evidente ci manca come il pane, i nostri eroi sembravano pronti alla parte di agnello sacrificale contro avversari che apparivano al contrario aver trovato magicamente la forma perfetta proprio in occasione dei playoff.
Ritenevo, e non ero il solo, che sarebbe stato difficile passare financo il turno dei quarti, opposti alla ruvida Trento. E invece, senza esaltare, soffrendo fino a gara 5, ritrovando un’incredibile compattezza di squadra, fisica e mentale, avendo rispolverato dalla naftalina il prezioso
Gasper Vidmar lasciato in tribuna per larga parte del campionato, la squadra si è ritrovata. Prima Trento e poi Cremona, che sembravano macchine da guerra perfette, si sono infrante su quella che a tratti è stata una difesa da far luccicare gli occhi con interpreti monumentali (su tutti Julyan Stone, ma anche Cerella, Vidmar, Bramos), certo estremamente dispendiosa dal punto di vista fisico ma tale da rivelare che certe presunte invicibles armadas non avevano fatto i conti con lo spietato meccanismo difensivo di Walter De Raffaele, il coach che rimarrà nella storia orogranata per questa favolosa doppietta, peraltro impreziosita dal fatto che per la quinta volta consecutiva Venezia è giunta almeno in semifinale, e scusate se è poco..
La conquista della finale, seppur improbabile, rimaneva comunque nel novero delle cose ragionevolmente possibili. Ma spuntarla in finale con la Dinamo Sassari appariva davvero inverosimile. Quella Dinamo reduce da un record impressionante di 22 vittorie consecutive e soprattutto dall’aver letteralmente umiliato in semifinale Milano, quella che ormai da anni è la vincitrice già scritta del campionato, in forza dell’incredibile sproporzione di budget che può mettere in campo rispetto a tutte le concorrenti. Riposata (reduce da 6 partite contro le 10 che ha dovuto sostenere la Reyer per guadagnarsi la finale), più atletica, più giovane, con il morale alle stelle e coccolata dai media per la retorica della provinciale che abbatte il gigante Milano, per la favola della squadra imbattuta da mesi e soprattutto per l’allenatore Gianmarco Pozzecco. Il “Poz”, ex eccelso giocatore e molto uomo copertina, più guru motivatore che esperto di schemi e strategie, molto personaggio nelle sue esternazioni, era subentrato in panchina dopo un avvio di campionato disastroso e inevitabilmente a lui si è intestata la cavalcata vincente della squadra.
Eppure.. un Poz incredulo ha dovuto sbattere il muso contro il fatto che la Reyer di quest’anno, lungi da essere perfetta (anzi, con oggettivi difetti strutturali), è una squadra con due palle gigantesche che ha trovato la forza e la compattezza mentale di andare oltre le proprie carenze (di playmaking, di scarsa attitudine di attacco del ferro, di leggerezza ai rimbalzi). Che ha saputo trovare di volta in volta protagonisti diversi, ognuno di volta in volta mettendo un prezioso mattoncino, e a spuntarla al termine di una serie durissima, sporca, faticosa ma esaltante per i tifosi che hanno eroicamente sopportato la sauna del Taliercio. Fino all’apoteosi di Gara7, la partita perfetta che ha davvero schiantato la grande Sassari (a cui va sportivamente il plauso per un grande campionato).
È quasi banale rilevare che, al di là del pur importante risultato sportivo, si tratta di un evento in netta controtendenza con la narrazione un po’ piagnona di Venezia e Mestre in ripiegamento, in declino e destinate all’irrilevanza. Ci sono problemi giganteschi e concreti, sia chiaro, che nessuno nega. Ma la splendida avventura della Reyer, dimostra che no, invece, che Venezia può vincere. Contro tutto/i e contro le evidenze. Una ideale pedata in culo a tutti i menagramo apocalittici, a quelli che non si può fare, che la città non ha la forza, che si è venduta, che è in mano alle lobbies, che è finita. Abbiamo vinto lo scudetto del basket, possiamo vincere anche lo scudetto della sfida al futuro senza rinnegare il passato. A pensarci bene, la Reyer è la metafora perfetta: è erede di un passato glorioso (gloria condivisa anche con la grande Superga Mestre), eternamente nei cuori dei tifosi, ma passato glorioso in cui non abbiamo mai vinto una beata cippa (non mi si vengano a contare gli scudetti durante la guerra). Ecco, forse vale la pena di riflettere che a volte si guarda al passato idealizzandolo e rimpiangendolo senza considerare che il futuro che possiamo costruire noi è ancora migliore.
Una parola, doverosa, per chi ha consentito questo sogno. Che per coincidenza è anche il Sindaco della città. Brugnaro ha creato una realtà vincente, ha coinvolto le scuole con la Reyer School Cup, messo in piedi un’organizzazione seria, garantita una squadra femminile al top (anche se ancora all’asciutto di titoli). un lavoro costante e meticoloso sull’immagine e sul coinvolgimento del territorio. Sforzi che per la verità meriterebbero molto più pubblico di quello che frequenta il Taliercio (vergognoso che in regular season i sold out si siano contati sulle dita di una mano). E, ça va sans dire, ci ha messo sopra un sacco di soldi. Ciò naturalmente non fa di lui un Sindaco migliore o peggiore e chi lo avversa politicamente continuerà a farlo e con piena legittimità. Ma tutti gli dobbiamo un GRAZIE grande come una casa. Dico tutti.. anche quelli della lentezza del remo, quelli che le Municipalità umiliate, quelli che Mestre dormitorio, quelli che le Grandi Navi, quelli che l’UNESCO, che Disneyland, perfino gli inesausti irredentisti..
Da domani à la guerre comme à la guerre ma oggi, per una volta: “grazie Brugnaro!”