
Ricordo di Pier Francesco Ghetti, da noi intervistato, prima pubblicazione assoluta di LUMINOSI GIORNI il 10 ottobre 2011
21 Luglio 2025
Eroi da titoloni
22 Luglio 2025Si dibatte assai in questi giorni degli studenti che hanno rifiutato di effettuare l’esame orale della Maturità (mi permetto di chiamarla ancora così) avendo già raggiunto, grazie ai “crediti” e ai risultati delle prove scritte, la soglia minima per essere comunque promossi. Vicenda che ha dato luogo a un notevole dibattito sui mezzi di stampa e a una vera valanga di commenti social, la stragrande maggioranza dei quali molto contraria alla scelta dei ragazzi, spesso in modo irridente e sprezzante. Una minoranza ha altresì lodato gli stessi protagonisti per la sensibilità nel segnalare la dimensione alienante della scuola, sulla giusta denuncia della competizione che schiaccia e opprime. A ognuno le sue opinioni e ne approfitto, per trasparenza, per dire che sono molto più propenso a sposare la posizione critica e non quella apologetica. Ma nonostante anch’io abbia moltissime riserve sul comportamento dei ragazzi, trovo tuttavia che limitarsi a rubricare la vicenda come la manifestazione di narcisismo, o furbizia, o ipocrisia (e quant’altro) di pochi ragazzotti viziati sia perdere l’occasione di qualche riflessione più profonda e di senso generale, che vada oltre ai casi personali dei protagonisti.
Preliminarmente, toglierei dal tavolo due argomenti, pure molto dibattuti ma in qualche modo esterni al tema. Il primo: qualcuno, ricordando che il primo caso di “sciopero dell’orale” si era verificato l’anno scorso al Liceo Foscarini di Venezia (protagoniste tre ragazze), ha osservato che i casi di quest’anno potrebbero essere frutto di voglia di emulazione e quindi paventa il verificarsi nei prossimi anni di una valanga di astensione dall’orale, riducendo l’Esame di Stato a un menù à la carte, vanificandone il senso stesso (e tanto varrebbe a quel punto abolirlo del tutto). È un’osservazione che ha certamente una sua logica, proprio per la natura esponenziale dell’effetto valanga, ma va altresì considerato che stiamo parlando di 4 casi su 524.415 studenti che hanno affrontato la Maturità.. una incidenza statisticamente irrilevante (ingigantita nella percezione dall’eco mediatica). Quindi, è possibile che magari il prossimo anno casi simili abbiano a ripetersi ma, diamo alle cose la loro giusta dimensione, siamo per ora a manifestazioni statisticamente assolutamente irrilevanti. Ragionevole, comunque, proprio in considerazione della natura esponenziale del fenomeno, che il Ministero pensi a impedire il ripetersi dei casi. Solo che, e qui veniamo al secondo argomento, non è così semplice a farsi. Perché, stanti le attuali regole dei punteggi, per superare l’esame servono 60 punti, comunque distribuiti, e quindi in linea di principio uno studente che li ha già guadagnati prima dell’orale può legittimamente fare scena muta. Al Ministero sostengono che verrà bocciato (in ipotesi) chi volontariamente all’orale si rifiuta di rispondere. Ma si intuisce subito che si entra in un terreno molto ambiguo: uno studente che (ovviamente avendo già i 60/100 in tasca) fa scena muta perché impreparato (o perché con la febbre altissima che non gli consente di ragionare per esempio) verrebbe promosso mentre uno che fa lo stesso scena muta ma “volontariamente” sarà bocciato.. Si capisce subito che la cosa non sta in piedi e apre il fianco a contestazioni. La realtà è che questa vicenda mette in evidenza una distorsione nel sistema di punteggi dell’attuale Esame di Stato. Il fatto che si possa partire da una base di 40 punti di credito (cioè un punteggio non maturato all’esame stesso) abbassa l’asticella al punto che appunto anche rinunciando ai teorici 20 punti in palio all’orale si raggiunge facilmente la sufficienza. A completare il quadro si aggiunga che, perlomeno ai Licei, il valore pratico del voto di maturità è insignificante, è pura soddisfazione personale ma non è utile ai fini di accesso all’università. Insomma, un esame con un’asticella bassissima, dove non a caso il tasso di promozioni è plebiscitario (quest’anno, dati ufficiali del Ministero, è stato promosso il 99.8% degli ammessi all’esame) e di valore puramente teorico in moltissimi casi. Direi quindi che se il Ministero volesse accogliere una lezione da quanto è successo dovrebbe mettere mano radicalmente alla Maturità (e, nel caso, persino valutare di abolirla, visto quanto sopra).
Veniamo ora alle motivazioni espresse dai ragazzi. Qui c’è da notare una interessante e sostanziale diversità rispetto al caso delle già citate tre ragazze del Foscarini. Queste l’anno scorso avevano deciso per questa forma insolita di protesta per contestare un giudizio troppo severo nella valutazione del loro scritto di greco (che avessero torto o ragione non è rilevante nel tema). Il loro ragionamento era “mi avete rovinato il risultato complessivo con un iniquo punteggio in greco e non vi do la soddisfazione di darmi un mediocre voto, perso per perso rovescio il tavolo”. Stavano cioè in pieno nella logica del punteggio, che quindi implicitamente accettavano. I casi di quest’anno ci mostrano, con le differenze da caso a caso, un film completamente diverso: la volontà di contestare in re ipsa la logica dell’esame, anzi non dell’esame in sé ma proprio di tutto il sistema scolastico. Perché troppo competitivo, perché non comprende i giovani (una ragazza si è perfino lamentata che i professori non erano interessati a conoscerla), traduce il sapere in voti, non coltiva lo spirito critico, l’affermazione di sé dei giovani discenti. Un j’accuse radicale alla scuola (attuale) come sistema. Peraltro, è verosimile che gli scioperanti siano solo la punta dell’iceberg e che questo disagio sia condiviso da molti studenti loro potenziali epigoni solo meno coraggiosi (o meno esibizionisti, o semplicemente senza i 60 punti in tasca) quindi si sia di fronte alla spia di un problema in una certa misura reale.
E qui si apre un paradosso. Perché, da qualsiasi parte batta il cuore di chi legge, ci si scontra con una contraddizione. L’osservatore che vede in questi protestatari dei furbetti viziati che hanno voluto risparmiarsi la fatica dell’orale senza rischiare nulla avrà buon gioco a irridere i ragazzi perché parlare di competitività quando il tasso di promozioni è il 99,8%, in effetti, è surreale. Però rischia di perdere di vista il fatto che questi ragazzi e i loro potenziali epigoni li ha prodotti proprio questo sistema scolastico quindi, forse, non è che va tutto bene madama la marchesa. Colui che, al contrario, ritiene che i ragazzi abbiano ragione a mettere il dito nella piaga delle mancanze, delle insufficienze, dei limiti della scuola attuale non potrà negare che proprio questa presa di posizione, così eclatante, così risoluta e fuori dalle righe, è una dimostrazione pratica che la tanto vituperata scuola ha altroché coltivato nei ragazzi spirito critico e affermazione di sé. E quindi, va da sé, se è così, non è proprio il disastro che viene descritto.
Insomma, abbiamo insieme: 1) una scuola che è tutto fuori che competitiva, che non seleziona e che non premia il merito; 2) che paradossalmente viene però da alcuni percepita come tale; 3) comunque non pare attrattiva per gli studenti (e provate a consultare qualsiasi insegnante di scuola superiore e vi racconterà di un calo di interesse e attenzione da parte degli studenti progressivamente crescente negli anni) e, last but not least, 4) ha una performance complessiva drammaticamente insufficiente come certificano i recenti INVALSI. La figura qui sotto mostra che il drammatico calo provocato dal lockdown non è stato assolutamente recuperato (dati relativi all’’ultimo anno di superiori).

Uno studente su due non raggiunge le competenze minime in italiano e matematica. È un dato oggettivamente sconvolgente, per di più aggravato dalla differenza tra nord e sud (un capitolo a sé, che abbiamo già trattato https://www.luminosigiorni.it/cultura/cosa-ci-dicono-i-risultati-invalsi/). Il combinato disposto del dato INVALSI e quel 99,8 % di promozione sopra ricordato dice in pratica che uno studente su due prende un diploma senza avere le competenze minime che quel diploma formalmente certifica (e ciò non depone certamente a favore dell’autorevolezza della scuola). Perché come già in passato abbiamo avuto modo di evidenziare (rimando ancora all’articolo sopra menzionato), se la scuola pubblica smette di formare, di funzionare davvero, viene meno lo strumento fondamentale di ascensore sociale. E perché, infine, l’istruzione, la padronanza della propria lingua e le competenze matematiche costituiscono fondamenta essenziali: la loro assenza rende le persone più vulnerabili, indebolisce il senso critico, compromette la capacità di comprendere la realtà e le espone al rischio di essere facilmente influenzate da messaggi ingannevoli e da chi cerca di manipolarle.
La risposta del sistema scolastico pare una sola: abbassare sempre più l’asticella. Programmi sempre più blandi, gravi insufficienze che in sede di scrutinio diventano magicamente dei 6 “di consiglio”, con un effetto doppiamente negativo: da un lato si peggiorano le prestazioni, dall’altro si svilisce il senso stesso della pratica scolastica; si abitua lo studente a concentrarsi unicamente sul voto, la cui assegnazione è spesso un mercanteggiare indecoroso, diventa una pratica meramente negoziale (e qui hanno qualche ragione gli studenti che denunciano l’aridità di tutto il processo). Insomma, una spirale perversa che produce studenti sempre più svogliati e meno interessati alle materie, professori che un po’ per ignavia, un po’ per esasperazione e, in alcuni casi (e diciamolo..) per menefreghismo, sempre più arrendevoli e meno motivati. E genitori in molti casi invadenti oltre il ragionevole e “sindacalisti” dei loro pargoli.
In conclusione, la scuola è in un momento di grandissima difficoltà di cui nessuno, e massime alcuno dei Ministri, di tutti i colori politici, che si sono alternati alla Pubblica Istruzione, si è fatto seriamente carico. Che soluzione? Io penso, senza pretendere di avere la bacchetta magica, che si debba intervenire a tutti i livelli: studenti, genitori (dice forse qualcosa che gli scioperanti siano stati orgogliosamente spalleggiati dai genitori?), e insegnanti. In particolare, questi ultimi sono una componente decisiva. Perché troppo spesso, accanto a insegnanti seri e motivati (e ce ne sono, eccome, molti, anche giovani, pieni di entusiasmo e passione), si trovano colleghi che.. “Tizio non ha voglia di fare nulla, l’ho interrogato oggi e non sapeva niente di niente” “e che voto gli hai dato?” “6” “ma come 6, se hai appena detto che non era preparato” “ma non vorrai mica che me lo porti a settembre, che dopo devo fare anche gli esami di riparazione?”. Io credo, forse illudendomi, che sia possibile invertire la tendenza. Basta riprendere l’orgoglio della professione, dare il segnale ai ragazzi che la scuola non è un optional o un parcheggio, che attraverso l’impegno e l’attenzione (e perché no, un po’ di fatica) si possono avere soddisfazioni, immateriali e magari non immediatamente spendibili ma preziose per il proprio futuro di donne e uomini, prima ancora che professionale.
A livello istituzionale qualcosa si può fare: innanzitutto un sistema di valutazione delle scuole oggettivo attraverso gli INVALSI, interventi mirati nelle aree svantaggiate (ripeto: il gap tra nord e sud è indegno di un Paese che vuole e deve avere un’identità propria e riconosciuta) con eventuale rinforzo del corpo insegnante, riduzione numero studenti per classe e pure incentivi economici per i professori che si fermino per almeno un ciclo completo in queste scuole, possibilità di licenziamento in casi conclamati di inadeguatezza o mancata performance valorizzando i poteri di moral suasion dei Dirigenti Scolastici (i quali vanno sensibilizzati e responsabilizzati), eliminazione progressiva della pratica diffusa di Dirigenti Scolastici che coprono più istituti: la figura del Dirigente Scolastico dev’essere presente e continua. Io credo che una scuola che recuperi il senso e lo scopo della sua missione sociale alla lunga avrà anche l’apprezzamento degli studenti.
Non entro, per dichiarata incompetenza, nel tema dei programmi (segnatamente delle materie letterarie). Probabilmente anche su quelli c’è spazio di manovra.
Immagine di copertina © TraniViva



