
Reddito di cittadinanaza come scambio elettorale?
26 Settembre 2025
OCCIDENTE: MA COSA VUOL DIRE?
26 Settembre 2025Sul tema Palestina c’è una pluralità di posizioni e di toni, che è fisiologica data la tragicità del contesto. In questo articolo il lettore troverà l’espressione collettiva della Redazione di Luminosi Giorni che intendevamo da tempo esporre e che nella contingenza è anche una precisazione alla luce della pubblicazione su questa testata dell’articolo “Le mie prediche inutili su Gaza”. Un articolo quest’ultimo che si distanzia dalla visione redazionale per alcune sue considerazioni di merito e per il tono piuttosto categorico complessivo che lo caratterizza.
Entrando ora nel cuore della questione, In via preliminare va detto che è necessario affrontarla evitando retorica, isterismi e toni melodrammatici, di cui ahinoi il dibattito pubblico abbonda e che non aiutano a cogliere la complessità (e la tragicità) della situazione.
Cominciamo col dire che in quella terra è in corso una oggettiva violazione del diritto internazionale perché è stato invaso un territorio che rappresentava un’entità con una forma di statualità autonoma che aveva un suo, per quanto parziale, riconoscimento internazionale. Ma soprattutto è in corso un’azione che ha comportato un numero impressionante di vittime civili e azioni di violenza su una popolazione inerme, essa stessa ostaggio delle organizzazioni terroristiche che ritengono impropriamente di rappresentarla. Ed è certamente vero che dette organizzazioni hanno volutamente riacceso la miccia dell’odio e della violenza con il pogrom del 7 ottobre. Ma è altrettanto certo che la reazione è stata spropositata. E ha portato all’incubo e a quelli che sono, senza se e senza ma, crimini di guerra. E ci pare una questione secondaria se quello che accade sia configurabile o meno come genocidio. Ne dubitiamo perché il termine indica propriamente la determinazione a sterminare una popolazione in quanto tale (perché ebrei, perché armeni, perché tutsi, perché musulmani bosniaci..) mentre qui la motivazione non è razziale. Quel che conta è che gli atti dell’esercito israeliano deliberatamente passano sopra al costo in vite umane (per ottenere obiettivi peraltro confusi, ma ci torneremo). Quindi la responsabilità delle morti è piena e senza alcuna attenuante.
E qui emerge un altro tragico aspetto della vicenda: il governo israeliano ha scelto una soluzione di forza che non può in alcun modo giovare alla sua stessa causa. Che si sia infilato in una simile trappola politicamente mortale: perché, oltre al tragico bilancio dei morti palestinesi, ha avuto come risultato l’aver alimentato in tutto il mondo un’opinione e un sentimento ostile e furibondo verso l’ebraismo e verso un’impotente popolazione israeliana, sentimento che si manifesta sovente in forme faziose ed estreme. Senza contare la sorte degli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas. Peraltro, la dimostrazione che questa situazione fa paradossalmente il gioco di Hamas e della sua volontà di perpetrare una situazione di violenza e di terrore è testimoniata dal fatto che si rifiutano di adempiere all’unica condizione che permetterebbe un immediato “cessate il fuoco”: la liberazione degli ostaggi (quelli che sono ancora sopravvissuti). E, infine, non meno importante, tutto questo orrido tributo in termini di morti, questa pericolosissima recrudescenza di sentimenti antisemiti, questo devastante impatto sull’economia e la società israeliana, non hanno in realtà alcun contrappeso positivo. Perché hanno creato solo inasprimento dell’odio tra le due comunità. Perché Israele avrà anche decimato i miliziani di Hamas ma ha seminato tanto odio da aver creato migliaia di potenziali adepti, se non di Hamas di qualche altra organizzazione. Perché ha pure radicalizzato la società israeliana dove è incredibile il peso dell’estrema destra dei coloni razzisti (sì: razzisti!) che sognano la grande Israele. E qui il discorso ci porterebbe troppo lontano ma è vero che c’è un deficit di democrazia popolare in Israele: nonostante una diffusa opposizione contro le decisioni del Governo oltranzista, non si registra una reazione efficace nel Parlamento. Evidentemente, la maggioranza della base popolare non è poi così contraria alle decisioni governative se i rapporti di forza fra maggioranza e opposizione non vengono scalfiti. E infine, perché la grande Israele non è nemmeno nei fatti. Non lo è per ragioni demografiche, geopolitiche, a meno di non immaginare per gli israeliani un futuro di eterna cittadella assediata.
Detto tutto il peggio possibile della politica di Netanyahu e dei suoi truci ministri, va detto che certe reazioni urlate nelle piazze europee, quantomeno quelle che parteggiano apertamente non solo per la causa palestinese ma implicitamente anche per i clandestini leader terroristici, non sono una soluzione del problema, ma fanno parte del problema, contribuendo ad aumentarlo ancora di più. Non contribuiscono certo a convincere chi in questa guerra esprime ancora incertezze, ma anzi rafforzano le convinzioni contrarie, specie se poi le manifestazioni sfociano in violenza gratuita. Perché slogan come “from the river to the sea” e la radicalizzazione non giovano alla fattiva solidarietà di cui i Palestinesi avrebbero bisogno, sono espressioni che parlano (e aizzano) e allontanano una difficile possibile soluzione. Che potrebbe ripartire, per quanto oggi possa sembrare velleitario, dalle ragioni dall’innesco del pluridecennale conflitto, vale a dire la risoluzione ONU del 1947, due popoli due stati, mai accettata già da allora – è bene ricordarlo – dai palestinesi e dai paesi arabi confinanti. Questa soluzione è adesso invocata proprio dalla causa palestinese, la più ragionevole e meno oltranzista. E parimenti si deve fare appello anche alla parte di società israeliana più ragionevole, perché non possiamo accettare che quella che passa, a questo punto immeritatamente, come l’unica moderna democrazia in Medio Oriente non trovi gli anticorpi per reagire al morbo mortale dell’odio razziale. Perché il riconoscimento dei diritti individuali, anche solo la pietas nei confronti del proprio simile, sono elementi costitutivi e fondanti di una democrazia, ne sono la linfa vitale e costitutiva.
Qualcuno ritiene che una qualche azione preventiva dell’Europa avrebbe potuto indirizzare diversamente la situazione. Noi ci permettiamo di dubitarne. Nella vicenda mediorientale l’Europa non ha potuto che certificare la sua impotenza (contrariamente, per esempio, allo scenario ucraino). Va riconosciuto peraltro che la situazione in quella specifica area Mediorientale è molto complessa, difficile e aspra e si interseca con la politica degli stati arabi. Quelli estremisti che ancora sognano la cancellazione di Israele e quelli moderati, che riconoscono l’esistenza di Israele. Non è un caso che in quasi 80 anni non abbia ancora trovato una soluzione, pur andandoci vicini in un paio di occasioni (con gli accordi di Oslo del 1993 e più recentemente con gli accordi di Abramo), ma ogni volta che si andati vicini a una pace duratura un tragico evento ha riportato le lancette della storia all’indietro (nel dopo Oslo l’assassinio di Yitzhak Rabin e l’azione terroristica di Hamas del 7 ottobre 2023 per ribadire il suo dominio politico/militare su tutta la striscia di Gaza). Ciò non è altro che la dimostrazione che lì le cose sono molto più complicate di come una semplice e vuota (di conseguenze pratiche) presa di posizione vorrebbe far credere di poter risolvere.
Ma anche se priva di qualsiasi carta da giocare, l’Europa ha la responsabilità di far sentire la sua voce, possibilmente unitaria, proprio in quanto testimone e detentrice dei valori universali di cui sopra. A partire dalla pretesa del rilascio degli ostaggi e dall’esclusione di Hamas da qualsiasi ruolo nel governo futuro della Striscia. In questo desolante scenario, in questi anni foschi e densi di presagi negativi, cimentarsi nel difficile esercizio della testimonianza e della speranza è quasi un dovere morale e civile.
Spes ultima dea..