
Spigolature
9 Ottobre 2025
Alla tastiera leoni, nei tribunali…
10 Ottobre 2025Scrivo a caldo appena giunta la notizia della firma dell’accordo sulla pace a Gaza. È un evento che, credo, farà felici tutti gli uomini e donne di buona volontà. Sarà invece un boccone amaro per le frange fanatiche dei partiti religiosi in Israele e forse proprio questo è il miglior indizio della bontà dell’accordo, pur con tutte le cautele del caso. Parallelamente segna un ridimensionamento epocale del ruolo di Hamas (e anche questa è un’ottima notizia). Certo lascia tutti noi col fiato sospeso perché è solo il primo passo, restano nell’immediato le incognite dell’effettivo disarmo di Hamas e del ritiro dell’esercito israeliano ma già lo scambio ostaggi – prigionieri è un primo passo molto significativo. E colpisce il cuore vedere le immagini di giubilo spontaneo tra la gente, esattamente identiche nelle strade di Gaza o Rafah come quelle di Tel Aviv. Popolazioni divise da un abisso di odio e di risentimento profondo, esasperato dalle tragiche vicende di questi due anni e da una contrapposizione letteralmente esistenziale: da una parte Palestine from the river to the sea, dall’altra le farneticanti suggestioni di eradicazione totale dei palestinesi della Striscia. Eppure, oggi, queste stesse popolazioni così diverse e così divise, si ritrovano rispecchiate reciprocamente nella gioia per la possibile — e speriamo duratura — fine dell’incubo. Se idealmente fosse possibile trasmettere, nelle piazze di una parte, le immagini di gioia e di sollievo dell’altra e viceversa, se dunque ciascuno potesse cogliere il volto umano della speranza altrui, forse nascerebbe la consapevolezza di quanto i reciproci destini sono legati e simili. E sarebbe questo, davvero, l’inizio di un lento, estremamente impervio ma necessario processo di pacificazione e stabilizzazione dell’intera area mediorientale.
Non entro nel dettaglio del presente, né nelle mille incognite e incertezze che si aprono per il futuro della Palestina e di Israele — non ne ho la competenza, e comunque i media ne parlano già in abbondanza. Ancor meno desidero soffermarmi sul prevedibile e sterile chiacchiericcio politico che, in Italia, inevitabilmente accompagnerà la notizia. Ma tento un’osservazione generale, esterna alle ragioni del conflitto e dei suoi protagonisti, su cui credo valga la pena soffermarsi.
Firmando l’accordo, Hamas ha di fatto sancito la cancellazione del suo ruolo politico, militare e di influenza ideologica. L’unica contropartita, a quanto si è appreso, sarebbe la promessa di impunità e l’esilio dorato in qualche Paese amico. Un po’ poco. È il classico caso del tacchino che firma per istituire la festa di Natale. Perché dunque bere l’amaro calice? La risposta, verosimilmente, è che non avevano alternativa. Decimata dall’offensiva israeliana, priva ormai del sostegno organizzativo, finanziario e militare dell’Iran e dei suoi proxy — Hezbollah e Houthi — a loro volta indeboliti e messi all’angolo dagli attacchi congiunti di Israele e Stati Uniti, Hamas è rimasta senza appoggi, senza fiato e senza futuro. La stessa teocrazia di Teheran, dopo l’attacco ai propri siti nucleari, è stata costretta al silenzio: la catena di alleanze si è spezzata e l’isolamento è diventato totale.
Specularmente, pure Netanyahu ha firmato un accordo che certamente per lui rappresenta un grosso rospo da ingoiare. Le ragioni sono note e non serve ricapitolarle. Anche nel suo caso, forse, la contropartita personale è una specie di immunità avverso i processi a suo carico in patria per frode e corruzione e resta aperta la questione del mandato della Corte Penale Internazionale per le migliaia di morti civili di Gaza. Ma in passato aveva già dimostrato di non essere particolarmente sensibile a queste minacce anzi, per taluni osservatori proprio il proseguimento della guerra era per lui il mezzo di rimandare sine die i conti con la giustizia in patria. Se ha piegato la testa evidentemente è stato costretto. Costretto da un aut aut perentorio di Trump che per ragioni economiche e strategiche possedeva – e ha usato – le leve necessarie per imporsi.
Se ne trae che, se mai si giungesse davvero a una pace storica (e tutti incrociamo le dita) che risolve una situazione critica e tragica che data da 80 anni (non proprio millenaria come più volte ribadito da Trump..), sarà per effetto puramente di atti di forza. La violenza, la legge del più forte, i bombardamenti da un lato e la pressione della grande potenza: sono stati questi, alla fine, i mezzi attraverso i quali si è raggiunta la pace. Si dirà.. nulla di nuovo sotto il sole. Forse è vero. Ma non si può non cogliere la fine di un sogno — o forse, più realisticamente, di un’illusione. Come nota Sabino Cassese sul Corriere di oggi, si sta passando da un ordine mondiale fondato sulle regole a un ordine fondato sul potere. L’ambizione che le Nazioni Uniti fossero un organismo capace di mantenere la pace sulla base di regole condivise, appunto, si è rivelata del tutto infondata. E, come ha lucidamente colto il nostro Franco Vianello Moro (https://www.luminosigiorni.it/mondo/i-signori-della-guerra/), siamo al paradosso estremo: Trump, il distruttore dell’ordine mondiale può essere nello stesso tempo il nuovo stabilizzatore del Medio Oriente. Il già citato Cassese, tuttavia, non si abbandona al pessimismo cosmico in cui d’impulso si sarebbe tentati di rifugiarci: la disgregazione dell’ordine mondiale non è irreversibile. Le relazioni internazionali — ricorda — sono plasmate prima dalle idee che dalle forze materiali. Ed è questo il messaggio più importante: le nostre fragili democrazie portano una responsabilità storica, quella di difendere le idee fondanti della civiltà — i diritti individuali, la dignità umana, la libertà — valori che in troppe parti del mondo, non solo in Palestina, vengono calpestati ogni giorno. Ma per difendere questi principi, il primo requisito è uno solo: comprendere davvero ciò che sta accadendo. E su questo, ancora una volta, non resta che dare ragione all’ottimo Cassese.
Una chiosa finale sul ruolo di Trump. Non è l’unico artefice di questa auspicabile svolta positiva della tragedia israelo-palestinese. Va riconosciuto il ruolo decisivo di molti altri attori regionali, la cui moral suasion (e certamente non solo moral..) ha certamente pesato nei confronti di Hamas. Ma resta il fatto che questa pace porta la sua firma. Essere riuscito a compattare un consenso diffuso al piano, avere ottenuto il sostegno compatto (e tutt’altro che scontato) delle potenze regionali portatrici di interessi è stato un capolavoro politico. Se i risultati si consolideranno, questo resterà un punto di svolta nella storia del Medio Oriente. Un successo tanto più stupefacente se confrontato con le pessime prove, i proclami inconcludenti, gli ultimatum a vuoto, le condotte ondivaghe e spiazzanti che The Donald e la sua squadra hanno offerto su altri scenari mondiali (Ucraina in primis).

Il Segretario di Stato Rubio comunica a Trump l’avvenuta firma di Hamas
Questo trionfo non deve però oscurare le ombre profonde della figura di Donal Trump. Non solo per il già ricordato ruolo distruttivo del diritto internazionale e la visione del mondo dichiaratamente basata sulla forza. Ma anche per gli effetti disastrosi della sua politica negazionista sull’emergenza climatica (a dispetto di ogni evidenza) e per la responsabilità storica nell’erosione del sistema democratico del suo Paese. Il successo in Medio Oriente non può e non deve fare dimenticare le pratiche di censura, intimidazione e ricatto verso tutti coloro che, a torto o ragione, vengono percepiti come ostacoli alla sua gestione personale e autoritaria del potere. In Italia questo passa quasi inosservato ma negli Stati Uniti è cronaca quotidiana: licenziamenti mirati, provvedimenti giudiziari ad hoc e pressioni indebite verso mezzi di informazione, aziende, apparti pubblici e singoli funzionari. È la messa in atto della scientifica demolizione dall’interno di un sistema democratico.
E torniamo al paradosso: il negoziatore che costringe i nemici a parlarsi è lo stesso che, in patria, alimenta il linguaggio dell’odio e della divisione. Forse è questa la lezione più amara e insieme più preziosa che possiamo trarre: il mondo può talvolta essere salvato anche da chi lo minaccia. Ma noi, nel frattempo, non possiamo dimenticare da che parte stare.
Immagine di copertina © Vatican News