Il risultato referendario nel contesto del mondo
8 Dicembre 2016Non arrendersi all’irrazionalità
10 Dicembre 2016E’ impossibile che Renzi e chi gli sta intorno non avessero previsto, soprattutto nelle ultime settimane, l’esito del Referendum anche nelle sue proporzioni. Quanto è accaduto e quanto sta accadendo con la vittoria del NO era stato prefigurato da LUMINOSI GIORNI nelle settimane che hanno preceduto il 4 dicembre. Con due articoli, uno di chi scrive nel quale già si rifletteva sullo scenario dei problemi e delle chance dopo la probabile sconfitta del SI (http://www.luminosigiorni.it/2016/11/la-utile-conta-del-referendum-costituzionale-comunque-vada/) e un altro di Davide Meggiato (http://www.luminosigiorni.it/2016/11/matteo-non-e-un-pollo/) nel quale, in modo più crudo e secco, si considerava l’atteggiamento da tenere da parte di Renzi dopo un’eventuale sconfitta, certo che avrebbe fatto a urne chiuse ciò che ha fatto e per ora sta facendo. Certezza dovuta alla semplice considerazione: “Matteo non è un pollo”. Di “essere un pollo” è ciò che invece gli stanno chiedendo adesso legioni di opinionisti di tutti i colori politici oltre che, con faccia tosta mica male, una buona parte del variopinto fronte politico del NO di cosiddetta sinistra; la quale, dopo aver fuso solo per mero opportunismo il proprio voto nel crogiolo dell’urna con la peggior destra e il peggior populismo d’Europa, si pretenderebbe anche, così come le legioni dei suddetti opinionisti, di dettare le condizioni successive che prevederebbero la continuità dell’esecutivo e della legislatura. Ovviamente per non prendersi la responsabilità, con scioglimento delle camere e nuove elezioni, di conseguenti sconfitte elettorali e di relativa consegna del paese a Grillo o alla Lega, esito possibile che fa parte, anche se non lo esaurisce certo, dello scenario che si è aperto con questa crisi; e, ancor più ovviamente, per non uscire definitivamente di scena, dal prossimo Parlamento cioè, come minimo della pena per aver messo in campo una esplicita intelligenza col nemico.
E si torna alla constatazione da cui si era partiti. Se un minuscolo cenacolo come il nostro di LUMINOSI GIORNI, che, pur essendo un luogo di riflessione e di pensiero, agisce alla cieca e privo di fini strumenti di analisi sociali e politologiche per le quali deve affidarsi ai normali canali di comunicazione, se, attraverso una semplice osservazione delle cifre, questo corpuscolo che noi siamo aveva previsto l’esito referendario ( per quanto riguarda chi scrive anche con l’esatta proporzione percentuale che si è verificata), risulta impossibile pensare che tale esito non fosse stato da tempo altrettanto previsto o semplicemente ritenuto il più probabile anche dallo staff di Renzi, e da tutto ciò che ruota intorno al governo. La matematica era lì impietosa a dirlo. Quando si gioca in 44 contro 11 perde anche il Real Madrid, seppure sappia giocare molto meglio degli altri. D’altra parte il discorso di Renzi che annunciava le dimissioni un’ora dopo la chiusura dei seggi, per come era costruito, al di là della comprensibile emozione, denunciava un’attenta preparazione, dove ogni parola era stata pesata e presumibilmente preparata molto prima.
Questo esito dunque era stato sicuramente previsto. Previsto fin dall’inizio-inizio? All’origine forse no, visto il fronte parlamentare che aveva votato la Riforma e che comprendeva all’inizio anche Forza Italia che in seguito si sarebbe dissociata: allora, proiettando sull’elettorato la proporzione di chi aveva votato esplicitamente contro la Riforma in Parlamento, si poteva ragionevolmente sperare che una vittoria per quanto risicata sarebbe stata ancora quantomeno possibile. Quando poi c’è stato il voltafaccia di Berlusconi, seguito da quello della minoranza interna, l’esito era segnato perché l’orientamento delle forze politiche amplificato dai media conta ancora molto, anche se non del tutto. Però, pur conscio del possibile esito, Renzi è andato avanti. Un po’ perché è nel suo stile fare ciò che ha detto e perché con il passaggio definitivo e favorevole in Parlamento il treno del Referendum era comunque partito. Fermarlo, se anche fosse stato possibile, avrebbe significato tentennamento e incertezza per qualcosa come la Riforma costituzionale che lui, come noi del resto, considerava uno snodo essenziale per la gestione più complessiva del sistema Italia. Come dire: ho la coscienza di aver portato fino in fondo ciò in cui credo, si assumessero gli altri la responsabilità di fermare un’innovazione del sistema come quella proposta. E un po’, e si viene al punto, perché questo passaggio gli serviva comunque e solo adesso si comincia a intravedere che per lui tale passaggio facesse parte di un piano B di cui il 4 dicembre era solo una tappa. Per andare a quel voto e a quell’appuntamento con gli elettori che l’opinione avversa gli ha sempre rinfacciato di non aver mai affrontato. E di andarci dopo aver verificato il consenso a suo favore e quanto pesa, unitamente ad un compattamento anche identitario nei suoi confronti temprato da una dura campagna referendaria. Ecco allora che in questa prospettiva quei tredici milioni e mezzo di voti a suo favoreassumono un significato diverso. Il giorno successivo con tutti a tiralo per la giacca Renzi ha detto una semplice verità, che riporto a braccio perché non ho sottomano il giornale in cui l’ho letta: “scusate, ma se siete lì tutti a dire che la vittoria del NO ha un grande significato politico nei miei confronti perchè ha sfiduciato il mio operato, permetterete che allora anch’io dia un mio significato pienamente politico a quel 40% che mi è venuto dietro e che posso considerare tutto mio o quasi?”.
Questi tredici milioni e mezzo sono dunque un capitale che va ottimizzato al più presto perché rimanga tale senza farlo logorare e disperdere. Perché rimanga integro Renzi non può piegarsi a compromessi che ne appannino l’immagine e indeboliscano la fiducia che una parte non irrilevante dei votanti gli ha comunque assegnato e soprattutto è necessario che il confronto vero con l’elettorato avvenga al più presto. Perché? Diciamola tutta. Come lui ha voluto tenere la rotta verso un traguardo difficilissimo e che riteneva giusto, anche una gran parte di chi ha votato SI progressivamente ha acquisito la stessa determinazione e oggi più di prima non vede l’ora di passare al secondo tempo della partita; per ricreare quelle condizioni di consenso che possano al più presto rimettere in campo, per quanto rivisitate, le proposte di Riforma momentaneamente bocciate. Condizioni di oggi e non di domani o dopodomani. Nessuna forza politica adesso, neppure il trionfante Grillo, ha la dote di consenso su cui Renzi può ragionevolmente far conto. Far conto basandosi solo su quella dote che mi pare integra nelle proporzioni da cui è uscito il SI e non facendo gli stessi conti negli organismi dirigenti del suo partito, dalla direzione ai gruppi parlamentari, dove invece le resistenze alla sua leadership non si limitano alla ormai squalificata minoranza interna e che stanno venendo allo scoperto anche tra chi lo ha sostenuto solo formalmente per propria sopravvivenza, ma trafficando adesso per la continuità della legislatura e del governo. Non dimentichiamoci infatti che attorno a Renzi si è coagulata tutta una componente, quella che per capirci è l’ex Margherita, ex DC, che in una prima fase aveva sostenuto Bersani, molto più affine alla propria natura partitocratica, componente che è saltata all’ultimo momento sul carro del vincitore con l’evidente proposito di controllarlo e di ingabbiarlo. C’è ora l’occasione di portare a termine la rottamazione anche di questa vasta componente interna la cui affidabilità è sempre vacillante e dettata solo da calcoli di convenienza.
Per tutto questo il voto al più presto non è una semplice questione di maggiore o minore opportunità tecnica ( leggi elettorali da riformare, la sentenza della consulta etc. etc.), ma assume quel significato pienamente politico che ho cercato di individuare nel necessariamente tortuoso percorso intrapreso ormai sei anni fa dal ragazzo di Valdarno. Certo voto al più presto nel perfetto stile del “lascia o raddoppia” o se si vuole del “rischiatutto”, a cui ormai ci ha abituato, suo limite e sua virtù, e che però nel nostro paese sembra essere l’unico modo per determinare una anche minima possibilità di cambiamento.