Meritoche????
7 Maggio 2017COSTUME E MALCOSTUME Il pregiudizio sull’arte che non si capisce
16 Maggio 2017Il 1 novembre 1517 Martin Lutero affiggeva le celebri 95 tesi sulla porta della chiesa del castello di Wittemberg dando così avvio alla Riforma Protestante. A questo cinquecentenario la rivista Esodo dedica meritevolmente un numero monografico (degni di menzione in particolare gli interventi dei teologi Franco Macchi e Paolo Ricca e quello della prof.ssa Debora Spini) con il cui contributo tenteremo di contestualizzare il pensiero di Lutero e coglierne la ratio e il legame con quell’etica protestante che Weber teorizza essere motore primo del capitalismo.
Contestualizzare dicevamo. La tradizione di pensiero cristiana aveva prodotto due fattispecie, duali e antitetiche, di concezione di Dio. Riconducibili a S. Agostino e S. Tommaso d’Aquino i quali avevano tradotto in termini cristiani rispettivamente Platone e Aristotele (sempre da quei due si parte..).
In Platone è l’Idea di Bene che, posta al sommo di tutte le altre Idee in una gerarchia piramidale, avvolge e illumina il mondo (il neoplatonico Plotino usa un termine quasi fisico: περιλάμψις = illuminazione tutt’intorno) in un processo necessario di attuazione. Questa costruzione intellettuale è stata adottata da S. Agostino sostituendo all’Idea di Bene il logos. Con chiaro innatismo platonico, S.Agostino ci dice che il logos è dentro l’Uomo (in interiore homine habitat veritas) ma per conoscerlo questi deve godere dell’illuminazione di Dio. Compito terreno dell’Uomo è quindi illuminarsi, giungere alla νόησις, il grado di conoscenza supremo del logos. Il tutto si traduce nella ricerca dell’estasi, lo stato di contemplazione della perfezione divina – la Grazia – nella quale ci si fonda e nella quale, in ultimo, ci si annulla. Una Grazia vista dunque un po’ come gli stoici intendevano la virtù, una cosa da coltivare individualmente.
Se in Platone Dio emana, in Aristotele Dio attrae. Per lo Stagirita il divino si attua tramite un moto a luogo, non un moto da luogo come nella visione platonica. Dio è l’Atto Puro, è forma pura che non evolve perché già perfettissima, ed è ciò a cui tende l’universo nel suo divenire. È, appunto, il Motore Immobile. Identica la concezione di S. Tommaso: Dio è l’Atto Puro, il Dio cristiano al posto del Motore Immobile aristotelico, pari pari. Questa impostazione conduce a un esito potenzialmente fecondo: se il mondo tende a Dio allora l’Uomo, che è parte di questo mondo, tende egli stesso a Dio e attua questa sua condizione – cioè si merita e guadagna la Grazia – tramite le opere buone.
Insomma, banalizzando un po’, per S. Agostino perseguire la Grazia conduce a disinteressarsi del mondo terreno mentre per la concezione tomistica (largamente prevalente ai tempi di Lutero, dopo secoli di Scolastica) la Grazia va conquistata nel mondo terreno tramite opere concrete. Troppo concrete.. La Chiesa di Roma ci aveva infatti fatto su un bel business. Forzando non poco il buon senso, le opere buone erano finite per essere intese esclusivamente come contributi in denaro per comprarsi le indulgenze (ovvero le remissioni della pena per i peccati commessi). E proprio l’inverecondo sfruttamento della religiosità popolare tramite la vendita delle indulgenze è il casus belli che fa entrare sulla scena Lutero.
Ora, Lutero è un frate Agostiniano. E, da bravo Agostiniano, legato alla concezione innatistica della Grazia. E in misura radicale: la Grazia è non solo innata ma incondizionata, immeritata e gratuita. Incondizionata, perché indipendente dalle opere di penitenza o misericordia. Immeritata, perché l’uomo non ha alcun merito: tutto il merito è di Gesù Cristo. Infine gratuita, perché non può essere “comprata” (e qui si sente tutta l’avversione per il traffico di indulgenze). Insomma è sola Gratia ciò che rende possibile la nostra salvezza.
E le buone azioni, le opere di misericordia, le offerte, la carità… in una parola l’impegno etico dell’Uomo non conta nulla? Il Nostro, in replica a queste obiezioni, supera l’aristocratico misticismo di S. Agostino operando una vera e propria rivoluzione copernicana rispetto al pensiero dominante: il cristiano non deve compiere opere buone per ottenere la Grazia ma compie opere buone perché ha ricevuto gratuitamente la Grazia stessa. Secondo Lutero, il cristiano per effetto della Grazia diventa esso stesso Cristo.. e come Gesù si è sacrificato sulla croce per donarci la salvezza della Grazia (ancora il concetto di gratuità..) così il credente è spinto ad attuare la sua esistenza agendo eticamente verso gli altri. Scompare evidentemente la mediazione della Chiesa (cattolica) tra il fedele e Dio. Cade, per Lutero, il principio di autorità del Papa perché è la coscienza dell’uomo il principio primo dell’agire.
Ma vi è un secondo passaggio chiave: secondo Lutero, il campo di azione etica del cristiano è nella società civile, non nell’obbedienza formale a disposizioni religiose. Le azioni del cristiano saranno misurate sulla base della loro efficacia a dare risposte ai bisogni del prossimo. Anzi, Lutero arriva a dire che il cristiano ha la necessità di compiere opere buone per dimostrare anche esternamente la sua Grazia altrimenti per sua natura invisibile agli altri. Questa affermazione, di per sé già clamorosa, verrà successivamente radicalizzata da Giovanni Calvino per il quale la ricchezza e il benessere generati dal lavoro sono il segno della Grazia divina. Il lavoro come valore in sé, come comandamento di Dio: in tedesco la parola “beruf”, professione, significava in origine non a caso anche vocazione, richiamo. Insomma, per il calvinista il lavoro e il successo che ne consegue sono insieme una vocazione e un segno distintivo. Da queste premesse Max Weber elaborò il suo celeberrimo saggio “L’etica protestante e lo spirito del Capitalismo” cogliendo esattamente la differenza tra l’atteggiamento cattolico di pregare per ottenere qualcosa e quello protestante di ringraziare Dio per quello che ha già ottenuto.
Lutero è una figura affascinante e contraddittoria. Fu in tutto e per tutto uomo del Medioevo, senza alcuna velleità progressista né in senso politico né sociale, come dimostra la disumana ferocia contro la Rivolta dei Contadini di Thomas Müntzer, nonostante questa fosse nata proprio su istanze (sacrosante) di giustizia suscitate dalla sua stessa Riforma. Eppure le sue tesi (ciò che importa è il bene che si produce, non contano le norme formali, la singola coscienza prevale sul principio di autorità) furono per l’epoca rivoluzionarie e potenzialmente veicolo di un messaggio di tolleranza e modernità. Di questo aspetto, e ugualmente delle implicazioni del suo pensiero colte da Weber, fu evidentemente inconsapevole. E il fatto che un raffinato teologo, perché scandalizzato dalla compravendita delle indulgenze, abbia gettato niente meno che le premesse per la nascita del Capitalismo costituisce un clamoroso e affascinante caso di eterogenesi dei fini. La Storia ne è piena.