Tutta la Città Metropolitana attonita per la catastrofe subita
11 Luglio 2015Se Atene piange…
18 Luglio 2015Aver visto nelle immagini delle ragazze felici per le strade di Teheran-ne riporto in copertina quella che mi è parsa la più bella ed eloquente- a festeggiare l’annuncio dell’accordo firmato a Vienna sul nucleare che riguardava il loro paese mi ha provocato una piacevole emozione. L’ho messa subito in relazione all’emozione provata per le immagini del tutto simili viste in occasione della manifestazione di un mese fa contro il terrorismo di Isis a Tunisi. Anche lì ragazze giovani con lo stesso sorriso visto nei volti femminili di Teheran. Due tipi diversi di sorriso nelle motivazioni, altrettanto diverse e accomunate solo dal modo di manifestarle, ma non è poco. A Tunisi il sorriso di chi guarda al futuro e manifesta in piazza la volontà di opporsi politicamente ma soprattutto culturalmente all’idea di uno stato islamico totalitario e, dopo l’ennesimo vile eccidio, dice in faccia ai portatori di morte con semplicità: “non passerete”. A Teheran la felicità se si vuole anche ingenua, di fronte alle difficoltà di un accordo pieno di rischi e possibili inceppi oltrechè osteggiato, di non essere più isolati, di aver fatto cadere un muro e, soprattutto, del non sentirsi più minacciati da un ordigno che, per quanto avesse dovuto partire da lì, sentivano soprattutto sulle proprie teste.
Tunisia e Iran sono separate da qualcosa come 3000 chilometri e le loro posizioni geografiche abbracciano quasi integralmente la superfice della massima espansione storica del dominio arabo che avrebbe poi portato all’islamizzazione di quelle terre. Da venticinque anni ormai questo composito mondo, che una miope semplificazione immagina come tutto uguale, dopo il crollo del muro berlinese, in modi e forme diversissime e sostituendosi al blocco comunista, si è posto, o meglio chi si arroga il diritto di rappresentarlo si è posto, come antagonista politico e culturale dell’occidente capitalistico e dei suoi valori o disvalori a seconda di come li si valuti. E anche in questo caso, da parte araba, con una voluta semplificazione nel valutare la cultura, l’economia e la società occidentale accomunata tutta in blocco nell’identificazione del regno del male.
La contrapposizione tra culture e civiltà anchorchè plausibile e purtroppo anche in non pochi casi fondata, riduce e polarizza con la sua rude semplificazione una complessità molto maggiore, in cui torti e ragioni, buono e cattivo passano da una parte all’altra e in tutte le parti con una trasversalità non curante delle contrapposizioni e che ricorre nella storia. L’Occidente che si dovrebbe far perdonare molto tra colonialismo, guerre mondiali, globalizzazione economica non governata è pur sempre portatore di una cultura di libertà e di democrazia che ha subito tanto quanto il resto del mondo la messa in contraddizione, attraverso i mali storici ricordati sopra, dei suoi stessi principi. Che non possono per questo essere sminuiti. Lo stesso mondo arabo islamico subisce tanto quanto l’Occidente l’integralismo e il totalitarismo al suo interno, ma porta in seno una cultura opposta che rimanda alla grande civilizzazione e tolleranza dei suoi primi secoli.
Ecco perché vorrei ritornare per un momento alle immagini delle ragazze di Teheran e di Tunisi.
Il messaggio è a parer mio dirompente: sono donne, sono giovani, sono felici. Condizioni, il genere femminile e l’esprimere sentimenti e volontà che un’arbitraria lettura strumentale del Corano vorrebbe sempre sopprimere e sottomettere. Le immagini infine ci restituiscono un altro messaggio. Alcune di loro sono in jeans e fieramente a capo scoperto; altre, magari sempre in jeans hanno sul capo un velo leggero, appena appena coprente, portato altrettanto fieramente con padronanza, quasi a voler comunicare che non è la religione, a cui sentono orgogliosamente di appartenere, in discussione per loro, ma un principio di libertà che rivendica l’autonomia delle proprie scelte, anche quella di portare il copricapo per scelta e non perchè imposto. Il fatto che esprimano in questo modo felice e leggero la loro resistenza alla violenza e alla guerra, sia quella del pericolo nucleare, sia quella del terrore, manda un messaggio al mondo, e soprattutto al loro mondo, che può essere decisivo sulla lunga distanza. Si tratterà di lavorare insieme, sapendo distinguere.