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15 Ottobre 2025Visto che, come ci lusinga anche la IA, questa testata si occupa piuttosto bene della città, anche nelle sue pieghe sociali e di riflesso culturali, è bene qui ricordare che si celebrano a Venezia i vent’anni dalla fondazione di un club, denominato Alta Marea; costituito da sostenitori della squadra di calcio che porta il nome della città. Vedeva la luce proprio nell’ottobre del 2005 e, vedremo, non casualmente in quell’anno. Non ne farò una cronistoria precisa, il senso non è questo, ma cercherò di esporre le suggestioni e i coinvolgimenti che il club ha suscitato socialmente e un po’ anche per me come persona.
Va detto che sono stato tra i fondatori insieme ad altri trentacinque ardimentosi, numeri ben lontani dalle centinaia attuali. Personalmente mai in prima linea devo dire, chi ha retto con pazienza e impegno sono stati altri, che nominerò in seguito. A quei tempi mi coinvolgeva, forse più ancora di adesso, l’idea della rappresentatività sportiva e calcistica della città, vista nel suo insieme comunale, e la squadra che ne porta il nome navigava nelle cattive acque delle serie inferiori, una ragione in più per il coinvolgimento. In più si era in una fase di declino a Venezia dei club di sostenitori calcistici, che invece nei più gloriosi anni ‘80/ ’90 erano sorti come funghi di qua e di là del ponte.
Il club Alta Marea fin da subito assumeva un carattere geograficamente trasversale, raccogliendo iscritti e soci di tutte le zone comunali, senza distinzioni. In definitiva non aveva un carattere quartierale come i club precedenti, ben incistati in aree circoscritte, a Campalto, in calle della Mandola o a Chirignago, altre fisionomie, rispettabili s’intende, ma che alla lunga non hanno retto. Questo carattere comunale del club, persino metropolitano come recita l’articolo 1 dello Statuto, non contrastava con il fatto che esso nasceva in centro storico e anche questo imprinting ha mantenuto ben evidente, caratterizzandolo tutt’ora (seppure non poche iniziative e presentazioni nel tempo siano state effettuate anche in terraferma). Del resto nel cuore storico della città comunale mancava da tempo un club di sostenitori serio e radicato e si riempiva un vuoto. Il carattere venezianissimo si è manifestato da subito nella convivialità reciproca, meglio se accompagnata dal cibo della nostra tradizione nelle molte occasioni d’incontro, e soprattutto nelle relazioni franche ed amicali. Ma la tradizione si è manifestata anche in altri modi e penso, ma è solo un esempio, al rapporto con il vetro muranese. Numerosi sono stati gli omaggi di vetro artistico dedicati e donati a calciatori e dirigenti meritevoli, tutti oggetti molto belli che non hanno lasciato indifferenti chi li ha ricevuti. Insomma radicamento, qualità, socialità, passione.
I primi dieci anni, fino al 2015, hanno visto il club accompagnare in modo coinvolto e partecipe le tribolazioni della squadra nelle serie inferiori, scandite da ben tre fallimenti clamorosi, con relativi declassamenti che facevano ogni volta ricominciare daccapo. Anzi si può dire che il club veniva fondato anche sulla spinta dell’orgoglio di non mollare dopo i fasti di serie A e i meno fasti di B dell’epoca zampariniana. Reduce dal primo fallimento, la squadra della rifondazione nel 2005 aveva bisogno di una scossa di sostegno e il costituirsi in club voleva lanciare un segnale forte e chiaro. Per essere sincero fino in fondo a me non dispiaceva il clima paesano dei campionati inferiori, si andava in trasferta in località minori, ma senza troppe tensioni e facendo sempre precedere la partita da simpatiche soste in trattorie ad un passo dal campo di gioco e spesso i piatti erano, come si dice, di “territorio”. Il club Alta Marea in questo genere di quasi scampagnate è stato impeccabile nell’organizzazione e nella promozione, e non era facile visto il magro spettacolo che si prospettava, non certo da accademia calcistica. Ha dato continuità in una fase scura della società. Poi si vinceva spesso, anche in trasferta, e questo aumentava la piacevolezza. Nelle partite in casa il club era altrettanto presente, soprattutto nello zoccolo del settore Distinti, presidiato, è il caso di dirlo, a partire dal centro esatto delle tribune, con i Presidenti di turno seduti esattamente sul filo della mezzeria del centro campo. Un fatto non solo simbolico. Tuttavia in casa le tribune, mai troppo piene a quei tempi, consentivano anche di starsene tranquilli in un angolo appartato senza troppe pressioni attorno. Il mio partecipare al Club era di questo tipo, coinvolto e solitario, mi era consentito anche questo. Un bel clima insomma.
Alta Marea si consolidava come una cosa seria e non effimera o di passaggio. Questo lo percepivano anche i giocatori che venivano coinvolti e a loro volta si coinvolgevano in modo non formale e di sola cortesia. Con alcuni le relazioni erano diventate anche più strette e penso alle bandiere Paolo Poggi e Mattia Collauto, che hanno frequentato il club come interlocutori privilegiati.
A partire dal 2015, con l’ingresso di Tacopina alla presidenza, la società calcistica ha avuto una svolta, è innegabile. Da quella data, dopo l’ennesima risalita dalla D alla B, questa volta andata a buon fine, il Venezia FC si è attestato stabilmente nei quartieri alti come mai era successo nel decennio precedente, con il baricentro alto tra serie A e serie B, consolidandosi da quando sono comparsi gli investitori americani subentrati a Tacopina (di quest’ultimo si può dire quel che si vuole ma per il Venezia FC la sua presidenza ha storicamente rappresentato comunque una svolta, certificata da quel che è accaduto – di buono – in seguito. E fa meraviglia vedere in questi giorni che la Spal, dove poi è approdato, è stata dichiarata fallita e lui sostituito. Forse allora, vedendo i fatti attuali, abbiamo rischiato altrettanto. Vero è che le vicende umane, e quindi anche sportive, hanno il carattere dell’imprevedibilità e quella presidenza in quel momento ha fatto girare il vento, difficile dire se per caso, come temo, o per incisività dell’azione).
In questa ormai decennale nuova fase di presenze ininterrotte nelle serie maggiori (per essere precisi otto anni, non contando i primi due della risalita) il club Alta Marea ha rafforzato la sua presenza, assumendo una fisionomia definitivamente adulta, direi quasi istituzionale, adeguata alla frequentazione delle platee delle categorie più alte, diventando un riferimento sicuro – riconosciuto in molte occasioni – per la società calcistica, ma anche per l’amministrazione comunale. Per il futuro il club sarà chiamato a gestire con i sostenitori del Centro Storico l’impresa non facile di riabituarli al nuovo stadio in Terraferma, un cambiamento non solo pratico ma anche psicologico. In una circostanza del genere Alta Marea è una garanzia di interlocuzione che può trovare soluzioni di equilibrio.
Che dire? Avercene di realtà così.
Personalmente sono stato, come già detto, tra i fondatori, ma c’è stato chi, ben più di me, che sono oggi defilato, ha retto nel tempo il club, assumendosi una responsabilità che, insieme a momenti piacevoli, ha portato ad affrontare problemi, organizzativi, amministrativi, gestionali in genere. Ettore Perocco e Bruno Agazia come presidenti per alcuni anni vanno perciò menzionati perchè hanno svolto il loro impegno con serietà e dedizione. Però chi poi ha dato continuità nel tempo a questa esperienza, direi ininterrottamente dall’inizio ad oggi, è stato Franco Vianello Moro, che è anche un autore di questa nostra testata. Coadiuvato ormai da tempo con efficienza e altrettanta passione da Cecilia Tonon, Franco, più volte Presidente e Vicepresidente, ha avuto una capacità di coinvolgimento piuttosto rara, unendo idealità e pragmaticità, abbinata non frequente, facendo da ponte tra soci e istituzioni. Chi lo conosce sa che lui ha molte attività, le più varie, e che tutte si nutrono di una innata attitudine caratteriale a tessere relazioni, pubbliche e non. Le ha messe a disposizione di Alta Marea.
Che, dopo il MOSE in azione, è l’unica ‘alta’ rimasta in laguna, una bella metafora.



