Della vaca mora e di altre amenità
23 Settembre 2017Chi semina vento..
4 Ottobre 2017Verrebbe da mutuare da quella famosa sentenza ottocentesca che serviva a presentare “Il manifesto del partito Comunista” di Marx e Engels ( in quel caso “il fantasma” era quello del “comunismo”) per descrivere la situazione politica per come si sta esprimendo attraverso il voto popolare nelle diverse nazioni che appartengono al cosiddetto Mondo Occidentale.
Con una sequenza che lascia più di qualche preoccupazione si è passati dal voto greco del Gennaio 2015 (ce lo ricordiamo vero il voto a Syriza di Tsipras e Varoufakis?) – sì perché anche quello rispondeva a pulsioni populiste – alla Brexit del Giugno 2016 cavalcata da un Farange populista all’ennesima potenza, così pure da una massa di improvvidi Tories.
Una puntatina oltre Atlantico nel Novembre dello stesso anno ci ha regalato il trionfo del più improbabile dei presidenti USA basato su parole d’ordine e slogan tutti improntati ai dogmi della demagogia e del populismo (su tutti America First).
Siamo poi passati alla marea montante francese guidata dalla Le Pen, sconfitta nel Maggio di quest’anno da Macron grazie ad un sistema elettorale iper-maggioritario: tutti contenti, anche quelli che qui in Italia per la sconfitta della riforma costituzionale ed elettorale renziana avevano fatto la loro battaglia campale e avevano fondato le speranze per un loro futuro glorioso (si è visto come sta andando a finire!)
Per chiudere con la vittoria dimezzata della CDU merkeliana di fronte ad una debacle socialdemocratica bilanciata dall’exploit della risorgente destra-destra AfD che porta in sé anche le stimmate di una cultura filonazista, negazionista e revanscista.
Una rivoluzione che trova le sue ragioni, prima ancora che nelle paure legate al fenomeno epocale dell’immigrazione, nelle ricadute della più grande e profonda crisi economica in cui il sistema capitalista abbia messo testa e piedi, che ha visto la luce nell’ormai lontano 2008 ma che a tutt’oggi non ha ancora finito di produrre i suoi effetti, prima di tutto materiali.
La quotidianità e la vita della maggior parte dei cittadini di questo Mondo Occidentale è ancora pervasa degli effetti devastanti che si sono riprodotti sul PIL (in Italia dopo 9 anni non abbiamo ancora recuperato tutto il gap), sull’occupazione, in particolare quella giovanile. E sulla fiducia nel futuro, in particolare per le giovani generazioni.
E non è un fenomeno che tocca solo noi italiani. Uno studio Eurostat che riguarda 275 regioni (le Regioni, non gli Stati) UE dice che: 60 hanno avuto un tasso di disoccupazione del 4,3% o inferiore – la metà della media dell’UE (8,6%).
Essi comprendevano ventiquattro regioni in Germania, diciotto nel Regno Unito, sei in Repubblica Ceca, tre in Ungheria e Austria, due rispettivamente in Belgio e Romania e uno rispettivamente in Italia e nei Paesi Bassi. Al contrario, 32 regioni hanno un tasso di almeno il 17,2%, doppio dell’Ue: tredici regioni in Grecia, dieci in Spagna e cinque ciascuna in Italia e in Francia.
Più in generale nell’UE28 il saggio di disoccupazione si è fermato all’8,2%: si tratta del livello più basso dal febbraio 2009. La disoccupazione è ai minimi storici in Repubblica ceca (3,5%) e Germania (3,9%), mentre resta elevata – pur in riduzione progressiva – in Grecia (23%) e in Spagna (18,4%).
Nei Paesi più grandi si evidenziano: Italia (12,0%), Francia (9,6), Polonia (5,9), Regno Unito (4,8). Il record negativo della disoccupazione giovanile under25 spetta a Grecia, Spagna e Italia, con dati superiori al 40%.
Allora in questo contesto è evidente che anche se gli slogan hanno virato dal pericolo dell’“idraulico polacco” a quello più generico dello “straniero che ci porta via il lavoro” soprattutto se ha la pelle nera, un problema di fondo esiste.
E pur con i limiti imposti dai bilanci che devono rispettare i parametri europei le scelte governative, di tutti i governi europei, devono orientarsi a cercare di limitare le difficoltà, appianare le crisi e favorire lo sviluppo.
Che poi non possa essere delegato solo all’industria manifatturiera che in Italia è al primo posto in Europa per numero di occupati in micro e piccole imprese fino a 20 addetti, con poco meno di due milioni di addetti, perché il totale del numero degli occupati (in modo permanente) in Italia è più di 15 Milioni a cui bisogna aggiungerne altri 5 Milioni di indipendenti (libere professioni e partite IVA)
Da cui deriva una necessità del tutto politica: il sindacato riprenda a fare il suo mestiere nel saper, ma prima bisogna voler, rappresentare tutto il mondo del lavoro e non solo quello degli “operai” o dei “dipendenti”. Che il Mondo appunto è cambiato.
E allora il populismo lo si batte solo con scelte prima di tutto di politica economica, perché la sicurezza e la paura, fenomeni indotti dalla crisi, non diventino il terreno di coltura regalato in esclusiva a quelle formazioni politiche che sono del tutto prive di una strategia di governo, ma sono invece dotate di quella dose di cinismo e di irresponsabilità che fa loro lucrare sui sentimenti della gente.
Nell’agenda del Mondo Occidentale l’ultimo turno di elezioni politiche tocca a noi: le premesse sono le più negative.
Il vuoto di proposte e prima ancora la mancanza di un sistema elettorale che garantisca prima di tutto la governabilità e poi anche la rappresentatività, non depongono a favore di un quadro politico che garantisca appunto la capacità di agire strategicamente prima di tutto sulle leve dell’economia.
Con buona pace di quelli che “la riforma la si fa in meno di 6 mesi”.
Matteo Renzi, pur con i suoi errori di sottovalutazione e di sopravalutazione ( Sconfitta del Referendum Costituzionale per esempio) era capace di accelerazioni, mostrava la faccia e un progetto anche economico sembrva possederlo.
Verrebbe da dire: “Arridatece” Renzi, nonostante tutto.