Condominio Europa
3 Aprile 2020L’ERA DEL CV19, POLITICA VERSUS COESIONE SOCIALE E SOLIDARIETA’
5 Aprile 2020Anche se questo libro risulta edito tre anni fa, la sua presentazione ufficiale in campo editoriale italiano risale al 2018, in occasione della manifestazione dedicata a Napoli alle scrittrici palestinesi, sotto il titolo “Femminile palestinese”. Adania Shibli, la voce di donna più autorevole della scrittura in Palestina oggi, ha presentato in tale sede questo libro, opera prima di Selma Dabbagh. L’autrice, di madre inglese e padre palestinese originario di Jaffa,ha vissuto in Arabia Saudita, Kwait, Francia e Barhein, ed ha praticato la professione di Avvocato per i Diritti Umani a Gerusalemme, Il Cairo e Londra.
Questa precisazione biografica iniziale trova giustificazione dopo aver letto il libro, che a mio parere trova la sua ragione principale di interesse proprio nella prospettiva multipla che esso presenta della situazione politica, umana, esistenziale nel senso più lato, di un gruppo familiare di Gaza.
All’interno dei personaggi della madre, del padre in esilio nel Golfo, ma soprattutto dei tre figli, si dipanano pensieri, posizioni politiche, atteggiamenti nei confronti della vita e della morte, che noi spettatori occidentali delle vicende di guerra israelo-palestinesi difficilmente potremmo pensare convivere così vicine l’una all’altra.
La struttura stessa del libro, cadenzata da capitoli che fanno riferimento ai luoghi dove, nel giro di pochi mesi, accadono gli avvenimenti narrati, è una struttura multipla dove, anche se la narrazione avviene sempre in terza persona, i luoghi diversi – Gaza, Londra, il Golfo, danno colori e suoni diversi a ciò che vi accade.
Gaza è il luogo della distruzione sistematica, del sovvertimento delle regole anche più semplici di vita quotidiana, dove il rombo dei motori degli aerei o degli elicotteri è spesso presagio di bombe e sparizione di interi quartieri nel giro di pochi minuti. E’ il luogo dove la gente corre portando familiari in barella , insanguinati dal lancio di qualche ordigno, dove Sabri, il maggiore dei tre fratelli, non può fare altro che guardare col binocolo dalla sua stanza quanto accade all’esterno, perché le gambe non le ha più da un pezzo, saltate in aria durante l’Intifada.
Dove la madre , che un tempo ha dirottato un aereo durante la militanza attiva, si riduce al resoconto minuzioso delle sue imprese per il figlio, che non fa che raccogliere in un vistoso dossier quanto può essere utile per fare chiarezza sulla storia della resistenza palestinese.
Londra, che sarà protagonista di due capitoli del libro, diventerà specchio delle diverse personalità degli altri due fratelli gemelli, Rashid e Iman.
L’essere palestinesi in Europa, lui per una borsa di studio all’Università, lei spedita lì dal padre dopo che la convivenza con lui e la sua compagna nel Golfo si era rivelata troppo conflittuale, diventa in qualche modo una chiave per l’autrice per rivelare le sue stesse contraddizioni, lei stessa figlia di una inglese e di un palestinese, che ha vissuto quindi direttamente le profonde contraddizioni di questa duplice provenienza culturale.
Londra è l’Occidente che guarda il conflitto in Medio Oriente, è l’apparente via di fuga per entrambi, arrivati lì Rashid per fuggire da un luogo che non gli appartiene più da molto, Iman perché salvata in extremis da un sacrificio in nome della rivoluzione islamica.
Quello che emerge con più forza dalla narrazione, sono i numerosi squarci su come si vive il conflitto da parte palestinese, su come le voci e i fronti anche al loro interno siano tanti e complessi, su come le sfumature della fede nella causa siano a tratti difficili da distinguere, e facciano comunque vittime , sempre più vittime. Si percepisce da un lato nella popolazione una sorta di tragica accettazione dell’orrore quotidiano, dall’altro il tentativo di darvi risposta dall’interno, combattendo , uccidendo, morendo, dall’altro ancora credendo nella soluzione diplomatica che, dall’alto, possa fare maggiore chiarezza su di una situazione che sembra inestricabile.
I contatti al alto livello che il padre, membro dell’OLP in esilio , sembra ancora avere, si scontrano con il suo senso di inutilità e di effettiva estraneità al cuore della guerra. E la TV, a Gaza, a Londra, addirittura all’aeroporto del Golfo dove Iman arriva, ci accompagna quasi in ogni pagina con annunci di attacchi israeliani, contrattacchi palestinesi, numero di vittime accertato, in un sottofondo di morte che non ci lascia mai.
Un libro del genere sembrerebbe non permettere una conclusione di alcun genere, proprio come non sembra averne il conflitto a tutt’oggi : eppure, nel sacrificio repentino e risolutivo di Rashid, sul filo della sua somiglianza fisica con una militante a rischio di vita, pone la domanda definitiva : se chi riesce a morire convinto al posto di qualcun altro è qualcuno che si era sempre sentito tagliato fuori dal conflitto, sofferente, diverso perché non militante , se l’unico gesto chiaro di resistenza lo fa chi se ne era sempre tenuto lontano, allora a cosa serve la macchina ufficiale della morte? Cosa c’è che noi dall’esterno non riusciremo mai a capire?
Seguendo Rashid che idealmente si stacca dalla spiaggia di Gaza per una nuova forma di libertà, ognuno di noi lettori resta con questa domanda dentro di sé.
(Scritto prima del decreto del 4 marzo 2020)
SELMA DABBAGH FUORI DA GAZA Editrice Il Sirente 2017