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24 Novembre 2014Grandi navi o navi grandi..?
27 Novembre 201425 novembre, ” Giornata internazionale contro la violenza sulle donne “. In questa occasione è bene ricordare alcune cifre. Sono 179 in Italia le donne uccise nel 2013. Una donna ogni due giorni. Il 2013 si conferma come un anno drammatico per la violenza protratta sulle donne:un aumento, rispetto al 2012, del 14%. Una strage che continua. Questi i dati dell’ultimo rapporto Eures. Nel 2014 i dati restano allarmanti.
Come muoiono le donne? Le “mani nude” sono il mezzo più ricorrente, seguono le percosse, lo strangolamento e il soffocamento. Di poco inferiore la percentuale dei femminicidi con armi da fuoco e con armi da taglio.
La causa del femminicidio è conosciuta. Oltre 330 sono state uccise per aver lasciato il proprio compagno. Eures li definisce femminicidi del possesso e sono dovuti ad una separazione in una relazione di coppia.
Il femminicidio è l’atto finale di una vera escalation di violenze e/o vessazioni di carattere psicologico e fisico. Si pensi che ben il 51,9% delle future vittime di violenza avevano denunciato le aggressioni subite. A pesare sono la mancanza di strutture, di centri anti violenza sul territorio, di investimenti ad hoc. E le donne continuano a morire nel silenzio generale.
Se parliamo di dati e delle caratteristiche della violenza sulle donne, in Italia e in Europa, vediamo come ancora siamo lontani dalla Convenzione di Istanbul , ratificata anche dall’Italia, che è il punto più avanzato del diritto internazionale: il primo trattato che riconosce la violenza sulle donne come violazione dei diritti umani e invita ad agire a tutto campo per fermarla.
Il femminicidio non è più un’emergenza occasionale né un fatto privato, ma una tragedia sociale cronica, ormai strutturale. Non basta ratificare leggi e fare celebrazioni.
Attuare la Convenzione di Istanbul vuol dire che politica e istituzioni devono mettere in sinergia i pilastri della prevenzione: la scuola, l’Università, la sanità, i movimenti e i centri che si occupano del fenomeno e i mass media. Un’alleanza per operare una rivoluzione culturale.
La scuola e l’educazione sono gli strumenti più forti che abbiamo per superare stereotipi, cambiare le abitudini, l’immaginario collettivo e imparare ad usare un linguaggio rispettoso di identità e differenze.
Occorre un cambio radicale dei programmi scolastici a trecentosessanta gradi, e questo cambio ha bisogno di investimenti sulle competenze del corpo scolastico. C’è un legame stretto e diretto tra la buona scuola e gli elementi di progettazione del cambiamento. Come per la ricerca e l’analisi dei dati, anche per la formazione quello che occorre è un approccio scientifico, competente, professionale: non è sufficiente essere donna per formare alle relazioni e ai sentimenti, per trasmettere consapevolezza dell’identità di genere. Sappiamo bene che l’approccio al femminile è importante ma da solo non è garante di una soggettività consapevole, e questo è un problema culturale che investe sia insegnanti nelle scuole che genitori nelle famiglie.
Il ruolo deputato alla formazione, quali le Scuole primarie e secondarie ed Università possono, anzi, devono giocare qui un ruolo centrale, quello della prevenzione e informazione le prime due e per quanto riguarda la ricerca scientifica l’ultima. Se per intervenire efficacemente è necessario conoscere a fondo il fenomeno della violenza, le sue conseguenze, le strategie degli aggressori e quelle, volte alla resistenza, delle vittime si rende altrettanto importante ed essenziale , capire come poter agire nella società una volta determinato e circoscritto il fenomeno.
L’Università ha, quindi, un ruolo fondamentale diretto alla formazione dei futuri operatori che sono rivolti a servizi con queste tematiche. Questo sopratutto ha valenza per gli operatori sanitari che, sempre secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sono spesso tra i primi a vedere le vittime di violenza, e la cui autorevolezza è riconosciuta dalla società. A seguire, poi, i professionisti, quali psicologi e psicoterapeuti, che vedrebbero nella ulteriore e specifica formazione un supporto maggiore.
Anche i media hanno un ruolo fondamentale nel processo di cambiamento culturale. Devono lavorare all’eliminazione di ogni traccia di sessismo dai linguaggi e dalle diverse forme di comunicazione, ad una nuova rappresentazione del ruolo delle donne, evitando la mercificazione dei corpi.
Il cambiamento dei linguaggi, il superamento di stereotipi e atteggiamenti discriminatori, un nuovo e condiviso spirito culturale siano la chiave per il cambiamento.
Adeguare al genere il linguaggio è una questione di potere. Il mondo parla e si rappresenta al maschile perché maschile è stata da sempre la storia della società. Il linguaggio, culturalmente radicato e cristallizzato in stereotipi, diventa così elemento di conservazione piuttosto che di cambiamento.
La lingua italiana denota una cultura che legge il femminile come accessorio. A fronte di un’ascesa in ruoli, carriere, professioni e visibilità delle donne non esiste un’adeguata trasformazione della lingua che l’accompagni, si continua a privilegiare l’uso del genere maschile attribuendogli una falsa neutralità dal punto di vista grammaticale. L’oscuramento linguistico della figura istituzionale e professionale femminile ha come conseguenza la sua non – comunicazione e, in sostanza, la sua negazione.
Dobbiamo cambiare l’approccio culturale, promuovere una nuova qualità della relazione tra uomini e donne, aperta e solidale, che attivi reazioni forti e condivise, che renda le violenze sulle donne sempre meno accettabili socialmente, che promuova la parità, una parità rispettosa delle differenze, come elemento di uguaglianza e benessere per tutti.
Donne e uomini non sono uguali, sono diversi. Diversi e complementari. Per creare allora, davvero, pari opportunità, occorre riconoscere queste differenze, e su queste fondare i cambiamenti e la parità di genere, senza nascondersi dietro ad una falsa neutralità formale, che diventa un’altra forma di discriminazione.
Se la prevenzione primaria della violenza comporta un cambiamento culturale che riguarda ognuno di noi e tutte le istituzioni sociali e formative, la prevenzione secondaria si attua con il sostegno dei centri anti violenza, quella terziaria riguarda soprattutto i servizi socio-sanitari, le forze dell’ordine e i tribunali.