Conversazione con Federico Moro
8 Marzo 2012Conversazione con Giovanni Montanaro
8 Marzo 2012CONVERSAZIONE CON GIAN MARIO VILLALTA
1) Scrittori, ma anche musicisti, intellettuali e studiosi che da Venezia e dal Veneto parlano al mondo hanno un merito che va riconosciuto. Quello di essere dei protagonisti, portatori di novità, da qui, vivendo qui e soprattutto producendo qui. Ti senti portatore di questa centralità veneziana e veneta nella produzione culturale della città e della regione?
Il “centro” è dove qualcosa accade. Non si può più, non è più permesso assolutamente essere provinciali. La responsabilità, la misura e il limite di quello che chiunque, artista, artigiano, imprenditore, dipendente di una struttura pubblica o privata, riesce a far accadere, gli ritorna come identità e senso di una propria collocazione non assoluta, ma finalmente in relazione con il mondo.
2) Nel Veneto è possibile essere universali e locali, “glocal”, come usa dire oggi, anche identitariamente, come riusciva ad esserlo Zanzotto che poetava al mondo anche nel suo dialetto…? E’ possibile non sentirsi in periferia? Attraverso voi, uomini di cultura, la si può far finita per sempre con l’immagine del Veneto “Sacrestia d’Italia” (laddove la Sacrestia non alludeva solo alla religiosità popolare, ma anche alla perifericità del luogo)?
Trovare una identità nella radice etnica, proprio da queste parti, è impresa che amerei definire divertente, soprattutto. In particolare andando agli Henotoi o ai celti. Nessuno ha mai pensato con un minimo di serietà a quale potrebbe essere il pull genetico realisticamente condiviso dall’area nordest d’Italia, considerata la sua storia? La pluralità, la molteplicità delle parlate, delle tradizioni, dei confini, a me pare una vera ricchezza, della quale approfittare per aggiungere vitalità e creazione a una realtà che, solo se ne rendesse conto, sarebbe strepitosamente piena di opportunità. Importante sarebbe non basarsi mai soltanto su quello che c’è, ma immaginare che quello che c’è emerge solo se si crea qualcosa di nuovo che lo presuppone.
3) Sei d’accordo con “Luminosi Giorni” che ritiene molto dannosa la drammatizzazione dei mali della Venezia storica? E che questa drammatizzazione non faccia fare un passo alla comprensione reale del reale fenomeno urbano? Che ritiene dannosa una drammatizzazione frutto di un approccio solo percettivo alla realtà urbana e non contestualizzato nella “normalità” di tutti i centri storici d’Europa?
Abitare Venezia. Un bel tema. Necessariamente, infatti, non significa risiedervi. Sarebbe bello che un network di operatori culturali e artisti di tutta l’area triveneta si organizzasse-collegasse per fare almeno un evento, anche piccolo, l’anno – qualcosa di semplice, fattibile, ma che accomuni. Qualcosa che renda normale trovarsi lì, tornare, immaginare di fare lì delle cose: abitare, quindi, anche senza risiedere.
4) Parafrasando e un po’ provocatoriamente ribaltando un titolo di un libro di Tiziano Scarpa, Venezia, dal ‘900 in avanti, anche sul piano identitario e quindi “culturale”, non è solo un “pesce”. Nel tuo rapporto con la città non la vedi piuttosto come un “pesce attaccato ad una corda tesa” che si protende da una terraferma che si allarga come un ventaglio ad ovest? Terraferma come settimo sestiere, diventato “un” (e non “il”) nuovo centro cittadino, in una città sempre stata policentrica, dalle origini ad oggi (e che non elimina i vecchi centri, ma ne aggiunge sempre uno nuovo)?
A me pare ci sia una Venezia reale che tenta sempre di più di assomigliare all’immagine che si è costruita, vale a dire la Venezia del turismo di massa, dei grandi eventi cultural mondani, dello spopolamento, eccetera… Più sarà questa l’immagine che Venezia, i Veneziani e tutti gli altri avranno in mente e più diventerà così. Anche quando si farà di tutto per uscire da questa rappresentazione, per creare qualcosa di nuovo, se così si continua a pensare che è, non si farà altro che confermare e moltiplicare questa stessa immagine. Ci vorrebbe qualcuno che la pensa diversamente. Qualcuno che pensa che invece Venezia è un luogo di… quello che è capace di far accadere di bello e di nuovo. E non si risolverà mai niente pensando che la si deve salvare da se stessa, mantenendo l’idea che, tanto, Venezia oramai è inesorabilmente spopolata, preda del turismo di massa, e dei grandi eventi popolar-mediatico-culturali.