
Si può fare
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12 Gennaio 2023EL’antica “arte del dire”, apparentemente caduta nel dimenticatoio alla metà del Novecento e poi riscoperta qualche decennio fa, in realtà pèrmea di sé il nostro linguaggio quotidiano: siamo tutti dei gran rètori!
Prendiamo una frase qualsiasi come questa: Quella fanciulla è una perla! Il senso di tale enunciato è chiaro per chiunque conosca la lingua italiana: la ragazza di cui qui si parla sarà certo graziosa e avrà anche più di una dote morale. Eppure un computer, che dovrebbe essere tanto più intelligente di noialtri umani (e sicuramente è assai più rapido nel ragionare), direbbe invece che no, che quella frase non ha senso, non è ammissibile.
La parola “ragazza”, infatti, si riferisce ad un essere umano, mentre una “perla” è un piccolo oggetto sferico inanimato prodotto da un’ostrica perlifera (appunto). Insomma, l’intelligentissimo (e al contempo stupidissimo) computer direbbe che i significati di “ragazza” e di “perla” sono incompatibili e che pertanto quella frase è sbagliata, non è ammissibile, non vuol dire nulla.
Noi umani, invece, per quanto stupidi, capiamo al volo il senso di quell’errore lessicale (che tale in effetti è: un errore di abbinamento lessicale) e che la parola perla è usata, sia pure in senso improprio, per attribuire in un sol colpo (si badi!), e con un solo vocabolo, alla ragazza diverse caratteristiche, quali la bellezza, la perfezione, la preziosità, il candore e quant’altro.
Ebbene, di questo genere di “errori” (errori talvolta volontari e talvolta inconsapevoli) è piena zeppa la nostra lingua quotidiana. Siamo completamente immersi in questo linguaggio fatto di espressioni che sono, a rigore di logica, solo delle improprietà e che tuttavia servono ad esprimere i concetti in modo sintetico e soprattutto con maggiore efficacia (anche se con minore esattezza).
Ciò che diciamo, sentiamo, leggiamo o scriviamo ogni giorno pullula di questo genere di inesattezze efficaci e significative. Il nostro linguaggio di tutti i giorni, cioè, è pieno di… retorica! È infatti questa la parola magica che corrisponde al fenomeno fin qui descritto. Insomma, dalla retorica non si scappa, non se ne può proprio fare a meno.
Eppure, questo termine (retorica) è stato per parecchi decenni disprezzato. Ancora oggi noi lo usiamo così, in chiave negativa, per indicare un atteggiamento o un discorso tronfio, altisonante ma vuoto, presuntuoso, ampolloso: “Che discorso retorico!”, “Mamma mia, quanta retorica!”.
Tale disprezzo per la retorica ha delle ragioni storiche su cui sorvoliamo. Basti dire che in passato, per secoli e secoli, se ne erano fatte delle tali scorpacciate, di retorica, che poi arrivò il momento (verso la metà del secolo scorso) in cui non se ne poté più, e la retorica venne messa al bando nelle scuole e anche dagli scrittori (apparentemente). Soltanto negli ultimi decenni la retorica è stata riscoperta come “arte del dire”, anzi, direi di più: come linfa vitale di ogni lingua.
I vari schemi linguistici (o espedienti, o trucchi, se preferite) dai quali è costituita questa benedetta retorica (o meglio, quella parte della retorica detta elocutio) si chiamano, com’è noto, figure retoriche. Forse la famiglia più importante delle figure retoriche è quella delle “figure di significato”, cioè di quelle “figure” che riguardano il significato, appunto, delle parole, e che consistono nello spostamento di un significato, ossia nell’uso non letterale del significato di una parola o di un’espressione. I nomi meta-fora e tras-lato (portare al di là, trasferire) fanno appunto riferimento a tale spostamento di significato.
Nella frase che abbiamo riportato all’inizio di questo scritto c’è un esempio della regina delle figure retoriche, la metafora. Quella fanciulla è una perla! L’espressione “una perla” è una metafora perché perla è, in questa frase, un vocabolo, in senso stretto, improprio (ma efficace!), che viene usato al posto di una parola appropriata, anzi, in questo caso addirittura in sostituzione di varie parole: perla, infatti, sta qui per bella, perfetta, preziosa, luminosa, pura ecc.
Ed ecco di seguito, a puro titolo d’esempio, alcune metafore d’uso corrente nel linguaggio di tutti i giorni. È morto nel fiore degli anni (nella parte migliore, la prima, la giovinezza); Il balcone guarda sul cortile (è rivolto, è orientato); Mi disse parole molto amare (brusche, severe, negative); Voleva ritornare al suo nido (alla sua casa); Siamo proprio in alto mare! (nei guai, nei pasticci); Allora toccarono il cielo con un dito (il massimo della felicità); Quell’uomo è davvero una roccia (sanissimo, forte, resistente); Purtroppo è completamente al verde (in miseria, senza denaro); Trascorse tutta la notte in bianco (senza dormire); Era ormai al tramonto della vita (alla fine, nell’ultima parte, nella vecchiaia).
Le figure retoriche, si sa, sono anche l’anima della pubblicità. Esse sono presenti sia nelle parole che nelle immagini della pubblicità. Qui ci limitiamo alle parole, con qualche esempio famoso. Parecchi anni fa lo slogan di una nota marca di benzina recitava “metti un tigre nel motore” (un tigre, cioè una forza aggressiva, scattante e… maschile – era una pubblicità destinata soprattutto agli uomini). Più di recente un altro famoso pay-off di una marca di yogurt è stato “fate l’amore con il sapore”, per evidenziare il gusto quasi erotico (l’amore) di quel delizioso (quanto grasso) alimento. E ancora, per una certa bevanda energetica: “Red Bull ti mette le aaali”, cioè (le ali) ti dà una carica e uno scatto che ti fanno “decollare”.
Ma la pubblicità pullula anche di altri tipi di figure, che danno forza, fascino, attrattiva, incisività, memorabilità alle parole; eccone alcune: “Fiesta ti tenta tre volte tanto” (allitterazione e bisiticcio); “Sete d’estate? Sete d’Estathè” (allitterazione); “A sporchi estremi, estremi rimedi” (chiasmo); “Altissima, purissima, levissima” (climax e iperbole); “Tronky. Fuori croccantissimo, dentro morbidissimo” (allitterazione); “Non si dice sambuca, si dice Molinari” (antonomasia); “Che mondo sarebbe senza Nutella?” (domanda retorica); “Brrr… Brancamenta” (onomatopèa); Geox: “la scarpa che respira” (personificazione); Lavazza: “più lo mandi giù, più tira su” (allitterazione, antitesi e parallelismo).
In definitiva, lo ripetiamo: la comunicazione quotidiana, dalla pubblicità alla lingua di tutti i giorni è pervasa e quasi intrisa di retorica, anche se spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto. Inutile illudersi: siamo tutti, volenti o nolenti, dei gran rètori…



