
Da Kant a Confucio: due strade per pensare il mondo
3 Ottobre 2025
I signori della guerra
6 Ottobre 2025“L’amore universale è un sogno non mai realizzabile. Si odia il compagno, il concittadino, l’amico, il padre, il figlio; ma l’amore è sparito affatto dal mondo, sparita la fede, la giustizia, l’amicizia, l’eroismo, ogni virtú, fuorché l’amor di se stesso. L’amor proprio ha come corollario l’odio verso altrui, così per le nazioni l’amor patrio è odio verso gli stranieri…. In guerra senza tregua, e in guerra d’ogni giorno, ora, momento, e in guerra di ciascuno contro ciascuno e senza neppur l’apparenza della giustizia; in guerra senza quartiere; in guerra tanto piú atroce e terribile, quanto è piú sorda, muta, nascosta; in guerra perpetua e senza speranza di pace. (Leopardi, Zibaldone, 890, aprile 1821)
Eppure l’uomo, al di là di questa visione di grande attualità e decisamente nichilista, non ha mai smesso di sognare; ci sono sempre stati grandi uomini con grandi idee e con pensiero divergente, con visioni grandiose di trasformazione sociale.
I have a dream diceva qualcuno. Ed è vero, per tanti anni abbiamo provato a sognare. Almeno in 3 momenti storici in questi 80 anni.
Sicuramente nel secondo dopoguerra quando alcune parole erano diventate il verbo: solidarietà, cooperazione internazionale, diritti: dai diritti umani, ai diritti politici, civili, giustizia, uguaglianza, pace, libertà in tutte le sue declinazioni, non discriminazione. La nascita dell’Onu, la formulazione della dichiarazione universale dei diritti umani, e poi a seguire il cammino inesorabile verso l’Europa unita, dai primi albori con la nascita della CECA e poi la Cee comunque fondate sulla cooperazione economica e commerciale tra quegli stati che per 2.000 anni si erano combattuti è diventata un’unione sovranazionale che si avvale di coesione sociale, della lotta all’esclusione, con l’idea di sussidiarietà, volta al benessere dei suoi concittadini. Uniti nel rispetto delle diversità. Secondo un principio fondativo: o ci si salva tutti o non si salva nessuno. L’Europa ci ha dimostrato che si può vivere senza farsi guerre, che si può espungere l’idea della guerra dalle relazioni tra i popoli e gli stati. In 27 ormai abbiamo scelto questa strada ed è una cosa grandiosa, primo esperimento nella storia dell’umanità perché è nata dalla scelta consapevole e condivisa tra nazioni che erano tali da secoli e hanno scelto di rinunciare ad una piccola (al momento) fetta della loro sovranità. Ben diverso da come sono nati gli States, attraverso guerre di conquista e di annientamento delle popolazioni native. Ma perché non si ritiene che questa potrebbe essere percorsa dal resto del mondo?! E’ vero che oggi questa realtà sembra stia affogando nelle sabbie mobili dei nazionalismi e dei governi sempre più arroganti e aggressivi, nell’incapacità di fare scelte coraggiose, nella inadeguatezza politica nell’affrontare in modo autonomo e autorevole le tragedie dei nostri giorni. Noi che al nostro interno ci relazioniamo pacificamente, non possiamo pensare di sostenere ad oltranza e fomentare guerre, invece di porre le condizioni per avviare processi di pace. Non siamo stati in grado di porre fine e disinnescare il conflitto che abbiamo praticamente in casa. Noi europei dobbiamo recuperare i nostri valori. Non è pensabile che oggi parliamo di riarmo, di guerra, di militarizzazione e di nucleare come se nessuna conquista sia stata fatta in questi decenni. E’ un lessico che ci riporta indietro di un secolo.
Altro momento in cui abbiamo sognato sono stati gli anni dal ‘68 al ‘78 in cui il sogno era un mondo dove la contestazione giovanile, soprattutto nata contro la guerra in Vietnam, metteva sotto processo l’autoritarismo, il conservatorismo, il capitalismo, la guerra, in nome di una rivoluzione in cui si mettevano i fiori sopra i cannoni. Era chiara una nuova visione del mondo, una nuova progettualità. La fine della dicotomia tra individuale e collettivo, tra privato e pubblico portava ad un’idea di democrazia e partecipazione che avevano mobilitato masse di studenti e operai, contro qualunque conformismo, moralismo e autoritarismo in vista di una società libera, di uguali e di pace. Idee che partivano dal basso e che hanno avuto il potere di cambiare la scuola, la famiglia, il rapporto con la religione, i rapporti interpersonali e all’interno della famiglia, i diritti delle donne, i rapporti di lavoro e i diritti dei lavoratori. Se è vero che non fu cambiata la struttura economica, certamente si è modificata in maniera irreversibile la sovrastruttura. Se vuoi, puoi.
E infine l’89 e il crollo del muro di Berlino è stato un altro momento di sogni e promesse! Venendo meno la contrapposizione e la conflittualità tra sistemi economici e il bipolarismo sperammo nella fine dei regimi autoritari e di orrori come ancora persistevano nel mondo comunista liberticida, oppressivo e opprimente. Ha vinto il capitalismo, è vero, ma si sperava in un capitalismo dal volto umano, anche se è sempre stato evidente l’incompatibilità tra capitalismo e democrazia, perché se il capitalismo si regge “sulla proprietà privata” e “sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, è evidente che è incompatibile con la democrazia che dovrebbe garantire uguaglianza e giustizia sociale. Abbiamo sognato l’affermazione delle democrazie laddove erano crollati regimi oppressivi ma in questi anni sono prevalse nuove forme di potere come le “democrature” e si è dimostrato, come la democrazia non è data per scontata, non è data una volta per tutte e non ha gli anticorpi per affermarsi e difendersi da chi la attacca e ne fa strame impunemente.
Però è anche vero che gli anni ‘80-‘90 sono stati gli anni dell’”edonismo reaganiano”, dell’affermazione dell’individualismo, del prevalere della “vita estetica sulla vita etica”. E forse è lì la chiave di svolta verso un individualismo che ci ha portato verso un ripiegamento nel privato a livello individuale e dell’affermazione degli egoismi, dell’identità nazionale, dei sovranismi, della ripresa dei nazionalismi.
Individualismo, egolatria, nazionalismo, identità, suprematismo, idea della superiorità, sovranismo, non c’è altro dio all’infuori di me. Ma forse è tornato il momento per riprendere a parlare e a riscoprire il Noi.
Ci siamo illusi che la globalizzazione imponesse relazioni di cooperazione, riuscisse ad omogeneizzare anche i valori, ci siamo illusi che il covid ci desse una nuova visione del nostro essere uomini umani, accomunati da uno stesso destino di fragilità e che quindi ci portasse ad una comune fratellanza in nome di una resilienza e resistenza ai colpi del destino che accomuna tutti gli esseri.
Pico della mirandola prima e Pascal dopo affermavano che la grandezza degli uomini sta nell’avere coscienza della propria miseria. Ecco invece oggi quello che prevale è un ritorno della volontà di potenza, della volontà di assoggettamento del più forte sul più debole, di sottomissione. Ancora prevalgono le logiche di: questa terra è mia e me la prendo io, anche con la forza. Sono lontani i tempi in cui Rousseau diceva che il primo uomo che ha detto questa terra è mia ha gettato le basi della proprietà privata che, secondo lui, è alla base delle disuguaglianze tra gli uomini e degli egoismi in conflitto tra loro. Gli egoismi in conflitto tra loro generano una guerra comune di tutti contro tutti, come sottolineavano prima Hobbes e poi Leopardi, ma non solo. E questo vale sia per gli individui che per gli stati.
E oggi dinanzi i nostri occhi continua a prevalere questa logica di possesso, di espropriazione di terre che non ci appartengono. La terra è di tutti. E’ certamente un valore rivendicare le radici, riaffermare la identità di ciascuno e di ciascun gruppo e di ogni nazione, e l’identificazione di un popolo sulla propria terra ma rinchiudersi nella gabbia dell’identità senza considerare l’alterità dell’altro, senza rispettarla anzi schiacciandola, prevaricando i diritti dell’altro ad esistere, conculcando il diritto dell’altro ad una propria terra, un proprio stato, propri confini, per una pretesa e presunta affermazione del proprio diritto di essere e di esistere, questa è la via maestra per rendere la terra invivibile.
Se abbiamo avuto momenti in cui abbiamo sognato, oggi abbiamo smesso di sognare e, anzi, siamo dentro un incubo, l’incubo dal quale non sappiamo come ne usciremo, l’incubo della fine di un mondo che speravamo più giusto, di cooperazione anziché di sopraffazione, un mondo dove vigeva la logica del diritto internazionale che tutelava i rapporti tra le nazioni. Affoghiamo nel pantano delle follie dei criminali che decidono che il ministero della difesa si chiamerà della guerra. Questo significa passare dai sogni all’incubo, quando si afferma che la guerra è un’opzione pensabile e quindi possibile e quindi praticabile.
E sconcerta la disinvoltura con cui oggi l’indicibile diventa dicibile, l’innominabile viene nominato, l’impensabile viene pensato e soprattutto agito. Senza più pudori, né vergogna, tanto tutti belano ma nessuno agisce per fermare l’irrefrenabile.
Cosa può fare nuovamente da collante in questo mondo scollato, scollegato, scardinato che sembra essere totalmente fuori controllo o sotto il controllo di criminali furiosi? Un caos che ci pone sotto gli occhi un mondo stracciato, vilipeso, svilito. Cosa resta del nostro mondo se ci dimentichiamo di quel diritto internazionale che è una garanzia di sopravvivenza di valori e prospettiva di un mondo in equilibrio? Ciò che resta lo vediamo quotidianamente! Solo macerie.
Solo il ripristino della legalità e la richiesta del rispetto del diritto internazionale, può liberarci dal caos, può ripristinare ciò che si è rotto, può recuperare un nuovo ordine mondiale. Basterebbe riaffermare quello vecchio che ci aveva fatto sognare e auspicare un mondo più vivibile.
Siamo immersi nell’incubo della fine di valori, l’incubo dell’azzeramento e vanificazione delle organizzazioni internazionali, l’incubo di un impoverimento culturale, per cui possiamo solo auspicare una resistenza alla forza bruta. Forse qualche spiraglio si vede nelle manifestazioni globali e di massa di questo periodo o nella global sumud flotilla. Un rigurgito di moralità e di umanità è forse possibile, solo scavalcando le politiche ignave dei governi indifferenti o sotto ricatto.
Forse, se l’umanità è morta nei nostri politici, vive in chi non accetta più questo mondo di ingiustizia e la mobilitazione di massa ci fa ritornare con la mente ai grandi movimenti del ’68, iniziati per denunciare gli orrori della guerra in Vietnam (come ha ricordato qualcuno) e ci fa presagire la rinascita di un nuovo sogno, di nuove prospettive, di una progettazione, di una visione che ci faccia uscire dall’incubo e ci faccia tornare a sognare che il senso dell’umano è ancora vivo.
E soprattutto una rivolta etica che sta emergendo dal basso sempre più prepotente, di masse che hanno ripreso in mano il loro potere di pressione sui governi, stanno riaffermando il valore della democrazia come partecipazione, masse non ricattabili, mosse solo dal risveglio delle loro coscienze e che non intendono rinunciare a quei valori irrinunciabili e non più negoziabili. Per un nuovo umanesimo illuminista.
Che sia l’epifania di un nuovo mondo?