
OCCIDENTE: MA COSA VUOL DIRE?
26 Settembre 2025
Da Kant a Confucio: due strade per pensare il mondo
3 Ottobre 2025Nel 2024 quasi 191mila italiani hanno fato le valigie, non pensionati in fuga alle Canarie, ma giovani tra i 18 e i 39 anni, l’età in cui dovresti costruire il futuro di un Paese. Più della metà degli espatriati è in questa condizione, e uno su quattro ha una laurea, non corsi serali di zumba: lauree vere, in medicina, ingegneria, informatica, Quelli che dovrebbero progettare ponti e ospedali, scrivere software, fondare aziende. Li formiamo a spese nostre e poi li regaliamo a Berlino, Londra, Boston. Il Made in Italy più assurdo: spendi per vent’anni di formazione e poi li spedisci all’estero in confezione regalo.
Il Nord Est è il cuore di questa emorragia. Venezia, Treviso, Padova, Udine, territori che un tempo erano sinonimo di lavoro e prosperità, oggi primeggiano nell’export non dichiarato di cervelli, situazioni da Guinness delle figuracce. Le imprese cercano ingegneri, i ragazzi migliori sono già a Dublino a guadagnare il doppio. Qui restano gli stage gratis, i contratti precari e l’illusione che esista la meritocrazia e non sia solo una leggenda metropolitana.
Il saldo migratorio del 2024 è stato di oltre 100mila unità, una Caporetto demografica. In dieci anni gli espatriati under 40 sono raddoppiati (+107%). Intanto la popolazione invecchia e Venezia rischia di diventare capitale mondiale dei gerontologi: più badanti che ricercatori, più RSA che startup.
C’è chi propone le politiche per la natalità come soluzione, un percorso insufficiente, i risultati si vedrebbero tra vent’anni, quando la nave sarà già affondata. E l’esempio ungherese è da manuale: spendono il 6% del PIL in incentivi alle nascite e i bambini non arrivano. ROI ridicolo: tanti soldi, pochi neonati. Non puoi tappare l’esodo con un bonus bebè. Non compensi l’aeroporto con la culla.
Eppure Venezia avrebbe tuto per cambiare rota: Università, poli di ricerca, Porto Marghera, tradizione manifatturiera, potrebbe essere hub di innovazione e invece si riduce a cartolina turistica. Studiare qui significa, troppo spesso, usarla come trampolino per Stoccolma.
La domanda non è come trattenerli: quella partita è persa. La vera domanda è: come riportarli indietro?
Serve un Venice Brain Gain Plan e non l’ennesima inutile proposta ministeriale. Tre sono i pilastri concreti:
1. Fiscalità di rientro: zone economiche speciali, se apri una startup a Venezia da expat di ritorno, tasse ridotte, non elemosine, ma incentivi veri.
2. Ecosistemi, non vetrine: Porto Marghera in green e biotech, Mestre e Treviso in AI e cybersecurity, Padova biomedicale. Basta conferenze, servono laboratori e capitale.
3. Capitale sociale: chi vive a Londra o Berlino ha reti globali, Venezia deve agganciarle, non limitarsi alla nostalgia del “tornate a casa figlioli”.
Non è poesia, è aritmetica funerea: ogni anno perdiamo un quinto dei nostri laurea. È come smontare i cantieri navali mattone dopo mattone allontanando progressivamente le maestranze e chiedersi perché non costruiamo più navi. Continuando così Venezia diventa Disneyland per crocieristi e bancomat immobiliare per pensiona tedeschi e francesi. E il futuro? Non ricercatori e innovatori, ma badanti e motoscafisti a reggere la scenografia del declino. Io ne vorrei meno al timone dei taxi d’acqua e più col PhD: meno motoscafisti, più data scientist.
Ma c’è un’alternativa: Venezia può ancora smettere di essere un museo a cielo aperto e tornare porto del futuro. Basta cartoline e spritz, servono infrastrutture, stipendi veri, meritocrazia. Meglio un data center a Porto Marghera che l’ennesima bancarella per turisti
Perché senza inversione di rotta Venezia non sarà più Serenissima, ma Senilissima: più pannoloni che brevetti.