Save the Venetians: una battaglia da combattere
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26 Febbraio 2016Parlare di Unione Europea in questo momento significa per forza di cose dover guardare allo scenario internazionale da due punti di vista principali, quello economico e quello politico e per di più proprio in quest’ordine, a causa di una manifesta debolezza della politica europea odierna rispetto agli scenari economici che inevitabilmente interessano tutti i paesi dell’Unione.
Iniziando dal primo, è molto probabile che la prossima grande riunione dei Ministri delle finanze dei paesi che fanno parte del G20 dovrà prendere atto del fatto che le stime di crescita dell’economia internazionale sono al di sotto dell’aumento di 2 punti percentuali di Pil che erano stati preventivati per il 2018 nell’ultima riunione degli stessi Ministri di circa due anni fa.
Tuttavia le due grandi potenze internazionali, USA e Cina (di come agisce l’Unione Europea mi riservo a breve di commentare) stanno cercando di dare risposte diverse, ma in ogni caso non restano immobili.
Gli Stati Uniti, riluttanti nel riconoscere la Cina come paese caratterizzato da una vera economia di mercato, hanno concluso, senza la Cina, ma con altri 11 paesi dell’area del Pacifico, un grande accordo commerciale per la Trans Pacific Partnership e mantengono naturalmente aperti i canali con l’Unione Europea attraverso la Transatlantic Trade and Investment Partnership.
La Cina, la cui economia ha bisogno di nuovi sbocchi a causa dell’elevata produzione interna, ha compiuto una mossa molto importante in tal senso con la costituzione della nuova Asian Infrastructure Investment Bank con sede a Pechino e con scopo principale, quello di realizzare enormi progetti infrastrutturali soprattutto in Asia.
Da ultimo e non a caso, segue in coda l’Unione Europea, la quale rispetto all’attivismo dei primi due, appare muoversi su questo delicato scacchiere economico internazionale in ordine sparso.
Germania e Regno Unito si assicurano posizioni di rilievo all’interno della neo costituita banca asiatica, sempre il Regno Unito promette alla Cina che Londra ospiterà il maggior centro off-shore per le transazioni finanziarie in renminbi e da ultimo la Germania strappa privilegi per l’accesso al mercato cinese da parte delle sue imprese.
In tutto questo è assordante il silenzio delle Istituzioni Europee, spesso accusate, sembra quasi paradossalmente di occuparsi solo di questioni economiche.
Se lo scenario economico non è incoraggiante, quello politico non è dissimile.
Ciò gioco forza, vista la grande debolezza politica all’interno dell’Unione Europea di questi ultimi anni incapace di guardare al futuro e sempre più ostaggio del ritorno di fiamma degli egoismi nazionali.
In questo quadro rientrano a pieno titolo argomenti tra i quali: il ruolo assunto dalla Gran Bretagna in tema di permanenza nell’Unione, le parole del cancelliere austriaco Werner Faymann sull’immigrazione, le posizioni di arretramento di alcuni paesi dell’est dell’Unione, la posizione della Turchia davanti alla debolezza Europea.
Nell’ordine, la debolezza della politica europea è stata inscenata:
Dal teatro sull’annosa questione Brexit riassumibile nella conclusione lapidaria data da Angela Merkel che ha detto “permettere a David Cameron di superare il referendum”;
Dalla provocazione dell’Austria di chiudere i propri confini proprio nel giorno del Consiglio Europeo;
Dalle posizioni egoiste assunte da Ungheria, Slovacchia e Polonia sugli stessi temi, giustamente richiamate da Germania e Italia che hanno ritenuto di affermare che se questi paesi non sono solidali nell’accoglienza, allora non meritano nemmeno l’accesso ai fondi di coesione europei, di cui c’è oggi grande bisogno in altre aree dell’Unione, come ad esempio le coste italiane.
Dalla comprensione della Turchia dello stato di debolezza in cui versa l’Unione, elemento quest’ultimo che le consente di raccogliere i fondi a lei destinati dall’Europa senza troppo impegnarsi nell’evoluzione del processo democratico.
Questi elementi oggettivi, ben descrivono il livello della politica europea contemporanea, quasi completamente priva di visione e intraprendenza.
In questo clima, il tempo a disposizione non è molto, ed scandito dall’imminente scadenza dei termini che hanno portato all’introduzione da parte di 6 paesi membri dell’introduzione dei controlli alle frontiere in base all’art. 23 del Trattato di Schengen pericolosamente aumentabili fino a due anni ai sensi dell’art. 26 dello stesso Trattato.
In conclusione, se il verificarsi di questo rischio non rappresenterebbe ancora lo smembramento dell’Unione, sottovalutarne il rischio potrebbe diventare ancor più drammatico.