
CONO DI LUCE Nel Grande Nord con Audur Ava Olafsdottir
6 Gennaio 2020
FELICITA’ 2020 un linguaggio di equilibrio e giustizia
13 Gennaio 2020“Non penso a un nuovo partito, ma a un partito nuovo” (Zingaretti – La Repubblica 11 gennaio 2020)
Ve la ricordate la pubblicità del Pennello Cinghiale, con quello che se ne andava in giro in bici per la città trafficata con un enorme pennello in spalla a cui veniva obiettato il suo intralciare il traffico con un sonoro “hai bisogno di un grande pennello non di un pennello grande!”?
https://www.youtube.com/watch?v=M58X0xV-zK4
Bisognerebbe riderci sopra se non fosse l’ennesima fuga dalla realtà di una politica che non sa ripensare sé stessa in termini radicali e innovativi.
Il che comporta fare scelte, talvolta dure e impopolari (alla faccia del populismo imperante), se si vogliono cogliere i frutti di una rivisitazione fruttuosa e duratura degli indirizzi politici avendo come obiettivo principale il bene della maggior parte dei cittadini del proprio Paese, prima di tutto, della democrazia, della solidarietà e del progresso civile e sociale come conseguenza logica e fattuale.
E invece si assiste ancora una volta a un rimescolamento di carte, a un riposizionamento di equilibri che si fa fatica a interpretare come un gesto forte e fondativo di un qualcosa che non sia il solito aggiustare le cose, rifare il lifting e tirare a campare.
E’ una posizione prevenuta? Forse anche sì, considerate tutte le occasioni sprecate da troppi anni in qua.
Ben da prima della nascita del PD (2007) che comunque nacque male e pasticciato, alla ricerca di equilibri preesistenti, pur in presenza di una generosa spinta culturale (squisitamente culturale) ma completamente slegata dalla realtà delle pratiche praticate: apparati a confronto, divisioni per correnti ed etichette, nomenclature sempre in plancia, buone per tutte le stagioni, politiche di conservazione, proposte di governo spesso slegate dalla realtà dei fatti, sicuramente sganciate dai bisogni del Paese.
Che non cresceva dalla fine degli anni’80 e che si era crogiolato su alcuni modelli di pensiero che apparivano ai più vincenti: “piccolo è bello” il più gettonato, “la creatività italiana” come chiave di lettura di uno sviluppo economico senza prospettive di lungo respiro.
E il Debito Pubblico gestito come una variabile indipendente, alimentato a dismisura senza che ne potessero derivare benefici di nessun genere allo sviluppo del PIL che almeno avrebbe provato a giustificare il massacro finanziario.
Non sarebbe stato comunque possibile: è legge economica, dicono gli esperti.
Per cui sorge spontanea la domanda: dov’erano gli esperti economici? E se c’erano dormivano? Oppure, più facilmente, le scelte della Politica hanno imposto il sonno della ragione.
Senza dimenticare, infine, come attorno alla “politica” sia stata costruita una rappresentazione che la disegnava come la peggiore delle pratiche civili, massacrata – anche per le sue incontestabili responsabilità – prima di tutto dai media, prima ancora che dalla “società civile”, media che hanno alimentato una lunghissima stagione di giustizialismo a tutto tondo e che nel tempo hanno fatto maturare un clima di rigetto, di rifiuto – nei casi “migliori, che ha allargato l’astensionismo – ma anche un clima di odio e di disprezzo – nei casi peggiori, in cui le piattaforme social l’hanno aiutato ad autoalimentarsi – e hanno prodotto i fenomeni politici che ancor oggi dominano la scena.
Salvo poi, come quasi sempre, chiamarsene fuori e continuare nel gioco del “dagli all’untore” su ogni scelta, su ogni proposta, corredandolo con ogni retroscena dei più fantasiosi, cercando di legittimare righe su righe, ore su ore di talk show, basandosi quasi sempre sul “niente”.
Anche qui con il mantra “tengo famiglia”, spesso rinfacciato alla politica, a giustificare una mancanza di cultura professionale, prima ancora che di dignità morale.
Possiamo pensare che andrà così anche stavolta? Che l’ennesimo tentativo di ridisegnare un asse culturale in un bacino di centrosinistra che dovrebbe chiamarsi prima ancora “Progressista” se valesse il principio di far progredire al meglio il Paese nel suo insieme, non si rivelerà nel medio periodo (la società contemporanea brucia i fatti e le cose a una velocità direttamente proporzionale all’espansione delle connessioni) l’ennesimo tentativo autoreferenziale, velleitario, infruttuoso?
Non ci sarebbero ragioni per dubitarne.
Poi volendo ancora una volta dare un minimo di credito alle parole “dobbiamo rivolgerci però alle persone, e non alla politica organizzata” viene da dire “vedere moneta, comprare cammello”.
Non è da noi stare alla finestra inerti e spocchiosi, ma, alla luce delle esperienze maturate anche sulla propria pelle, avendo più volte messo in gioco il proprio tempo, le proprie idee, senza mai chiedere nulla in cambio, avendole viste bruciare come i falò dei “Panevin”, vorremmo prenderci il tempo di guardare lo sviluppo dei fatti.
Quelli concreti, quelli che si basano su scelte, su progetti, su programmi.
Sulle sole parole non si è mai (quasi mai!) costruito nulla.