EBBASTA PARLARE DI “CENTRO”..
11 Luglio 2022RIGENERAZIONE URBANA Una nuova qualificante rubrica per LG
14 Luglio 2022E’ caldo in questi giorni il tema della possibilità di controllo dei flussi turistici, operando tramite prenotazione o inserendo una forma di accesso a pagamento; tema che va letto di pari passo con quello, altrettanto caldo ed attuale, di porre un limite – rectius, una regolamentazione – alla possibilità di concedere in locazione turistica gli immobili ad uso abitativo.
Non solo le finalità dichiarate dei due interventi sono simili (appunto, la gestione del turismo e la frenata all’esodo dei residenti); ma lo sono anche le tematiche giuridiche che questi due argomenti comportano.
La domanda è, in sostanza, la medesima: fino a dove sono comprimibili i diritti costituzionali, in questo caso il diritto alla libera circolazione degli individui (art. 16 Cost) e il diritto allo sfruttamento della proprietà privata (art. 42)?
Una prima risposta proviene dalla lettura degli articoli medesimi: entrambi, prevedono già all’interno del proprio testo, la possibilità di porre limitazioni ai diritti che garantiscono.
Quanto alla libertà di circolazione, l’articolo 16 prevede che, pur con riserva di legge, la circolazione possa essere impedita in via generale per motivi di sanità e sicurezza pubblici: si pensi ad esempio ai provvedimenti che limitano temporalmente e parzialmente la circolazione degli autoveicoli nei centri abitati per motivi di sicurezza del traffico cittadino o alla limitazione alla libertà di entrare o uscire da un determinato luogo (il cd. cordone sanitario) al fine di evitare il propagarsi di un’epidemia. Il tutto con la specifica esclusione invece della limitazione per motivazioni politiche (l’articolo della Costituzione nasce in periodo post-fascista e tendeva ad evitare il ripetersi dei fenomeni dittatoriale tipo quelli del «confino»).
Quanto all’art. 42, è espressamente previsto che spetti alla legge determinare i modi di godimento e i limiti alla proprietà privata, allo scopo di assicurarne la funzione sociale.
Un esempio chiaro lo abbiamo avuto negli anni in tutta la normativa sull’equo canone, che fissava canoni amministrati per le locazioni; lo abbiamo tutt’ora quanto alla durata minima dei rapporti contrattuali di locazione; lo abbiamo in tutta la normativa che pone la necessità di dotarsi di autorizzazioni edilizie per operare all’interno degli immobili opere di restauro, anche per immobili non di interesse storico.
Questo perché sempre, nel nostro sistema, quando sono in gioco due beni meritevoli di tutela, la Legge deve garantire delle forme di cosiddetto “contemperamento degli interessi”.
Dunque, per restare agli esempi di cui sopra, il diritto alla libera circolazione del cittadino deve trovare un limite nella salute della popolazione intera; il diritto allo sfruttamento economico di un bene immobile trova limite nella tutela della impresa economica (ed ecco che i contratti commerciali devono durare almeno 6 anni) e così via.
E’ un concetto pertanto pienamente accettato quello per cui le posizioni giuridiche dei singoli, per quanto legittime, possano dover passare in secondo piano ed essere sottoposte al vaglio dei poteri autoritativi dello Stato, per salvaguardare i diritti essenziali che in un determinato momento storico subiscono il rischio maggiore e perciò hanno bisogno di maggiore tutela, a scapito di altri diritti, pur degnissimi, ma che per il loro esercizio possono essere rimandati a tempi o modo di esercizio migliori.
Verrei dunque ad esaminare altri articoli della stessa Costituzione che a mio avviso vengono in rilievo in questa questione, articoli posti addirittura nei principi fondamentali (primi 12 articoli) della Costituzione – rispetto agli articoli 16 e 42.
Ad esempio, mi viene da richiamare per primo l’art . 2 : La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
La città ed il relativo tessuto sociale che la caratterizza, specie se espressione di una cultura specifica e di un modo di vita caratteristico e tradizionale, sono certamente da considerare come “formazione sociale” ai sensi dell’art. 2. E’ il cosiddetto “ambiente urbano”, quello che è stato definito più autorevolmente “il diritto alla città”. La qualità della vita, che vi si svolge all’interno, ne fa certamente parte.
Inoltre, la realtà socio culturale di nascita è senza dubbio un valore di particolare importanza per l’individuo, posto che su esso si fonda il suo stesso sentirsi parte di un unicum sociale, la sua possibilità di svolgere attività lavorativa dove ha maggiori rapporti e relazioni, la possibilità di mantenere inalterata la propria struttura familiare e sociale.
A conferma di ciò, anche, l’articolo 3 della Costituzione, che recita: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana
Tra i fattori che possono impedire il pieno sviluppo della persona umana vi è certamente la necessità di abbandonare forzatamente il proprio luogo di nascita, la grave rinuncia che comporta l’essere costretti a perdere le proprie abitudini e tradizioni socio culturali. L’estrema conferma di tale principio (conservazione dei luoghi e della cultura di appartenenza) è data dalla tutela delle minoranze linguistiche, di cui lo Stato vuole, giustamente, preservare origine, radici e tradizioni; all’evidenza, la ratio che stiamo richiamando è la medesima.
Ai sensi dell’art 3, dunque, la Repubblica non solo può, ma addirittura DEVE rimuovere gli ostacoli anche di ordine sociale che impediscano la libera espressione della persona, come sopra indicata. E tra gli ostacoli di ordine sociale, come non vedere i fattori che costringono i Veneziani all’esodo? Fattori che sono per lo più da ravvisare nella mancata gestione del flusso turistico che comporta, tra le altre cose, perdita di soluzioni abitative, perdita conseguente di negozi di prossimità, perdita di servizi e presidi ospedalieri con grave compromissione del diritto alla salute (magari dal Lido dobbiamo andare a Mestre il più delle volte), perdita di scuole o comunque diradamento tale da rendere ineffettivo il diritto allo studio del cittadino, mancata sicurezza della città (nessuna via di fuga in caso di emergenza nei casi di sovraffollamento stradale), mancanza assoluta di idonei mezzi pubblici di trasporto – tutte realtà che a Venezia quotidianamente viviamo, per citarne solo alcune.
Questo a tacere del fatto che i fenomeni cui si vuol dare regolamentazione (overtourism e assenza di abitazioni) si pongono anche in contrasto con il disposto di cui all’art 9 della Costituzione laddove si prevede che lo Stato debba conservare il patrimonio artistico e storico. Sia l’eccesso di “consumo della città “ da parte del turista, sia lo spopolamento della città, provocano pregiudizio al patrimonio storico artistico Infatti consumiamo, roviniamo, la città con lo sfruttamento modo intensivo, tanto quanto i parchi naturali; ed inoltre non avremo più la vita della città, il che significa disperdere la cultura della città, ne perderemo storia e tradizioni.
Inoltre, se vogliamo parlare di bilanciamento di interessi, va compreso se l’eventuale contingentamento di presenze in città e l’attuazione di politiche abitative che disincentivino l’affittanza turistica comprometterebbero veramente il diritto costituzionalmente garantito della libertà di movimento e di sfruttamento della proprietà privata.
Può la libertà di movimento a fini meramente ricreativi, compromettere l’intero tessuto sociale, storico e culturale di una delicatissima realtà come Venezia? E’ legittimo che l’interesse turistico della persona prevalga sul diritto dell’individuo di nascere, lavorare, crescere e condurre la propria vita nella propria città di origine e tra le persone della propria famiglia, tra i propri affetti e nella propria realtà socio culturale, in sicurezza, con i servizi necessari alla città e al cittadino, con qualità della vita adeguata? Perché il diritto alla libera circolazione del cittadino turista dovrebbe prevalere sul diritto del cittadino veneziano a poter rimanere?
Ed ancora: è davvero una compromissione dell’art 16 chiedere una programmazione all’accesso? Si ripete, NON un divieto di accesso, non un divieto di circolazione assoluto, ma una mera programmazione, una dilatazione nel tempo della possibilità di accedere ad un certo luogo.
Quanto all’articolo 41, è davvero un limite alla proprietà privata, la regolamentazione delle affittanze? Risulta essere veramente un impedimento allo sfruttamento economico dei beni? Non certo più della legge sulle locazioni, direi.
In definitiva, lo Stato è proprio l’Ente chiamato a limitare e contemperare le varie esigenze, i vari diritti, ove superiori esigenze lo richiedano, e la tutela della città di Venezia certamente è un interesse generale meritevole di tutela, addirittura di rango sovranazionale.
Le modalità di attuazione, poi, sono altra cosa, su cui spero di poter tornare.