
Valeria e Giulio, i nostri jiadisti non violenti
9 Marzo 2016
E se l’avesse fatto il Berlusca ?
14 Marzo 2016Nell’articolo precedente ho preso in esame quello che considero il dilemma principale della nostra società: fondata sulla “guerra”, intesa come perenne ricerca dell’affermazione di sé riconosciuta dagli altri, e per questo condannata a esprimere un livello conflittuale tale da minacciarne la stessa esistenza. E con essa, la sopravvivenza del Pianeta. Adesso, giusto per non rimanere nel campo della critica fine a se stessa, proverò a proporre qualche soluzione.
Preso atto finalmente che la “guerra” così intesa, e non come illusoriamente crediamo la “pace”, rappresenta la normalità della nostra vita e considerato quale spaventoso pericolo sia per la continuità della specie… che fare?
Bisogna cambiare direzione. La Natura non ci aiuta perché abbiamo una predisposizione genetica alla battaglia: l’uomo è animale da combattimento pericoloso come nessun altro. Allora, è necessario rivedere i fondamenti del vivere associato. In che senso?
Primo passo: non c’è niente di facile e nessuna strada è priva di ostacoli e controindicazioni. Servono discernimento, chiaroveggenza e distacco, come diceva un grande pensatore del passato, Meister Eckhart . E disponibilità a rivedere di continuo le scelte. Nessuno ha la ricetta della felicità futura. Questa si costruisce con pazienza e spirito critico.
Secondo passo: riprendo il concetto di “contratto sociale” caro a Jean-Jacques Rousseau, dal quale, comunque, non condivido per niente l’ottimismo sulla bontà del “buon selvaggio”. Oggi il contratto ci piomba addosso con la nascita. Non è, a vedere bene, un vero contratto bensì è un’imposizione. Un vero “contratto sociale” dovrebbe, come ho scritto in chiusura del precedente articolo, poter essere annullato in ogni momento. Senza fatali conseguenze.
Una società basata sul contratto è sostanzialmente diversa dall’attuale basata sul dominio: di organismi impersonali quali le istituzioni e, spesso e volentieri, di singoli sulla massa. Oppressa. Il dominio è giustificato, come ricordavo la volta scorsa, dalla necessità di frenare i pessimi istinti degli individui, “homo homini lupus” sosteneva il citato Thomas Hobbes. Tale dominio si definisce “sovranità”, cioè monopolio dell’uso della forza.
Nella società “contrattuale”, però, il continuo ricorso alla forza è limitato proprio dalla natura volontaria, negoziale e reversibile degli accordi presi. Non c’è ragione di accendere il conflitto: io sono in grado, sia come singolo sia come gruppo, di rinegoziare in ogni momento quanto sottoscritto in precedenza. So che è possibile. So che nel caso non si definiscano nuovi articoli, il contratto, semplicemente, sarà sciolto.
Certo, più che una soluzione, detto così, assomiglia a un enunciato. Meglio approfondire.
Terzo passo: il “contratto” deve valere per tutti. Sul serio. Non è che escludiamo chi parla un’altra lingua, segue una religione diversa, non ha soldi a sufficienza o ama persone del suo stesso sesso, giusto per fare qualche esempio. Il contratto riguarda chiunque e il suo rispetto è faccenda che interessa tutti.
Attenzione, perché questo è il punto fondamentale del cambiare direzione. Noi realmente imbocchiamo un’altra via nel momento in cui capiamo e mettiamo in pratica il principio per cui non ci voltiamo più dall’altra parte con la giustificazione “non mi riguarda.” Tutto mi riguarda, invece, ovunque accada, dal cortile di casa alle coste della Libia, dalla valle del Panshir a Citta del Messico. E così via.
Resta da vedere come potrebbe funzionare in una società complessa. In una società di massa. In un Pianeta sovraffollato e pieno di problemi come il nostro… attenzione, siamo sicuri che siano i problemi ad avere una dimensione per la quale è indispensabile il dominio oppure… già, è la stessa faccenda della crisi economica: c’è oppure sono i parametri scelti ad amplificarla, magari ad averla addirittura prodotta?



