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21 Marzo 2021Leggere. Questo verbo esprime un’azione che per gran parte degli studenti di ogni tempo e luogo, costituisce uno sforzo notevole e spesso indigesto, se non una vera e propria tortura. Solo con il passare degli anni, con la maturità e la conoscenza acquisite comprendiamo quanto sia importante leggere anche nella vita di tutti i giorni.
Io sono un lettore “onnivoro”. Ho imparato a leggere alla scuola materna, grazie ai fumetti di “Topolino”. Da lì in poi, la mia “fame” di libri non si è più arrestata. Molti sono i titoli che hanno lasciato un segno: “Il Conte di Montecristo”, “Narciso e Boccadoro”, “Big Sur” per citarne alcuni. Altri mi hanno avvicinato a mondi diversi: “I miti di Chtulhu” o “Il pasto nudo”.
Quindi, da accanito lettore quale sono, immaginatevi la mia reazione, quando ho appreso che la candidata leghista alla presidenza della regione Emilia-Romagna si è vantata del fatto che, almeno per tre anni consecutivi, non ha mai letto un libro… E non mi ha nemmeno sorpreso lo sbigottimento di molti, quando la stessa persona è diventata poi sottosegretario del ministero della Cultura.
Negli stessi giorni in cui venivo a conoscenza di tale notizia, un altro fatto di cronaca mi ha colpito particolarmente: un emerito professore di Storia dell’Università di Pisa – che, in quanto tale, di libri sicuramente ne ha letti molti -, durante una trasmissione radiofonica, ha offeso pubblicamente, in modo irrispettoso, una nota esponente politica, solo perchè di idee opposte alle sue.
Purtroppo, esempi di persone di grande cultura che, nonostante ciò si sono macchiate di azioni esecrabili, si trovano numerosi nei libri di storia; alcuni di questi personaggi hanno potuto raggiungere i loro biasimevoli obiettivi proprio grazie alla loro istruzione e alla loro cultura. Tuttavia, per constatare questa triste realtà, non serve spingersi fino ai “grandi cattivi” della storia, perché possiamo trovare facilmente, anche oggi, svariate figure di rilievo che offrono uno spunto rilevante in tal senso.
Ne deduco che forse, non è la lettura a fare la differenza quanto, piuttosto, l’uso che si fa della stessa e in genere del sapere.
Leggere può essere un piacevole passatempo, a prescindere dal fatto che si abbia in mano un rotocalco patinato, piuttosto che un romanzo impegnato o un saggio satirico. Libri e giornali ci forniscono informazioni e conoscenze, che ognuno di noi è poi in grado di interpretare grazie alla nostra istruzione e cultura, strumenti che ci permettono di elaborare una nostra visione della realtà che ci circonda.
Allora che cosa fa la differenza? Sono convinto che se l’istruzione ci dà gli strumenti per l’elaborazione e l’interpretazione dei dati raccolti con la lettura, ciò che deve contraddistinguere ogni individuo, è l’utilizzo delle proprie conoscenze intellettuali secondo i principi acquisiti fin dall’infanzia, come bagaglio imprescindibile della propria educazione. Non solo i principi e i valori acquisiti nell’ambito familiare, ma anche quelli imparati sui banchi di scuola e nelle esperienze vissute con gli amici degli anni formativi.
Aggiungo anche un’altra considerazione, al riguardo. Nella società odierna, i libri non costituiscono l’unico mezzo per “leggere” la realtà che ci circonda. L’ingegno umano ha sviluppato altri strumenti che hanno ulteriormente amplificato la possibilità, per l’uomo, di “raccogliere dati”: si pensi alla fotografia, al cinema e più recentemente ad internet. Oggi più che mai, il “mondo della rete” ci consente di esplorare, in tempo reale, realtà che sono ben lontane da noi, anche geograficamente. La multimedialità ha prepotentemente e inevitabilmente invaso la nostra vita e ci fornisce diversi strumenti che vanno ad aggiungersi e, a volte, a sostituire la lettura di libri e giornali.
Ritengo, tuttavia, che la lettura consente di mantenere un approccio diverso: ci obbliga ad elaborare i dati acquisiti proprio mentre stiamo leggendo; scatena la fantasia o la capacità di intuito, di interpretazione anche critica, di immaginazione, che variano proprio a seconda delle nostre esperienze, della nostra istruzione ed educazione.
Interpretando un famoso monito di Anniek Cojean, nel suo ricordo della Shoa, potremmo dire che la lettura, la conoscenza e l’istruzione in genere, non sono importanti se non servono a renderci più umani e aggiungerei più civili.
Proprio per questo, alla fine, rimane indelebile un fondo di tristezza e amarezza: per la senatrice, che da anni si priva del piacere e della ricchezza della lettura; ma anche per il professore universitario di Pisa, che pur avendo avuto tale vantaggio, non ne ha saputo fare buon uso.