L’Italia del Rimland e la sfida della Nuova Via della Seta
2 Luglio 20172017, le civiche espugnano
5 Luglio 2017Accerchiato, Assediato, Berlusconiano, Compromesso, Delegittimato, Democristiano, Filo-Destro, Giglio magico, Inciucista, Indebolito, Non-Credibile, Ossessionato, Perdente, Sconfitto, Solo e Abbandonato.
Sono sicuramente le locuzioni che ricorrono più frequentemente nei commenti, negli editoriali, nei talk, nelle discussioni al bar quando si parla del segretario di quello che ancora oggi è il partito di maggioranza relativa di questo sfortunato Paese.
Ad ognuna di quelle parole si può attaccare un commento, più o meno dotto, più o meno articolato ma sempre orientato allo stesso modo.
Possiamo star qui a discutere se abbia ancora senso misurare la capacità di stare in campo di Matteo Renzi senza voler prendere seriamente in considerazione il percorso e le politiche adottate prima come Presidente del Consiglio, con l’investitura gli è stata cucita addosso poco dopo essere stato nominato Segretario da un Congresso che usciva da un confronto delle Primarie per certi versi esaltante e coinvolgente?
O per rimanere all’oggi senza voler riconoscere che dopo la sconfitta referendaria del 4 Dicembre Renzi si è dimesso da Premier prima e da segretario subito dopo, e si è sottoposto di nuovo ad un confronto aperto in una nuova tornata delle Primarie che l’ha visto prevalere con il 70% dei consensi solo 2 mesi fa?
Con un PD che, nonostante la fuoriuscita dei transfughi della Ditta – accreditati dai sondaggi di un “magro” (per le loro aspettative) 4% – anche dopo il risultato non certo positivo delle ultime amministrative, sembra confermarsi, nei sondaggi, ancora il partito di maggioranza relativa?
E allora avanti con le discussioni infinite sul come e con chi fare alleanze, anche se siamo ancora in presenza di un paio di leggi elettorali (Camera e il redivivo Senato) che non garantiscono la governabilità ma solo la rappresentanza e quindi siamo a discutere del sesso degli angeli, con tutti i partiti o sedicenti “movimenti” che pensano più a misurarsi le dimensioni che a proporre soluzioni.
Secondo una logica tutta autoreferenziale buona solo per gli addetti ai lavori (giornalisti, notisti, commentatori e ovviamente anche politici) che non sa fare breccia nella gente che davvero vorrebbe risposte concrete sulle cose.
E allora la vera sfida per il PD e per il suo segretario, se vuole cambiare il lessico tutto negativo che oggi lo descrive, è quella di saper mettere al centro della politica una visione di futuro per questo Paese che tenga assieme valori, diritti e doveri oltre che progetti e idee per economia e sviluppo, lavoro e occupazione, ambiente e territorio, scuola e cultura, salute e sport.
In un contesto di rafforzamento del ruolo dell’Europa che sia avviata verso una vera federazione di Stati.
Un partito con un programma trasversale che sappia coniugare tutele e meritocrazia, sicurezza e accoglienza, bisogni e contribuzione, pubblico e privato, locale e globale, innovazione e investimenti, lotta agli sprechi e guerra alla corruzione.
Un partito che parli molto da vicino alla gente, che sappia ascoltare e valorizzare le componenti attive e portatrici di azioni positive della società civile, rappresentate da tutte quelle persone che lo fanno per spirito di appartenenza ad un consesso civile, con l’unico obiettivo di migliorare le cose, che privilegi il merito e la competenza, che accolga le critiche costruttive, che sappia riconoscersi in un sentire comune di solidarietà politica e di visione aperta al futuro, che aborrisca il NO come costante del proprio agire quotidiano, che metta in soffitta veti e appelli ideologici buoni solo a restringere le maglie e a selezionare la fedeltà acritica.
Un partito aperto, trasversale, che sia “per molti e non per pochi”, un contenitore di idee e di programmi misurabili e realizzabili.
Che serva a recuperare consenso e adesioni, al di là della solita e sterile discussione su chi è più a sinistra, in una sinistra in crisi di rappresentanza, disastrata nel consenso elettorale, conflittuale e litigiosa – in ogni dove, in qualsiasi paese a democrazia parlamentare, che al confronto il campo di Agramente sembra un prato in fiore – in cui la linea e l’assunzione di responsabilità verso una logica di partito a vocazione maggioritaria può risultare alla lunga la pratica vincente perché rimette al centro le proprie idee, le proprie proposte, i propri ideali con chi vuole riconoscersi, rinunciando alle defatiganti mediazioni e ai compromessi senza fine.
Quei compromessi e quelle mediazioni che hanno insterilito prima il mitico Ulivo prodiano e poi l’Unione di centro sinistra.