Parigi brucia…
16 Novembre 2015Il ritorno dell’impegno
29 Novembre 2015Siamo in lutto. L’Europa è in lutto. L’Occidente è in lutto. La democrazia, con il suo soffio vitale di libertà e di tolleranza, è in lutto. Eventi orribili ci hanno travolto. Tutti ne parlano. Ognuno ha da dire qualcosa, sui giornali, in televisione, sui social network. Non mi era mai capitato di assistere, come in questi giorni, alla produzione di scritti e di riflessioni su fatti di attualità. Non v’è dubbio che la tragedia di Parigi abbia colpito, alle fondamenta, la normalità di milioni di persone, scuotendo dal torpore dell’indifferenza anche il più cinico, il più apatico degli uomini. Il confine, però, tra la sincera partecipazione al dolore per la morte, e la caduta nel luogo comune, è molto sottile. Lo dimostra il fatto che nella pletora di considerazioni scaturite dal pathos di molti, è sfuggita qualche banalità, qualche ostentazione di saggezza e qualche ricerca forzosa di colpevoli, con conseguente ricetta risolutiva improntata all’autoritarismo e alla xenofobia. Si sono sprecati gli anatemi contro gli arabi e contro tutto il loro armamentario religioso. Non sono mancate le maledizioni a un governo che permette l’ingresso di nemici che scatenano terrificanti guerre di religione. Si è imprecato contro la tolleranza e contro l’apertura a culture diverse. Si è parlato talmente tanto che non me la sono proprio sentita di dire alcunché. D’altra parte, non faccio la cronista di professione. Non ero tenuta. E non ho voluto.
Sta di fatto, però, che sono un’insegnante, e lavoro – grazie al cielo – con ragazzi curiosi e attenti ai fenomeni d’attualità. Mi aspettavo delle domande su quanto accaduto, ma non tanto interesse. E a tanto interesse ho dovuto rispondere con altrettanta precisione. Una precisione- sia chiaro – riconducibile ai confini delle mie opinioni soggettive.
- È guerra di religione, prof?
- No che non lo è. Almeno per coloro i quali muovono le fila degli eventi. E della Storia, purtroppo.
- Ma i Kamikaze, prof, è vero che muoiono per il loro Dio?
- Non è escluso che lo credano. In molti casi sono dei marginali, dei soggetti – bianchi o scuri poco importa – che guardano a una società, l’Occidente, nella quale non sono riusciti ad integrarsi. E che cosa fanno? Colpiscono quell’Occidente, quei simboli di pacifica quotidianità, come i luoghi di svago del venerdì sera: il teatro, il bar, lo stadio. E dove colpiscono? A Parigi che, come New York, è il tempio della libertà, la culla della democrazia, il santuario dell’intercultura e della tolleranza religiosa.
- Ma, se sono cattivi, non è meglio rispondere con la cattiveria?
- Non credo. Rispondere con la repressione, con la violenza e con il rifiuto significa perdere una guerra tanto difficile quanto indefinibile. Perché si corre il rischio di confondere il volto del nemico. La nostra è una società che ha scelto la democrazia e la libertà: non è possibile rinunciare a questi valori. Ci connotano troppo.
- Ma gli islamici sono tutti bastardi? Lo dicono anche alcuni giornali.
- Certo che no. Gli assassini di Parigi sono terroristi criminali e poco hanno a che vedere con l’Islam, come la stragrande maggioranza degli islamici pacifici. Compiere questa equazione significa impedire un’integrazione che per noi è ricchezza e crescita. Significa rinunciare alle nostre conquiste di civiltà.
- Una dittatura ci potrebbe salvare?
- Non sia mai! Sarebbe come tornare indietro di secoli.
Le loro osservazioni risentivano di qualche pregiudizio che ho cercato di fugare. Mi son detta che gli argomenti, per così dire, classici potevano anche attendere. In quel momento era più urgente una lezione improntata al pensiero critico e a una lettura della realtà non condizionata da idee preconcette e da luoghi comuni. Forse non li ho tranquillizzati, ma ho fatto tutto ciò che era in mio potere per non indebolire una fiducia, già fin troppo minata da becere propagande, nelle nostre conquiste di civiltà. Nessuno di noi è al sicuro, e i fatti lo dimostrano, ma nessuna strage può indurci a rinunciare a quei beni che fanno dell’Occidente un luogo di felicità e di benessere. Che una svolta autoritaria potrebbe compromettere seriamente.